Dai voli dalla Cina all’Aeroflot
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Fraintendendo il senso di virus ‘aereo’, nel 2020 i brillanti ministri italiani – seguiti a ruota dai pavoni europei (tutti intenti a sfoggiare la livrea della sanità, bene supremo) – chiudevano, prima, ai voli dalla Cina e poi (dal 12 marzo) gli aeroporti tout-court. Il diritto di movimento in Italia si riduceva addirittura ai 200 metri da casa e una cappa di scempiaggini calava sul nostro e, in misura più o meno contenuta, su altri Paesi soprattutto europei, in Cina e in alcuni Stati degli Usa (su questi ultimi non a seconda dell’effettiva necessità di contenere un’epidemia ma della preferenza di voto degli abitanti locali).
‘Ognuno a casa propria’ era il mantra di moda, espressione della nuova fede: «Io credo al virus», che non fermava ovviamente il patogeno, ma costringeva al rientro nel proprio Paese milioni di studenti, di turisti e soprattutto di lavoratori (non dimentichiamo l’esodo ‘biblico’ imposto dall’alto in India).
Poi le frontiere sono state riaperte, si è cominciato ad ammettere ciò che si sapeva quasi da subito, ossia che del famigerato virus si moriva solo se si avevano certe condizioni patologiche preesistenti – o si era abbandonati al paracetamolo e vigile attesa, utili quanto l’estrema unzione; si è scoperto che un semplice antinfiammatorio poteva risolvere la sintomatologia in fretta e bene – se non sempre, spesso; e che i cosiddetti pauci- e non-sintomatici non erano untori bensì centinaia di milioni di persone che affrontavano il virus meglio di un raffreddore e molto meglio dell’influenza stagionale. Nel frattempo – sebbene la stampa Italiana prevedesse sciagure, quali la scomparsa dagli scaffali della patatina fritta preferita dagli inglesi, e altre amenità partorite da pennivendoli governativi, pari solo alla pestilenza manzoniana (La storia della colonna infame ci ‘risulta’ abbia ispirato gli editti del perenne Stato d’emergenza) – ebbene, nel frattempo, la gelida Albione dichiarava la fine della pandemia e l’inizio dell’endemia. Il che significava ammettere – senza dirlo – che tutte le restrizioni non erano servite a bloccare il virus ma solo i cittadini e, con essi, le economie, ma soprattutto la circolazione delle idee e dei saperi. Oltre ad aver evitato ai Governi cosiddetti democratici di investire in quella zona morta che è la sanità pubblica: la salute di Stato, ossia l’imposizione dall’alto di comportamenti e vaccini, rivelatisi inutili a contrastare il contagio, avevano preso il posto del finanziamento di ospedali e della medicina territoriale.
Eppure, di fronte all’ennesima nuova variante, era proprio il Regno Unito a novembre 2021 a chiudere i voli, questa volta col Sudafrica (e altri Paesi dell’area), immemore della passata fallimentare esperienza con i voli dalla Cina – che persino un decerebrato avrebbe capito era possibile bypassare aggiungendo uno scalo. Il risultato è stato un rallentamento solo parziale della diffusione della Omicron che, agendo come natura deve, ha spazzato la Delta rimpiazzandola con un virus meglio adattato al corpo umano e, quindi, fors’anche più trasmissibile ma sicuramente ancor meno nocivo.
Dalla peste del XXI secolo si passa alla guerra civile tra ucraini nazionalisti e ucraini indipendentisti e si ‘punisce’ la Russia che difende questi ultimi, vietando ancora una volta i voli, precisamente quelli di Aeroflot. Altri tempi quelli in cui l’Italia, il Regno Unito, la Nato (Usa capofila) bombardavano allegramente i civili serbi (1) mentre Alitalia, British Airways e American Airlines continuavano a portare in giro le persone permettendo scambi – di idee, pensieri, economici e così via. Ma questo è il capitalismo, baby, e adesso il globalismo che lo stesso aveva imposto a Bolzaneto o alla Diaz – a Genova 2001 – è passato di moda.
E però noi non ci dimentichiamo e vi raccontiamo la nostra piccola esperienza. Due anni fa, quando Alitalia o Etihad, Emirates e, ovviamente, Air China, ma anche molte altre compagnie aeree, lasciavano i cittadini italiani all’estero letteralmente a piedi (ricordo il rimpallo dalla compagnia aerea al tour operator e da quest’ultimo alla Farnesina in un girotondo infinito che potremmo piattamente definire ‘scaricabarile’), con famiglie italiane che a Bangkok non sapevano che fare e ormai sembrava loro che solo l’Ambasciata italiana avrebbe potuto accoglierli – o che vi si sarebbero accampati costasse quel che costasse… ebbene, mentre il Ministro degli Esteri si occupava solo di Niccolò, celando il problema dei concittadini all’estero sotto un tappeto di retorica, Aeroflot volava (senza nemmeno speculare sui prezzi dei biglietti) fino all’ultimo giorno possibile. Da Mosca, ricordiamo che, nella generale incredulità degli italiani presenti, siamo stati caricati (ed eravamo solo una trentina) su un 737 che, l’8 marzo 2020, arrivava puntuale a Malpensa, con omaggio di una rosa per tutte le passeggere a bordo. Oggi, grazie all’ennesima forma di sanzione, 35 lavoratori con passaporto italiano di Aeroflot sono a spasso.
Da una parte, la vuota retorica politica che tenta di giustificare inefficienza o scelte di campo per meschini fini geo-politici con editti inutili; e, dall’altra, la serietà di chi ha fatto il proprio lavoro anche in condizioni difficili.
(1) Vi rimandiamo a questo articolo del collega Aldo Zanchetta su https://codice-rosso.net/8256-2/ in cui si precisano i presupposti per l’intervento Nato in Serbia (che ci pare non si vogliano applicare oggi con la Russia): “I principi etici della campagna furono ribaditi anche dal segretario della Nato, che il 7 aprile tenne dinanzi alla Commissione dei Diritti dell’uomo delle Nazioni Unite un discorso in cui, oltre a sostenere che in Kosovo veniva attuato con ogni probabilità (Sic! Corsivo dello scrivente) un genocidio, affermò che stava emergendo una nuova norma internazionale contro la repressione violenta delle minoranze, la quale doveva avere la precedenza sulle preoccupazioni relative alla sovranità: nessun governo aveva il diritto di nascondersi dietro la sovranità nazionale per violare i diritti dell’uomo (pagg. 618/619)”.
venerdì, 27 maggio 2022
In copertina: Foto di Gerhard G. da Pixabay.