Fa vendere essere più realisti del re?
di Simona Maria Frigerio
Scrivere di un gruppo che imita band rock di cinquant’anni fa fingendo di essere innovativo è una pardita di tempo per il giornalista e fa pubblicità a chi brama di averne. Eppure spenderemo due parole, che ci costano – perché preferiremmo ascoltarci un Roger Waters d’annata o un Kurt Cobain o un chiunque autentico, invece che scrivere del signor Damiano David che, dal palco del Coachella Valley Music and Arts Festival (quello, per intenderci, che affonda le radici nel concerto che tennero i Pearl Jam, nel 1993, per boicottare Ticketmaster: altri tempi e altri musicisti), urla un ben poco originale: “Fuck Putin”.
Capiamo che la band italica che fa cover da Eurovision (dove, guarda caso, quest’anno vince la pia e santa Ucraina), non avesse gradito le feroci critiche statunitensi dell’anno scorso. Su Stereogum, ad esempio, il giornalista Chris Deville scriveva, in merito al loro rifacimento di Beggin dei The Four Seasons (del 1967): “Altro che vittoria del rock. La cover è pessima, in un modo atroce e offensivo” e, sebbene si venda (ormai ogni arte è solo prodotto commerciale), questo conta ben poco in un universo musicale mordi e fuggi che il giorno prima acquista e quello dopo scarta.
E però non è detto che schierarsi con il nemico del proprio nemico sia la via giusta per il successo.
Era il 3 ottobre del 1992, in uno dei pochissimi show trasmessi dal vivo negli Stati Uniti, il Saturday Night Live, quando una giovane e naïf (sicuramente sincera ma mal consigliata) Sinéad O’Connor strappava in otto pezzetti la foto del Papa, Giovanni Paolo II. Sebbene volesse esprimere l’urlo di una bambina molestata, mise fine alla sua carriera. Gli States non saranno papisti, ma restano bigotti.
Trent’anni dopo, per conquistare la medesima platea (ossia il Paese paladino della democrazia), i Måneskin offendono un Presidente democraticamente eletto, ma soprattutto dimostrano l’ignoranza dilagante e la faciloneria nel dividere la società tra buoni e cattivi, giusti e sbagliati, tipica degli ‘italioti’. Dopo i due anni di guerra proclamata dal Governo italiano contro chi aveva dubbi sull’efficacia e sicurezza dei vaccini per il Covid-19, dopo il primo risarcimento ridicolo di 77.000 euro per la morte di una donna di 32 anni causata dal vaccino ‘innocuo’ (https://www.google.com/amp/s/www.ilgiorno.it/cronaca/morta-vaccino-astrazeneca-indennizzo-1.7674368/amp), siamo ormai abituati alle dicotomie tanto che non sembra più possibile ragionare e dialogare.
Eppure il caso di una band alquanto démodé, che si autodefinisce glam rock (termine stantio e genere seppellito definitivamente dal grunge ma, come sa chiunque frequenti la moda, i negozi ultimamente si sono riempiti di ciarpame da figli dei fiori) mentre cerca di imitare tempi di cui non comprende nemmeno il senso (nel ’67 chi voleva ‘essere rock’ inneggiava Hồ Chí Minh e non Văn Thiệu Nguyễn), dimostra che – nella partita in Ucraina – gli italiani sanno solo schierarsi in maniera miope dalla parte dell’Ucraina e contro la Russia.
Ma non solo. Scade nell’atrocemente ridicolo. Ci si domanda, ad esempio, perché non arrivare a inneggiare il nostro Premier e il suo omologo statunitense o inglese quando inviano armi (oltretutto obsolete) per uccidere un bambino russofilo in più.
L’ignoranza che augura dal palco dei Sindacati Confederali Buon 1° Maggio agli ucraini, è la medesima che dimentica che sono ucraini anche i russofili perseguitati e uccisi in questi ultimi otto anni di guerra civile artatamente ignorata e ora attizzata.
Nessuno mai in difesa di un bambino del Donbass? Il rock, se questi sono i suoi esponenti – come la politica – è morto.
Speciale guerra – lunedì, 16 maggio 2022
In copertina: Foto di Rene Schulze da Pixabay.