Riflessi ipnotici di un maestro della videoarte
di Simona Maria Frigerio
Lucca a volte stupisce, raramente, ma accade. Grazie a Maurizio Marco Tozzi e Alessandro Romanin (coadiuvati dall’apparato fotografico di Gianni Melotti, che avevamo già applaudito per la sua mini-personale alla Fondazione Ragghianti qualche anno fa: https://www.inthenet.eu/2020/10/02/lavventura-dellarte-nuova-cioni-carpi-e-gianni-melotti/), arrivano cinque video di un giovane e già talentuoso Bill Viola (di cui quattro quasi introvabili).
Non vi racconteremo chi è Viola, dato che basta entrare in rete per scoprire pagine di articoli, approfondimenti, recensioni dei suoi lavori, ma vi proporremo alcuni percorsi di senso per comprendere come non sia il mezzo a fare l’artista bensì l’artista a plasmare il mezzo per restituire il suo sguardo sul mondo.
Riflessi in uno specchio d’oro. Mutuiamo la definizione per The reflecting pool da uno tra i film/capolavoro di John Huston. La realtà è quella percepita dall’occhio o quella intravista dalla mente? A cosa dobbiamo credere? In quell’attimo sospeso nel tempo (tematica cara a Viola nel suo intero percorso), in quel gesto impigliatosi nella lancetta di un orologio, si contiene – in nuce – la strenua ricerca di se stesso di Ned Merrill (un Burt Lancaster già esteticamente europeo) nel surreale The Swimmer, di Eleonor e Frank Perry. Il riflesso della pozza d’acqua può rinviare a presenza, movimento, immersione e rinascita – gesti reali e rimandi metaforici, ma ciò che resta imprigionato è quello scatto, di volontà in potenza, che può essere tradotto in rinascita o venuta al mondo, in superficiale immersione nello scorrere della vita o in accettazione che, alla fine, del nostro sé non resterà nemmeno il vuoto, dato che l’acqua – come nel bel fantasy di Guillermo del Toro – ha forma?
Assonanze e dissonanze. Partiamo da due dicotomie che paiono insanabili nelle quali, al contrario, Viola immerge i propri lavori con fluidità (e i termini che usiamo sono tutti voluti). Acqua/fuoco. Femmineo/maschile. Qui il principio ispiratore è indubbiamente l’acqua connessa alla capacità di fertilizzare, nutrire, dissetare, consegnare alla maturazione un seme – vegetale o umano. Ma ciò che affascina in Moonblood sono, come sempre, gli ipnotici giochi di luci/ombre, i riflessi e la forza che può sprigionare o contenere la natura. L’acqua si fa torrenziale cascata di vita e pennellata creatrice: nella velocità acquista profondità di senso. Mentre i vetri della finestra, che oscurano o riflettono, che creano legami amniotici come un cordone ombelicale tra interno ed esterno, si fanno metafora e domanda: chi vede cosa?
Il vuoto del silenzio. Può un medium che si affida alla percezione visiva comunicare il silenzio? Non con l’ausilio del suono o della sua mancanza/vacuum o, magari, del rumore dell’universo, bensì attraverso un processo concettuale che affida all’immagine la nostra elaborazione dell’idea di silenzio? Viola in Silent life utilizza la bocca di un neonato (il primo in particolare), nelle mani emotivamente sterilizzanti di una nascita degradata da rituale mistico a pratica ospedaliera, da venuta al mondo a inquadramento sociale – secondo pesi, misure e temperature – per esprimere l’urlo concettuale di ritrovarsi da un utero materno e buio, da un liquido amniotico e protettivo (noi nasciamo nell’acqua e all’acqua siamo strappati per una terra brulla ed estranea), da un ventre silenzioso e solitario, a un mondo di luce artificiale, freddo, asettico, inospitale, sgradevole come la puzza di disinfettante di un qualsiasi ospedale o istituzione totale. Da neo-nati a pazienti/malati. La vita resta appesa a quell’urlo silenzioso che ognuno di noi ha provato venendo alla luce, in attesa del buio quitante.
Giocare col tempo. Il tempo del gioco, il tempo è gioco. Giocare col tempo per Viola è anche giocare con il mezzo che padroneggia e, ancora e sempre, con l’occhio dello spettatore o, meglio, dell’esploratore dei suoi universi di sensazioni. Cosa stiamo vedendo in Ancient of days? Il disfarsi di un mondo, arso, e che si ricompone di ninnoli per poi eternizzarsi in un’immagine? E il tempo della nostra società non sta velocizzando quello della natura, sradicando il senso del suo fluire, non accettando il suo passare, eppure risucchiandolo in un vortice che lo consuma anzitempo? L’antropomorfizzazione del pianeta trasforma l’umano in virus letale (Matrix docet). Il tempo sembra contrarsi perché lo stiamo strizzando fino all’osso per compiacere i tempi del consumismo o perché lo stiamo svuotando di significato? Un elogio alla lentezza che rimanda, inevitabilmente, alle scene iniziali di Solaris di Andrej Tarkovskij e alle sue traduzione poetiche del tempo, in immagini.
La ruota dell’eterno ritorno. La ripetizione è il nucleo tematico di questo piccolo capolavoro mistico – Vegetable memory. Come nella tradizione buddhista, la ruota deve essere spezzata ma noi siamo ipnotizzati dall’immagine ripetitiva che ci lega a un qui e ora che dovrà ripetersi in eterno o, almeno, finché riusciremo a spezzare l’incantesimo di morte/vita. La ripetizione non come ossessione ma come obnubilamento, come il movimento pacificante di una culla che ci consola dell’umana sofferenza e ci permette di accettare il ciclo. Solo il fuoco che arde e fagocita, come un’enorme bocca, potrà riaprirci alla vita oltre la vita?
Ancora solo fino a domenica 8 maggio. Entrata libera per scoprire come il film non narrativo, o la video arte, possa aprire un universo di senso ben oltre e ben aldilà della pletora di filmetti/propaganda, che gli States ci propinano da Nascita di una Nazione in avanti.
Le proiezioni continuano:
Fondazione Ragghianti (mezzanino)
via San Micheletto, 3 – Lucca
fino a domenica 8 maggio 2022
orari: dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 19.30
Bill Viola
The Seventies
a cura di Maurizio Marco Tozzi e Alessandro Romanin
foto Gianni Melotti Archives
proiezione 5 video:
The reflecting pool, 1977/79, 7’
Moonblood, 1977/79, 12’ 48”
Silent life, 1979, 13’ 14”
Ancient of days, 1797/81, 12’ 21”
Vegetable memory, 1978/80, 15’ 13”
venerdì, 6 maggio 2022
In copertina: L’invito alla presentazione dell’iniziativa.