Ci insegnano a ricordare le idee e non l’uomo, perché l’uomo può fallire*
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
E invece no. Pier Paolo Pasolini, poeta, è anche carne e sangue, jeans blu e occhiali spessi, miseria di periferia e una bistecca con patate al forno, una partita al pallone con Bertolucci e quattro chiacchiere con un ragazzo di vita, un’auto sportiva e gli atti di un nuovo processo per oscenità o vilipendio alla religione di Stato, i Sassi di Matera e le Mura di Sana’a. Mentre ciò che pensava s’imprimeva su carta, su pellicola, sulla pelle, nella mente.
Quando si è un ‘monumento’ – più che un uomo – si rischia di trasformarsi in lettera morta, che liceali svogliati – tra dad e chat, social e like – sono costretti a studiare in antologie nozionistiche che mischiano il “fru fru tra le fratte” di chi inneggiava alla “grande proletaria” ai versi di un Montale, amico di Saba, che fu rimosso dalla direzione del Gabinetto Vieusseux per non aver mai preso la tessera fascista; tra i drammi di un Pirandello che, invaghitosi dell’idea di un Teatro di Stato, aderiva al Partito Fascista in forma pubblica e solenne e le tragedie di uno, come Pasolini, che riconosceva nel capitalismo e nel consumismo borghesi e filo-statunitensi i frutti di un nuovo genere di fascismo. Perché troppo spesso – e volutamente – si disgiunge l’uomo dalla sua opera ed entrambi dal loro contesto, che è incontri, scontri, compagni di strada e antagonisti di un preciso contesto socio-economico-politico.
Ascanio Celestini – autore/attore in stato di grazia – come avrebbe potuto confrontarsi con Pier Paolo Pasolini senza rischiare di restituire solo la superficie? Il monumento. O il pezzo forte del museo? – spunto dello spettacolo. Con PPP il discorso si fa ancora più complesso perché è difficile restituirne anche il corpo, sebbene il teatro dovrebbe essere il medium più adatto essendo arte del corpo attorale dell’officiante tra i corpi spettatori degli astanti. Un corpo devastato, un corpo oltraggiato, un corpo svilito non solo dall’omicidio ma da quella montagna di fango che nemici e ‘compagni’, borghesi e magistrati, giornalisti e politici gli hanno gettato addosso da vivo e con la quale lo hanno seppellito, all’Idroscalo di Ostia, da morto.
Celestini ha puntato agli occhi di Pasolini, quelli spesso celati da spesse lenti cerchiate di nero. Ha scelto di guardare il mondo con i suoi occhi e di restituircelo attraverso i molteplici personaggi (ai margini di un’Italietta ubriacata dal boom economico, ignorante e già all’asta) che costellavano la Roma dove Pier Paolo viveva e che, magari, incontrava, o che sedevano nelle stanze del potere o, ancora, che la sua immaginazione poteva partorire o abortire, inserire in una pellicola o denunciare in un articolo o in un libro o a cui accennare in un’intervista.
Celestini entra ed esce da panni scomodi, miseri, infimi, umanissimi e poi allarga ancora lo sguardo, ricomprendendovi il contesto (storico-politico) e il sotto-testo (i moventi e le autoassoluzioni di un fascismo che compie un secolo esatto dalla Marcia su Roma riallacciando, oggi – e questo lo aggiungiamo noi – quel legame col potere capitalistico inviando armi ‘per fermare la guerra’ e riscrivendo la storia fino a trasformare il Neo-nazismo in Resistenza).
Dalla strage di piazza Fontana al non-golpe di Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese, dai legami tra Cia e servizi segreti italiani ‘deviati’ a un non nominato che assomiglia molto a Enrico Mattei (l’unico che si oppose alla dipendenza energetica italiana dagli States prima di essere ‘eliminato dalla partita’). E ancora, dalla Gladio alla P2 passando per l’organizzazione O; dalle epurazioni dei comunisti e dalla inamovibilità dei fascisti dalle loro posizioni nell’amministrazione pubblica, nei carrozzoni degli Enti statali, nella scuola e nell’università, ma soprattutto nei palazzi del potere politico romano e nelle prefetture, Celestini racconta l’Italia degli anni di Pasolini attraverso lo sguardo di quel ‘monumento’ che fu – prima che intellettuale, cineasta, drammaturgo e poeta – soprattutto uomo.
Uomo che ci piace pensare – come racconta Celestini – accanto a noi, magari su un bus di periferia o su un treno, con in mano un panino avvolto in un tovagliolo di cotone a quadri (come si faceva allora per mantenere il pane morbido), che ci invita a guardare oltre il finestrino: i baraccati di allora, gli italiani migranti, quelli ‘sporchi brutti e cattivi’, quelli che se ne andavano dal paese perché non riuscivano più a sopravvivere lavorando la terra; oppure quelli che arriveranno dopo, fuggiti dalle guerre che abbiamo fatto noi per regalargli democrazia e libertà bombardandoli, depredandoli, nominando i loro nuovi leader – più fedeli a noi che ai loro popoli.
Il viaggio nel tempo e nello spazio – ma anche nelle lingue e nelle culture – di Pasolini si conclude all’Idroscalo di Ostia, come il nostro. Pier Paolo non ha ricevuto l’onore funebre, l’obolo della verità. Lui come noi, nati sulle ceneri di piazza Fontana, Ustica o Bologna. Nessuno può essere trasportato da questo Caronte/Celestini oltre lo Stige: resteremo in eterno, senza pace, tra le nebbie del fiume. O forse un giorno, finalmente, l’orizzonte si schiarirà rivelandoci a noi stessi e potremo attraversarlo?
Lo spettacolo è andato in scena:
La Città del Teatro
via Tosco Romagnola, 656 – Cascina (PI)
sabato 2 aprile 2022, ore 21.00
Fabbrica Srl | Teatro Carcano presentano:
Museo Pasolini
di e con Ascanio Celestini
voci Grazia Napoletano e Luigi Celidonio
musiche Gianluca Casadei
suono Andrea Pesce
distribuzione Mismaonda Creazioni Live
contributo Regione Lazio e Fondo Unico 2021 sullo Spettacolo dal Vivo
* Citazione dal film V per vendetta
venerdì, 22 aprile 2022
In copertina: Ascanio Celestini in Museo Pasolini. Foto di Musacchio Ianniello Pasqualini (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa de La Città del Teatro).