Quando i reclusi stanno fuori
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Quasi mai si pensa a coloro che restano al di fuori delle istituzioni totalizzanti. Spesso, quando si parla di carcere, le donne: mogli, figlie, madri, sorelle che, pur non avendo commesso alcun reato, finiscono per gettare al vento intere esistenze in coda per un colloquio fin dall’alba, in viaggi della speranza per il conforto di un’ora, in figli di cui devono assumersi una doppia responsabilità genitoriale, in lavori miseri ed espedienti – sprecando tutti i risparmi in avvocati, in generi di prima necessità, in alimenti e fornellini a gas perché nelle mense carcerarie in questo nostro Paese, da sempre, si mangia talmente male che i reclusi cucinano da sé ciò che comprano allo spaccio o è portato dai familiari settimanalmente.
Una vita da chiuse fuori – invece che dentro – che Il colloquio racconta con accorata partecipazione. Credibili i tre personaggi femminili interpretati da attori (Renato Bisogni, Alessandro Errico e Marco Montecatino), bravi e in parte senza mai scadere nella macchietta o virare nell’en travesti.
Buono il ritmo che scandisce climax e anticlimax, con due momenti di violenza agita a passo di una danza maori, in cui l’atto si sublima – come ha senso fare in arte e a teatro. Musiche e luci puntuali. Momenti corali e individuali che trascorrono con agilità, tra rimpianti e recriminazioni, poche memorie felici e un sostrato doloroso che, nella prima parte, si accende con le battute pungenti per brevi risate liberatorie.
Un ottimo lavoro che, però, ci sarebbe piaciuto finisse una decina di minuti prima, quando le tre donne – recluse loro malgrado – finalmente si ribellano, rifiutando quel ruolo di mogli e madri che sembra atavicamente pesare sul presente e sul futuro delle napoletane (data l’ambientazione). È ora di dire no, basta, a figli non voluti, a uomini assenti, a camorristi e fannulloni, a mariuoli e spacciatori, a mafiosi e traffichini. È ora che siano le donne a dettare le regole di un vivere civile che, con Poggioreale (e non solo), non vuole più averci a che fare. Occorre che siano le donne a smetterla di piangere quando si arresta un camorrista o se muore un mafioso. Se non per loro stesse, proprio per quei figli che si meritano di meglio. Perché non è iscritto nel Dna essere vittime – del patriarcato, del sistema o perfino di uno Stato assente. Si può anche smettere di essere quelle che piangono e si lamentano, che soffrono come in un melodramma stantio del Secondo dopoguerra. Siamo nel 2022.
Lo spettacolo è andato in scena:
La Città del Teatro
via Tosco Romagnola, 656 – Cascina (PI)
sabato 26 marzo 2022, ore 21.00
Il colloquio
progetto e regia Eduardo Di Pietro
con Renato Bisogni, Alessandro Errico e Marco Montecatino
aiuto regia Cecilia Lupoli
costumi Federica Del Gaudio
organizzazione Martina Di Leva
Residenza per artisti nei territori – Teatro Due Mondi, Faenza
uno spettacolo di Collettivo lunAzione
venerdì, 8 aprile 2022
In copertina: Collettivo lunAzione, foto di Malì Erotico (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa de La Città del Teatro).