Il nuovo libro di Maria Dolores Pesce
di Simona Maria Frigerio
Da sempre una tra le penne più attente alla drammaturgia teatrale italiana e internazionale, in grado di leggere tra le pieghe della lingua rintracciando sostrati di senso e svelando i meccanismi retorici sottesi, Maria Dolores Pesce è ben nota anche agli spettatori teatrali grazie alla rubrica che cura da oltre vent’anni sulla rivista on-line, dramma.it.
Abbiamo deciso di incontrarla per parlare del suo ultimo libro, dedicato al drammaturgo Edoardo Erba – recentemente pubblicato da Editoria&Spettacolo – e per comprendere quali siano oggi le nuove vie del teatro di parola italiano.
Ogni libro ha un suo lettore ideale. A chi si rivolge Il testo e la scena. Il teatro di Edoardo Erba?
Maria Dolores Pesce: «Innanzitutto a chi ama il teatro in ogni sua forma, poiché le scritture sceniche di Edoardo Erba sono il risultato di un amore per così dire ‘normale’ o meglio naturale per il teatro, un amore abbastanza forte da poter essere praticato senza dover essere necessariamente gridato o dichiarato attraverso eclatanti affermazioni di principio e di fede. Un amore vissuto giorno per giorno e per questo continuamente messo a confronto con la realtà della nostra vita, che è sempre immersa nella storia, con la S maiuscola o minuscola, ma spesso senza che ce ne accorgiamo o quasi. Dunque, ove come lei dice non può non esserci per ogni libro un lettore ideale, questo per me è colui che ama il teatro come normale e insieme necessaria o ineludibile funzione della sua vita, se questa vuole essere consapevole e per quanto possibile sincera. È chi ama andare a teatro ma anche leggerlo nella sua, talvolta negletta, anima letteraria di racconto, come direbbe Marco Martinelli, “da mettere in vita”. Quindi questo mio libro è diretto a chi cerca di vedere (se stesso) un po’ al di là di ogni superficie».
Come vice-direttrice di dramma.ite come critico teatrale lei ha sempre approfondito il discorso drammaturgico all’interno dello spettacolo. Cosa l’ha affascinata di un autore come Erba – che ha una qualità letteraria indubbia?
M.D.P.: «Proprio, direi, questa sua indubbia qualità letteraria. L’aver cioè avuto la capacità, in un contesto esterno italiano certamente non favorevole, di coltivare l’anima letteraria del teatro riconsegnandole una libertà compositiva e linguistica che conferisce quella particolare autonomia al testo per la scena, laddove la sua finalità alla rappresentazione non è negata ma al contrario incorporata e così intrinsecamente enfatizzata. Scrivere un testo per il teatro, per Edoardo Erba, vuol dire essere capaci di scrivere letteratura non da chiudere in un cassetto, come le poesie ad esempio, ma da mettere alla prova e sottoporre al giudizio degli altri attraverso la messa in scena che deve inevitabilmente completarla, in senso e capacità di giudizio e significazione, con il necessario contributo delle molte funzioni della rappresentazione stessa, a partire dagli attori, e infine del pubblico. Tra l’altro ricordo che un concetto simile mi fu esposto molti anni fa anche da Edoardo Sanguineti. Inoltre il suo essere un drammaturgo professionista, figura non usuale da noi, di vivere cioè di ciò che riesce a portare sulla scena, e di aver attraversato molte altre modalità di scrittura (dai testi per convegni a quelli destinati alla pubblicità, dalle sit comedy televisive ai testi per spettacoli diversi) allo scopo principale di alimentare (anche esteticamente) la sua passione per il teatro, così da renderla indipendente e per quanto possibile libera, ha costituito per me un altro forte elemento di interesse».
Lei descrive il soggetto della drammaturgia di Erba come una sorta di “iper-realtà, o meglio di sovra-realtà”. Può spiegarci meglio questo concetto fondamentale per apprezzare l’autore?
M.D.P.: «È l’idea in base alla quale, nell’emergere alla superficie, il significato profondo delle cose, e degli eventi che le coinvolgono insieme a noi, si è progressivamente depauperato e perso – come direbbe Walter Benjamin – o forse si è talmente indebolito, coperto come è stato e come è dalle convenzioni e dalle abitudini (come, ma anche prima ancora delle pirandelliane maschere), che ce ne siamo dimenticati e ce ne dimentichiamo continuamente, navigando con inconsapevolezza e forse anche comodità nelle nostre consuetudini (talvolta purtroppo indotte ed eterodirette). Le scritture drammaturgiche di Edoardo Erba attraverso un finto iniziale naturalismo, che un po’ ci anestetizza o ipnotizza per poi improvvisamente svegliarci, sono la lama che toglie dai nostri sguardi il velo della consuetudine e attraverso l’uso consapevole della sorpresa, che è colpo di scena inteso come ribaltamento improvviso, ci fa sospettare, non che ci sia qualcosa sotto, ma che sotto ci sia qualcosa, quel qualcosa che può e deve, anche se spesso non riesce, dare senso e sincerità al nostro muoverci nel mondo. Scoprirlo e conquistarlo spetta di volta in volta a noi spettatori perché, saggiamente, il drammaturgo non ha soluzioni ideologiche precostituite».
Erba nasce nel 1954 e, quindi, la sua lingua ha subito l’influenza della televisione e dell’omologazione denunciate da Pier Paolo Pasolini. Quale la sua specificità, che lei considera ‘goldoniana’?
M.D.P.: «Ho appunto dedicato un intero paragrafo del mio libro alla lingua di Edoardo Erba proprio a partire dalla junghiana coincidenza delle date di nascita (del drammaturgo e della televisione italiana). Più che subirne l’influenza, la nuova Koiné televisiva è stata, per lui come per tutti quelli della sua generazione, una sorta di nuova lingua madre che tendeva a sovrapporsi e a sostituire modi espressivi più tradizionali. Di quella lingua può dunque spontaneamente impadronirsi e lo fa per poter finalmente e sinceramente descrivere l’homo novus che il boom economico produce e il successivo consumismo consolida tra la fine del secolo scorso e l’oggi. Quell’homo novus che del resto siamo noi. In questa lingua non possono dunque esserci nostalgie di verità antropologiche pasolinianamente perdute e disperse tra gli esclusi o i reietti di questa nuova società. Questa lingua è perciò una rete gettata in una società in evoluzione per intercettarne e mostrarne tendenze e valori, anche negativi o in dissoluzione. Ed è un’operazione esteticamente consapevole in quanto come ha detto lo stesso drammaturgo: «a teatro hai davanti un pubblico vivo che vuole essere stimolato dalle parole, dalle frasi, dai modi di dire che usa, non da quelli che non usa». Una operazione che in primis Edoardo Erba ho definito goldoniana in quanto, come in Goldoni, serve per portare dentro il teatro la società quale è o era nelle rispettive contemporaneità».
A questo punto ci fermiamo, ci prendiamo una pausa per sfogliare qualche altra pagina del libro decisamente corposo ma scorrevole alla lettura e sicuramente apprezzabile anche da non ‘iniziati’. Su Persinsala riprenderemo, come di consueto, la nostra conversazione con l’Autrice, addentrandoci anche nell’estetica del teatro contemporaneo.
venerdì, 8 aprile 2022
In copertina: un particolare della copertina del volume, Il testo e la scena. Il teatro di Edoardo Erba, edito da Editoria&Spettacolo, 2022.
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