Guerre e pioggia?
di Luciano Uggè e Simona Maria Frigerio
Il 2021 si è chiuso con un bollettino pesante per il Corno d’Africa, dilaniato da guerre civili, conflitti militari, siccità e l’impatto economico del Covid che si traduce sia in minori aiuti umanitari e sia in un aumento dei prezzi – come ha anche sottolineato recentemente la Fao. Quel processo di stagflazione che inizia a intravedersi nelle economie occidentali e, specialmente, in Italia, qui va a esacerbare la diminuzione dei raccolti e/o la morte del bestiame, a causa della scarsità delle piogge stagionali – per il terzo anno consecutivo – e della presenza delle locuste del deserto che divorano le coltivazioni.
Quella che si è registrata, a fine 2021, è stata una situazione di crescente instabilità a livello alimentare e idrico, ma anche sociale e politico.
Come denunciato da Action Aid, se nel 2020 le persone a rischio di carestia erano 12 milioni, nel 2021 – a causa dei cambiamenti climatici – il numero di esseri umani che può morire di fame, solamente in tre Stati: Somalia, Etiopia e Kenya, raggiunge quota 14 milioni e mezzo. 690.000 sono i bambini gravemente denutriti – dato che, una madre che non ha cibo sufficiente, a sua volta non riuscirà ad allattare. Occorre tenere presente che la denutrizione e l’impoverirsi delle fonti di acqua potabile aggravano l’incidenza del colera e delle forme di dissenteria che, da sempre, sono tra le maggiori cause di morte in neonati e bambini. Ogni anno, nel mondo, la gastroenterite da rotavirus causa circa mezzo milione di decessi sotto i 5 anni; di questi, l’80% circa si verificano nei Paesi in via di sviluppo (fonte https://www.ospedalebambinogesu.it/rotavirus-80332/).
Secondo le Nazioni Unite, in questo momento, in 43 Stati, gli esseri umani che rischiano di morire per la denutrizione sono 45 milioni – nel 2020 erano 42.
Oltre la carestia e la siccità, i conflitti umani
La situazione, specialmente nel Corno d’Africa, è esacerbata dal conflitto tra Sudan ed Etiopia (con il Sudan che accoglie, altresì, gli sfollati del Tigrè) e dalle guerre civili in corso in Somalia ed Etiopia. A Khartum (capitale del Sudan) non più tardi del 14 marzo si è tenuta una grande manifestazione contro il Governo militare ma, soprattutto, per denunciare il carovita – dato che, tra le molte conseguenze nefaste della guerra in Ucraina, vi è anche l’aumento del prezzo del grano e, nel Paese, il costo di una banale pagnotta è salito del 40%.
Nel frattempo, in Somalia, il gruppo armato al-Shabab – tra i contendenti al potere nel Paese – continua a fare stragi. Il 25 novembre 2021 più fonti stampa hanno riportato la notizia di uno tra i suoi ‘migliori’ exploit, quando una bomba esplodeva vicino a una scuola nella capitale Mogadiscio, uccidendo 8 persone e ferendone 17 – ovviamente tra queste anche dei bambini. La scuola è stata parzialmente distrutta (ma non ci risulta che gli integralisti islamici o, per meglio dire, i gruppi paramilitari che pretendono di ispirarsi all’Islam per fini geo-politici ed economici, si interessino all’educazione – aldilà delle scuole coraniche). A gennaio di quest’anno, un’autobomba uccideva almeno 8 persone e ne feriva 9; mentre il 23 marzo si è avuto uno scontro a fuoco presso l’aeroporto di Mogadiscio, a seguito dell’irruzione dei miliziani islamisti nello scalo. Non è stato ancora accertato il numero preciso delle vittime.
Se al-Shabab è stato accusato nel World Report 2021 di Human Right Watch di “attacchi indiscriminati contro i civili e il reclutamento forzato di bambini”, anche le forze governative somale e quelle della Missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM) pare siano responsabili dell’uccisione e del trasferimento forzato di civili. Le autorità somale, inoltre, avrebbero “limitato la libertà di stampa” e, sempre secondo HRW: “le autorità avrebbero eseguito condanne a morte, molte delle quali a seguito di processi militari che violavano gli standard procedurali internazionali”. Sempre a novembre del 2021 – per la serie che nessuno è innocente – cinque soldati ugandesi dell’AMISON sono stati riconosciuti colpevoli (da un tribunale somalo) di aver ucciso 7 civili, e due tra gli imputati sono stati condannati a morte – mentre gli altri tre a una detenzione di 39 anni ciascuno.
In Etiopia la situazione è altrettanto tragica. A fine novembre, infatti, il Paese negava l’attacco militare al Sudan e definiva le accuse di quest’ultimo ‘infondate’; mentre il conflitto con i ribelli della regione del Tigrè continuava a peggiorare. E pensare che il Primo Ministro etiope, Abiy Ahmed, era stato insignito del Nobel per la Pace nel 2019 – sulla scia di quello a Obama, si potrebbe dubitare oggi – e solo un anno dopo, da molte parti, gli si ventilavano accuse di genocidio.
Ma facciamo un passo indietro. Nel novembre 2020 Abiy Ahmed ordinava l’offensiva militare contro la regione etiope del Tigrè (e il TPLF, ossia il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè). I prodromi sono come sempre rivendicazioni di autonomia territoriale, da una parte (il Tigrè), e tentativi egemonici centralisti, dall’altra (Abiy Ahmed e Addis Abeba). In questo conflitto interregionale, si è inserita anche la vicina Eritrea, che appoggia militarmente il Primo Ministro etiope. Sebbene i giornalisti siano stati allontanati dalle zone di combattimento e sia, quindi, difficile avere il polso della situazione, il Guardian afferma che secondo le stime si può già parlare di 100 mila vittime. Amnesty International denuncia molteplici “massacri, violenze sessuali e altre atrocità commessi da entrambe le parti in conflitto”. Il Tigrè, in particolare, accusa Addis Abeba di operare un embargo che sta causando la carestia nella regione e che tale mossa sia parte di una “campagna di genocidio” (accusa rigettata dal Governo etiope). Secondo Michelle Bachelet – Alto commissario della Nazioni Unite per i diritti umani – il rapporto stilato dall’Onu e dall’Etiopia, reso pubblico il 3 novembre 2021, riferisce di violazioni dei diritti umani, alcuni dei quali possono ormai considerarsi “crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. Sempre secondo il Commissario, “la maggior parte delle violazioni” (tra novembre 2020 e giugno 2021) “pare siano state commesse dalle forze etiopi e dai loro alleati eritrei”. Dall’inizio della controffensiva del TPLF, Bachelet fa notare, però: “un aumento nel numero delle accuse di violazione dei diritti umani a carico” dei membri di quest’ultimo.
Con il nuovo anno la situazione non sembrava essere migliorata se l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani denunciava che, tra il 22 novembre 2021 e il 28 febbraio 2022, il suo ufficio aveva documentato l’uccisione di 304 persone e il ferimento di 373 a causa degli attacchi aerei nel Tigrè. Il 24 marzo HRW dava la notizia che tre bombe erano state lanciate da un drone sulla città di Dedebit, colpendo una scuola dove si trovavano alcune migliaia di tigrini rifugiati. Due giorni dopo, è arrivata però la prima buona notizia dopo 17 mesi di guerra: Tigrè ed Etiopia avrebbero finalmente firmato una tregua.
E chiudiamo con un appunto sulla situazione in Marocco e la never ending war tra lo Stato nordafricano (che rivendica l’unità territoriale) e il Fronte Polisario che da anni lotta per l’indipendenza del Sahara Occidentale. Visto che la stabilità del regno marocchino facilita la ‘detenzione’ di migranti al di fuori dell’Europa, anche la Spagna (dopo Stati Uniti, Francia e Germania) ha pensato bene di avallare le mire marocchine, dimenticandosi del principio di autodeterminazione dei popoli. Pare proprio che l’Europa si sia dimostrata sensibile alle istanze degli stessi solamente nel caso di kosovari, croati e sloveni.
Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: se le popolazioni muoiono letteralmente di fame, dove trovano questi Paesi i soldi per acquistare le armi e farsi la guerra? E chi gliele vende?
venerdì, 1° aprile 2022
In copertina: Etiopia. Foto di Fabio Mondelli da Pixabay.