La distopia di William Golding all’epoca del divide et impera
di Simona Maria Frigerio
Capita, a volte, di sentire parlare di un romanzo per anni ma, per strane coincidenze, di non riuscire mai a leggerlo. Mi era già successo con Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy, che ho rincorso per oltre quattro lustri, e adesso ho appena finito il libro del premio Nobel William Golding, Il signore delle mosche – liquidato spesso dalla critica nostrana come letteratura per ragazzi (quasi fosse più facile scrivere per gli adolescenti) ma che, pur avendo per protagonisti bambini e ragazzi, descrive emozioni, comportamenti e dinamiche che possono interessare persone di ogni età. A riprova il fatto che il romanzo, alla sua uscita negli anni 50, divenne un must per gli universitari statunitensi, insieme a Il giovane Holden di J. D. Salinger.
La trama è presto riassunta: un gruppo di ragazzi inglesi (si può supporre tra i 4 e i 14 anni circa), a causa di un incidente aereo e mentre sta infuriando una guerra planetaria, si salva con un atterraggio di fortuna su di un’isola tropicale disabitata. Dopo alcune descrizioni della natura intatta e lussureggiante e il tratteggio dei principali protagonisti (molto veritieri e senza scadimenti manichei), Golding si concentra sulle dinamiche di gruppo.
Dall’idillio della conoscenza – del luogo incantato e dei nuovi amici – in cui non mancano momenti di bonaria derisione o di sopraffazione (ancora sfumata di irruenza e inconsapevolezza giovanile) nei confronti del più debole (che già dovrebbero allarmarci), si passa al tentativo di costruire una società su basi democratiche in cui si dividono i compiti e il capo è eletto a maggioranza, ma è altresì garantita la libertà di parola a tutti.
Un idillio naturale e sociale che ha breve durata perché saranno i distinguo e le divisioni a emergere e a creare una dicotomia insanabile tra ‘cacciatori’ e ‘custodi del fuoco’, ovvero tra chi decide di abbandonarsi a un’istintualità violenta – in alcuni casi in quanto costituzionalmente propria e repressa solamente dal timore della punizione – e chi lotta per tornare a una dimensione civile, intesa anche come possibilità di convivenza pacifica e costruttiva.
Tra i due leader, rispettivamente Jack e Ralph, una serie di comprimari che declinano una rivalità anche adolescenziale e istintuale sotto diversi punti di vista. Piggy, fisicamente debole ma, proprio per questo, più portato alla meditazione e ad affrontare le situazioni in maniera razionale; Roger, sadico e sociopatico in erba; Simon, l’agnello sacrificale, la vittima predestinata, il corrispettivo del soldato Witt in La sottile linea rossa.
La fase di conflitto che si ha sempre a un certo punto, nello sviluppo delle dinamiche di gruppo – dato che ognuno ha le proprie idee e ragioni – e che è limitata dalle convenzioni sociali, dall’educazione, dal timore della punizione e/o delle leggi, qui si dispiega liberamente portando a galla sia la facilità con la quale l’essere umano può ricorrere alla violenza per imporsi, sia quanto conti il sentirsi parte di un gruppo per legittimare quella stessa violenza – anche ai propri occhi.
In Golding la caccia, intesa come violenza atavica, e la superstizione/religione, che si consacra nel rito e nel sacrificio animale o umano (poco importa il distinguo al branco assettato di sangue), distruggono quell’idillio naturale sul quale aveva costruito le prime pagine del libro (anche, forse, dilungandosi un po’ troppo nelle descrizioni di una natura incontaminata, a livello reale e metaforico).
I meccanismi che trasformano, quindi, un insieme di ragazzi che vanno a caccia in un clan con propri rituali, che prima esclude, poi attira (blandendo con pezzi di carne) e infine cerca di eliminare fisicamente ogni presenza dissenziente o critica ci riporta a questi 24 mesi di omologazione al pensiero unico, alla persecuzione degli intellettuali e dei pochi giornalisti dubbiosi, e di quei medici che hanno osato proporre cure o visioni alternative.
Del finale, in cui la denuncia di Golding è chiaramente contro ogni singolo ragazzo su quell’isola perché ognuno è responsabile per sé ma anche, in parte, della deriva complessiva del gruppo (se Ralph non ha ucciso, è stato però il primo a deridere Piggy e non ha avuto il coraggio di affrontare la ‘bestia’ in maniera razionale, permettendo che la superstizione prendesse il sopravvento), resta la consapevolezza di come sia facile perpetrare i peggiori crimini quando si abbia paura e quando, nel contempo, ci si senta forti perché parte di una maggioranza che, come tale, si pone come detentrice del vero.
Il parallelo con l’indifferenza dei lavoratori vaccinati nei confronti dei loro colleghi che fanno scelte diverse, esercitando il diritto all’autodeterminazione, pare alquanto urticante. Anzi. Molti, troppi in questi mesi si sono sentiti vendicati da questo Governo, nelle successive restrizioni contro i non vaccinati, dato che hanno sentito, essi stessi, di essersi assoggettati controvoglia al diktat del vaccino. Molti, troppi hanno goduto delle vessazioni inflitte a chi non ha voluto piegarsi. Paura e sensazione di potenza, perché parte della maggioranza, possono creare mostri – su un’isola deserta come in un Paese alla deriva.
Chi salverà gli italiani? Golding amava dire: “La natura mi induce a essere ottimista e la ragione a essere pessimista”.
venerdì, 18 marzo 2022
In copertina: Un particolare della copertina. William Golding, Il signore delle mosche, Oscar Moderni.
Nel pezzo: Cinghiale ucciso durante una battuta di caccia, foto di Simona Maria Frigerio (tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione)