Dal 27 gennaio al 16 marzo: due date da ricordare
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Superata la Giornata della Memoria (che, a dire il vero, è stata un’intera settimana dedicata a tutto il repertorio filmico sulla Shoah), asciugata la lacrima per il cappottino rosso di Schindler’s List, occorrerebbe rendersi conto che è fin troppo facile continuare a rivangare fatti vecchi di settant’anni e che non ci coinvolgono direttamente – né a livello sociale o economico, né personale – invece di battersi per i genocidi ancora in atto a ogni latitudine del nostro mondo globalizzato.
Partiamo da un fatto. La Shoah è avvenuta ed è indiscutibile – un orrore che resta una macchia indelebile sulle nostre coscienze di esseri umani. Ma i nazisti (e in misura minore i fascisti nostrani) sebbene più burocratici e precisi nel portare avanti lo sterminio – anche grazie al ‘progresso’ tecnologico – non furono i primi ad accanirsi contro gli ebrei, basti ricordare il Decreto dell’Alhambra firmato dai cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona e il precedente progrom del 1391, avvenuto a Siviglia. A finire nelle camere a gas, inoltre (e spiace che nessun film in programma ci pare averlo raccontato), non furono solamente gli ebrei (sebbene con maggiore sistematicità). L’Olocausto condannò a morte oppositori politici (soprattutto comunisti), minoranze etniche come i Rom o i Sinti, gli appartenenti ai Testimoni di Geova e altri gruppi religiosi, gli omosessuali e le persone con disabilità fisica, psichica o mentale. Peccato che, come insegna Noam Chomsky, le vittime siano di serie A o B, e tutti gli appartenenti a queste categorie siano stati quasi completamente dimenticati dalla celluloide (a parte eccezioni, che però non ci è parso di vedere proiettate, quali Una giornata particolare di Ettore Scola).
Detto questo, oggi gli israeliani – ossia gli ebrei che sono tornati a vivere in Palestina, scacciando gli inglesi anche a suon di bombe (tra i molti attacchi terroristici sionisti, compiuti dall’Irgun, basti ricordare l’attentato al King David Hotel del 22 luglio 1946 che causò la morte di 91 persone e il ferimento di altre 46) – stanno commettendo a loro volta un genocidio contro il popolo palestinese e lo stanno perpetrando dal 1948 – quando iniziò l’esodo della popolazione araba presente nei territori palestinesi sotto Mandato britannico. Tremenda quasi quanto la Shoah, la ‘catastrofe’ palestinese – che continua da 74 anni – è denominata Nakba (termine che dovrebbe entrare nel nostro lessico tanto quanto). Lo Stato israeliano nasce nel sangue e continua a reggersi sul progressivo annientamento di un altro popolo nel più assordante silenzio della comunità internazionale – a parte le solite risoluzioni dell’Onu che nulla modificano nei rapporti di forza, visto che Israele è garantito dall’alleato statunitense. Lo ricordiamo, tra l’altro, a due giorni dall’anniversario della morte dell’attivista per la pace, Rachel Corrie (il 16 marzo 2003), “schiacciata volontariamente da un buldozer corazzato dell’esercito di occupazione israeliano” mentre tentava di impedire che alcune case palestinesi fossero rase al suolo.
Ma nel mondo, tra Ottocento e Novecento, si sono succeduti anche altri genocidi – da quello degli armeni a quello dei Tutsi e degli Hutu, dai Maya in Guatemala alla pulizia etnica in ex Jugoslavia, passando per la ‘fintamente pacifica’ Bali, dove si consumò la strage dei membri del Partito Comunista tra il 1965 e il 1966. Il problema non è capire chi sia stato più crudele o chi lo abbia fatto più scientificamente – perché il re del Belgio, Leopoldo II, forse non aveva lo Zyklon B ma i suoi emissari furono alquanto efficienti, dato che le stime parlano di oltre 10 milioni di morti tra la popolazione congolese. Ciò che conta, oggi, sarebbe guardarsi intorno e denunciare ogni atto di pulizia etnica, senza badare se si pestano i piedi dei nostri ‘alleati’ o se coloro che sono decimati ‘contano’ sullo scacchiere internazionale.
Oltre ai palestinesi che vivono nel lager a cielo aperto di Gaza [1] e ricordiamo ciò che scrisse Moni Ovadia, a riguardo, nel 2012: “un inferno in cui in generale i palestinesi di Gaza vivono ormai da decenni e non solo i palestinesi di Gaza. Per loro la tragedia è immane, ma anche nei territori occupati si vive in una prigione a cielo aperto”, pensiamo al genocidio dei Rohingya – perseguitati in Myanmar persino quando al potere (o almeno ufficialmente al potere) c’era la Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Ky. Nella Repubblica Popolare Cinese (che, attualmente, con la sua politica Covid-free sta rinchiudendo milioni di persone per settimane al primo starnuto di due o tre e non si comprende se miri più alla sicurezza sanitaria o al controllo sociale), al di là dell’occupazione decennale di uno Stato sovrano come il Tibet a opera del ‘comunista’ Mao Tze Dong, si aggiunge il genocidio demografico e culturale degli Uiguri.
I nativi americani, vittime del genocidio, sono stati oltre 100 milioni e se, in Centro e Sud America le comunità indigene sono riuscite – almeno in alcuni Paesi – a riconquistare parte dei propri diritti e a conservare i propri costumi (eclatante l’elezione di Evo Morales a Presidente della Bolivia nel 1998), i nativi presenti negli Stati Uniti continuano a vivere nella più completa esclusione sociale. I tassi di suicidio, alcolismo e disoccupazione nelle riserve statunitensi sono altissimi, mentre il Governo pensa di poter sfruttare i territori dei nativi come propri – vedasi il caso del Dakota Access Pipeline, l’oleodotto che lo zio Sam ha deciso di costruire nelle zone sacre ai Sioux, volenti o nolenti i legittimi proprietari. Non va meglio nell’Australia assurta a campione della salvaguardia della salute pubblica con l’affaire Đoković; Paese dove è stato perpetrato il genocidio degli aborigeni e dove tuttora, in uno Stato che esaltiamo per la sua democrazia, gli stessi vivono nella più assoluta povertà, hanno gravi problemi di alcolismo e i cui maschi sono presenti 12 volte – e le femmine 14 volte – più dei ‘bianchi’ nelle varie strutture carcerarie; mentre, ad esempio nel Nuovo Galles del Sud, i minori aborigeni possono essere arrestati anche solo per il ‘sospetto’ di un possibile reato.
Ovviamente la lista della spesa potrebbe e dovrebbe essere più lunga. Basta questo per capire che, invece di commemorare con una settimana cinematografica il Giorno della Memoria (il 27 gennaio, in ricordo della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte – sarebbe bene rammentarlo – dell’Armata Rossa, come raccontava anche Primo Levi) ancora, solo e sempre, come mea culpa per ciò che accadde agli ebrei a opera dei nazi-fascisti, sarebbe il caso – partendo da uno sterminio che interessò più etnie, religioni e scelte (politiche e sessuali) – di agire nell’oggi.
La retorica ha esaurito il suo tempo.
[1] Tra i consigli di lettura per approfondire il tema: https://www.graduateinstitute.ch/sites/internet/files/2020-05/Book%20PALESTINESI%2001-2020.pdf
e l’intervista ad Abeer Odeh, Ambasciatore dello Stato di Palestina in Italia: https://www.inthenet.eu/2021/05/19/speciale-dalla-palestina/
venerdì, 18 marzo 2022
In copertina: Berlino, Monumento alla memoria delle vittime dell’Olocausto, foto di Luciano Uggè (vietata la riproduzione).