La censura ai tempi di Pasolini e oggi
di Simona Maria Frigerio
Pasolini era sempre urticante, ma la questione se sia legittimo o meno censurare un oggetto o un’azione artistica, anche dopo oltre 40 anni dalla sua morte, continua a essere oggetto di discussione.
Partendo dalla storia, si fa risalire ai censori romani la pratica di vigilare sul comportamento dei loro concittadini. Poi, dopo secoli di ‘magnifiche sorti e progressive…’, nell’epoca dell’Inquisizione, si iniziò a finire sul rogo per eresia ma anche per molto meno: se si leggono i verbali del procedimento giudiziario a carico della pulzella d’Orleans [1] – aldilà dell’essere un processo politico rivestito dagli stendardi della religione – salta all’occhio l’importanza attribuita dai ministri della Chiesa al fatto che Giovanna vestisse o meno abiti maschili. Anzi, lo spazio dei ripetuti interrogatori dedicato a ‘brache e gonnelle’ susciterebbe la nostra ilarità se non sapessimo come finì il processo. Ma è nel periodo nazista che la propaganda cominciò ad andare a braccetto con forme di controllo politico – e non più religioso – delle arti a fini squisitamente ‘educativi’. Lo Stato etico prese a giudicare ogni prodotto artistico definendo quadri, sculture, film, libri e opere teatrali – non corrispondenti a una visione totalitaria ed elitaria della cosiddetta ‘razza’ ariana – come degenerati (salvo scoprire, terminata la ‘resistibile ascesa’, che alcuni gerarchi amavano indulgere nel possesso di tali opere, come in vizi privati e pubbliche virtù).
Ma arriviamo agli anni dal Dopoguerra al 1975, che videro Pasolini affrontare ben trentatré processi (che spaziavano da atti osceni in luogo pubblico a diffamazione a mezzo stampa – ma soprattutto innumerevoli erano i procedimenti per oscenità) e il sequestro di quasi tutte le sue opere. La frase che dà il titolo a questo pezzo fu pronunciata durante l’ultima intervista francese, rilasciata a Dix De Der, dal regista e intellettuale il 31 ottobre 1975, in occasione della presentazione di Salò o le 120 giornate di Sodoma – film la cui odissea giudiziaria si concluderà ben due anni dopo l’omicidio tuttora parzialmente irrisolto del suo autore.
Se il libro ha la mediazione della fantasia personale e quel certo distanziamento dato della pagina stampata, dalla parola meditata, il cinema – attraverso l’immediatezza riconoscibile e compartecipabile dell’immagine – ha sofferto le forche caudine censorie con maggiore frequenza. Accanto a Pasolini (che vide persino un film da lui giudicato come profondamente religioso, quale La ricotta, essere perseguito per vilipendio alla religione – si badi bene, ‘di Stato’), basti citare uno tra i capolavori di Nagisa Ōshima, Ecco l’Impero dei sensi che, nel 1975, non solamente fece scandalo per la scelta registica di girare un film d’arte – e non ‘pornografico’ – immortalando autentici amplessi ma che pose il piacere femminile in primo piano – fatto, questo, forse più ‘riprovevole’ dell’aver mostrato un pene durante una penetrazione (e del resto, perché inquadrare una penetrazione sarebbe più osceno dell’inquadrare una nascita o un tramonto?). Lunga e penosa anche l’odissea di Ultimo tango a Parigi, girato nel 1972 da Bernardo Bertolucci. Due anni dopo, su Action!, il periodico della Directors Guild of America, il regista raccontava: «Ultimo tango è stato proiettato per la prima volta a Bologna [che avrebbe dovuto essere, ma non fu, una piazza più ‘liberal’ vista la massiccia presenza dell’allora Partito Comunista Italiano, n.d.g.], e ci sono state un sacco di denunce. Abbiamo vinto il processo, ma il Pubblico Ministero ha fatto appello. Abbiamo perso in appello, e siamo stati condannati a due mesi di prigione, Marlon Brando incluso…». Anche qui, forse, più per la banale sodomia implicita che non per altri passaggi – più filosofici – del film.
Tutto è bene quel che finisce bene?
Il 5 aprile 2021 è stata finalmente abolita, in Italia, la censura cinematografica ma, al suo posto, è stata costituita una Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche presso la Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura, per “la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte degli operatori”. Al divieto ai minori di 14 o 18 anni, si è aggiunto quello ai minori di 6 anni… E se si pensa che questo sia un grande passo in avanti, basti considerare il giudizio rispetto al recente La scuola cattolica, che è stato vietato ai minori di 18 anni, per capire come potranno anche cambiare le definizioni ma dubitiamo cambino i contenuti.
Ciò che il potere nasconde e teme sia esposto non è un pene ma se quel pene è al servizio del piacere di una donna, se opera ‘contro natura’ o senza un fine procreativo e, soprattutto, se nella trama si insinua il sospetto che storture o violenze siano state procreate non già da menti perverse, ma da religioni di Stato o Stati etici che mai ammetterebbero di ‘covare la serpe in seno’.
Ieri come oggi la censura, come la ghigliottina, cala ovviamente sulla cosiddetta ‘oscenità’ esplicita ma per celare quella implicita: perché altrimenti censurare Todo modo o, oggi – con le dovute proporzioni etiche ed estetiche – La scuola cattolica?
[1] Il processo di condanna di Giovanna D’Arco, a cura di Teresa Cremisi, 2000, SE S.r.l.
SPECIALE – sabato, 5 marzo 2022
In copertina: Foto scattata durante il processo per La ricotta. Fotografia di pubblico dominio, tratta da Wikipedia.