Alcune considerazioni sul caso ucraino
di Francesco Chiaro
L’unanime indignazione dell’Occidente nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina nasconde un’ipocrisia e un double standard razziale alla base dei problemi del Secolo Breve più lungo di sempre. Se l’Europa morirà, non sarà per colpa degli invasori, ma della sua stessa e inveterata mentalità imperialista.
“Kiev sta cadendo, l’Europa sta morendo” (Il Riformista, sabato 26 febbraio), “Forza Occidente” (La Ragione, sabato 26 febbraio), “Abbiamo la guerra in Europa” (Repubblica, 24 febbraio), “Occidente in fuga da Kiev” (Il Sole 24 Ore, 12 febbraio). Dopo una fitta campagna mediatica di polarizzazione dell’opinione pubblica basata sulla semplicistica (e quindi ontologicamente errata, considerando la complessità dell’esperienza umana) visione dicotomica della realtà, qui candidamente divisa tra bene e male, tra Occidente e Oriente, tra Stati Uniti e Russia, non c’è da stupirsi se le piazze italiane ed Europee si siano riempite di accorate moltitudini inneggianti alla pace, alla fine delle incursioni militari in territorio ucraino e alla risoluzione diplomatica di un conflitto né inaspettato né inevitabile, considerati i suoi otto anni di età. Lo stupore, invece, nasce e si sedimenta con amarezza in un palato da tempo abituato a sapori rivoltanti dal retrogusto nazionalista quando, allo scoccare della più volte annunciata ora X, la società civile occidentale si riversa sì nelle piazze per manifestare il proprio dissenso, ma lo fa con una veemenza antibellica selettiva, tanto più accorata quanto più vicine a noi scoppiano le bombe che pur uccidono sempre e comunque esseri umani, a prescindere dalle latitudini.
Solo nell’ultimo decennio (per non affondare ulteriormente il dito nella piaga e riportare la mente a tutti i conflitti ʻdemocratici’ dalla Seconda Guerra Mondiale in poi), il mondo al di qua dei Balcani ha assistito con relativo menefreghismo alle invasioni armate (guidate dalle stesse logiche di profitto di volta in volta camuffate da sempre più spudorate distorsioni della realtà) in paesi come il Mali, la Siria, l’Afghanistan, la Libia, l’Etiopia, l’Eritrea, la Somalia e molti altri, reagendo con qualche piccola e onesta manifestazione antiimperialista serenamente ignorata da quei governi che, per via dei propri interessi postcoloniali in quegli stessi paesi, non avevano né hanno alcun motivo per condannare nei fatti tali violenze agite su vite umane palesemente sacrificabili, poiché altre e altrove. Ora che le mura della tanto lodata Fortezza Europa, però, tremano per i colpi dei cannoni fin troppo ravvicinati, ecco che l’ipocrisia latente di una società profondamente e artificialmente divisa tra ʻnoi’ e ʻloro’ torna subito a galla, traducendosi in indignazioni che pur si sarebbero dovute palesare a ogni violazione dei diritti umani e internazionali, ma che curiosamente non trovavano mai un audience abbastanza probo da scendere in piazza con le bandiere di ognuno dei paesi di volta in volta sotto assedio.
Lo stupore, poi, si trasforma con rapidità in rabbia davanti alle immagini di migliaia di cittadini/e polacchi/e che, vittime anch’essi/e di una narrazione sempre più polarizzante (e dunque radicalizzante) dello stato del mondo, si affrettano verso la frontiera con l’Ucraina per prestare aiuto alle persone in fuga da un conflitto insensato come ogni guerra mai dichiarata sulla faccia del pianeta, tenendo in mano cartelli in cui si offrono cibo, acqua, posti letto e perfino passaggi per altri Stati dell’Unione. La rabbia, ovviamente, non scaturisce da questo gesto di solidarietà profondamente umano, bensì dalla totale mancanza di esso anche nei confronti di quelle altre migliaia di persone che da mesi si accalcano lungo quello stesso confine, in fuga da una guerra altrettanto insensata, mossa da interessi economici ugualmente deprecabili e malcelati. Una rabbia che si fa ben presto incendiaria davanti alle testimonianze di richiedenti asilo africani, indiani e di altre nazionalità “colorate” costretti a “farsi da parte” per permettere ad altri rifugiati, questa volta di serie A perché bianchi e quindi “nostri”, di trovare riparo nelle braccia sempre aperte di Mamma Europa, per la quale siamo tutti uguali, nonostante alcuni/e lo siano un po’ di più di altri/e. Come ammesso dall’inviata della testata online statunitense NPR, Lauren Frayer, infatti, interrogata circa la situazione sul confine ucraino-polacco, «la situazione è completamente diversa rispetto a qualche mese fa, quando la Polonia aveva bloccato i migranti del Medio Oriente provenienti dalla Bielorussia. Adesso i confini sono quasi completamenti aperti. Non stiamo parlando di persone dal Medio Oriente o dall’Africa che vengono discriminate. Stiamo parlando di “connazionali” Europei vittime di un attacco da uno dei nemici storici della Polonia, la Russia» (traduzione nostra).
Nel frattempo, tra turpi primati mondiali e vergognosi e surreali applausi autoassolutori, l’Occidente non sembra avere remore nel rincarare la dose di razzismo sistemico, con la Commissione europea e diversi Paesi dell’Unione che propongono di applicare la direttiva europea per la “Protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati”, direttiva che non ha mai trovato applicazione dal suo varo nel lontano 2001, nonostante i massicci afflussi di rifugiati/e che hanno cercato, molti/e invano e a costo della propria vita, di mettersi in salvo in quella stessa Europa dal 2008 in poi. All’alba di un paventato conflitto nucleare, poi, appare sempre più evidente come millenni di conflitti armati e morti inutili, generati e non creati dall’esistenza di nazionalismi e confini imposti dall’alto, non abbiano insegnato nulla nemmeno ai più benpensanti tra di noi, vittime tutti/e di una contemporaneità acritica fondata sull’immediato, sul consumo e sulle speculazioni economiche e sociali proiettate verso un futuro cieco e sordo alle grida di una Storia sempre più revisionata e dimenticata perché foriera di consapevolezze e prese di coscienza troppo scomode per i governi del moderno divide et impera globale.
SPECIALE – Lunedì, 28 febbraio 2022
In copertina: Foto gentilmente fornita dall’Autore del pezzo (Fonte Twitter).