Il neurologo Gianni Gentilini torna su InTheNet per fare chiarezza
di Simona Maria Frigerio
In queste ultime settimane è stato pubblicato il Rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini anti-COVID-19 (27/12/2020 – 26/12/2021) da parte dell’Aifa. Un documento che, già dal titolo, pare schierarsi non a favore della ricerca scientifica bensì della ‘bontà’ dei vaccini. I dati riportati nel documento ufficiale, inoltre, andrebbero soppesati con cura in quanto l’algoritmo dell’Oms, messo a punto nel 2018, definisce un evento avverso correlabile con la vaccinazione solamente se la stessa è l’unica spiegazione possibile – escludendo, quindi, il vaccino quale concausa di una reazione avversa su un soggetto predisposto o con altri fattori di rischio. Così come, quando si muore di qualsiasi patologia, da due anni a questa parte, e si riscontra una positività al Covid, si imputa a quest’ultimo il decesso, indipendentemente da altre patologie – e non solamente quando ci si trovi di fronte a polmonite e/o tromboembolismo venoso. Inoltre, l’Aifa prende in considerazione soltanto le segnalazioni della farmacovigilanza passiva, ossia le segnalazioni spontanee dei pazienti che devono, innanzi tutto, controbattere alle risposte di medici che, in prevalenza, escludono a priori ogni correlazione.
Dall’altro lato, il Bollettino dell’Istituto Superiore della Sanità del 16 febbraio 2022 confermerebbe l’alto numero di decessi nelle persone che hanno ricevuto il cosiddetto booster. Un trend che si riscontra da settimane ma che, all’inizio, avevamo imputato al fatto che i primi a effettuare la terza dose erano persone molto anziane e con patologie pregresse. Essendo sempre più difficile fare raffronti con la categoria dei non vaccinati, nella quale rientrano anche coloro che hanno ricevuto una doppia dose da oltre sei mesi (e che, al contrario, in Europa sarebbero considerati ancora vaccinati e, negli Stati Uniti, fully vaccinated), riportiamo la tabella dei vaccinati da oltre e da meno di quattro mesi e quella dei trivaccinati.
Vaccinati con 2 dosi da oltre 120 gg | Vaccinati con 2 dosi da meno di 120 gg | Booster | |
Popolazione al 29/01/2022 | 14.575.900 | 6.164.226 | 26.205.910 |
Diagnosi tra 14/01/2022- 13/02/2022 | 848.833 | 439.413 | 717.143 |
Popolazione al 15/01/2022 | 18.796.851 | 8.012.376 | 19.675.949 |
Ospedalizzazione 31/12/2021- 30/01/2022 | 13.660 | 3.480 | 3.480 |
Ricovero in TI 31/12/2021- 30/01/2022 | 736 | 140 | 474 |
Popolazione 08/01/2022 | 20.133.986 | 9.055.320 | 17.128.172 |
Decessi 24/12/2021- 23/01/2022 | 2.757 | 277 | 1.918 |
Oltre al fatto che non si comprende come mai vi sia il divario (qui riportato) tra ricoverati in terapia intensiva e morti, il dato che lascia perplessi è quel 1.918 decessi in persone col booster su 17.128.172 trivaccinati non di molto inferiore ai 2.757 decessi tra i vaccinati da oltre 120 gg su 20.133.986 individui. Se si pensa che i vaccinati con 2 dosi da meno di 120 gg hanno una mortalità di 277 persone su 9.055.320, qualcosa non torna rispetto all’efficacia della terza dose a riportarci ai livelli di protezione delle prime due. Ma soprattutto, se la maggior protezione si ottiene nei primi quattro mesi con due sole dosi, perché far partire la campagna vaccinale così presto e non programmarla, come si fa sempre in caso di influenza, in autunno?
A questo punto abbiamo ricontattato il dottor Gentilini per capire qualcosa di più sui vaccini a mRNA – la loro genesi, i loro limiti e le loro potenzialità; sui dati Aifa riferiti agli eventi avversi; sulla sperimentazione compiuta; sul funzionamento della spike e sulla pericolosità, in generale, dei processi infiammatori.
La prima domanda riguarda le persone con patologie pregresse (raggruppate nella definizione di ‘fragili’). Secondo la comunità scientifica dovevano essere le prime a essere vaccinate, in quanto – se contagiate – avrebbero rischiato una degenerazione verso forme gravi della malattia. Le stesse erano state incluse nelle sperimentazioni dei vaccini prima dell’approvazione? E le donne in gravidanza? Gianni Gentilini: «La definizione di ‘pazienti fragili’ rientra in una serie di generalizzazioni della quale fanno parte, ad esempio, i ‘grandi vecchi’ o ‘grandi anziani’ e simili, già invalse da qualche tempo. In verità non è chiaro quale possa essere l’utilità di tali categorizzazioni per coloro che vi vengono inclusi. Le parole fragile e fragilità, se non proprio brutte, sono certamente problematiche. Anzitutto sono assolutamente generiche e, per giunta, connotano significati per lo più negativi e malamente definibili; evidentemente si è di fronte al contrario di ciò che dovrebbe caratterizzare il linguaggio scientifico, ossia termini il più possibile precisi che permettano quindi agevolmente sia la standardizzazione che la misurazione. Ebbene, nonostante tutto, a distanza di poco più d’un lustro dagli ancor incerti tentativi italiani di definizione del termine ‘fragile’ in ambito socio-sanitario, la politica vaccinale del Paese ha fatto di tale assai dubbia definizione un perno fondamentale nelle scelte di sanità pubblica. L’opaco calderone dei ‘fragili’ s’è così rivelato un gurgite vasto in grado d’inghiottire da solo la maggioranza degli ‘ammalorati’ d’Italia senza ulteriori particolari specifiche. La cosa fa assai rimpiangere definizioni come ‘paziente a rischio’, dove il rischio dev’essere calcolato secondo precisi parametri individuali. L’assai generica definizione di ‘fragili’ ha permesso sicuramente un enorme risparmio di più appropriate valutazioni e di tempi e, sotto lo scudo dell’emergenza, ha favorito abbondanti inoculazioni. La sperimentazione autorizzativa condotta dalle case farmaceutiche s’è svolta peraltro solamente trattando individui sani e di un’età compresa al massimo tra 12 e 85 anni (con i gruppi più estremi meno rappresentati) e senza che nella sperimentazione fossero incluse donne in gravidanza. La cosa è nota (si veda per Pfizer e BioNTech SE: Study to Describe the Safety, Tolerability, Immunogenicity, and Efficacy of RNA Vaccine Candidates Against COVID-19 in Healthy Individuals https://www.clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04368728?term=BNT162b2&phase=2&draw=2). Che poi si tratti tuttora di farmaci solo parzialmente sperimentati e concessi condizionatamente a sperimentazione ancora in corso dovrebbe essere altrettanto chiaro e noto. Ne consegue, inevitabilmente, che essendo stata effettuata su individui sani (Healthy Individuals) non sono state affatto studiate né la sicurezza né l’immunogenicità, la tolleranza o l’efficacia negli immunodepressi, nei cancerosi, nei sofferenti di patologie neurologiche e così via, vale a dire che la somministrazione in presenza di una qualsivoglia malattia non è stata indagata nei suoi effetti, e altrettanto si può dire per una situazione fisiologica quale è la gravidanza. Va da sé che consigliare o, a seconda dei casi, imporre la gratuita somministrazione del miracoloso rimedio catalogato come ‘vaccino’, a tali categorie di persone ha significato sottoporli a una sperimentazione di fase uno senza che i partecipanti fossero informati del fatto e delle possibili, ignote conseguenze anche a breve termine; per di più senza alcun meccanismo di sorveglianza attiva in atto. Le cavie constateranno i risultati. Lo stesso, ovviamente, può valere per le gravide. Si potrebbe ulteriormente aggiungere che i dati forniti dalle case produttrici sono rilevanti solo per quel che riguarda la rilevazione della sintomatologia della Covid-19 e non però per il tasso di letalità, non essendo abbastanza estesi e dunque potenti per poter rilevare valori statisticamente significativi per questo endpoint. Altrettanto potrebbe valere per la misurazione della capacità del vaccino d’interrompere la trasmissione virale – infatti, solo dopo l’inizio della campagna s’è notata l’aleatorietà di tale effetto; assai scarsa era anche la possibilità di valutare i rischi d’ospedalizzazione e ricoveri in intensiva. Per giunta i trial clinici, eseguiti dalle aziende produttrici al fine dell’autorizzazione, presentano notevoli criticità. Tali aziende, giustificandosi con un improbabile umanitarismo, fin dal gennaio 2021 si sono premurate d’offrire a tutti i partecipanti ai gruppi di controllo, parte necessaria del doppio cieco, il salvifico vaccino. Se non bastasse la così ottenuta scomparsa della possibilità di controllare per confronto, gli studi effettuati per l’autorizzazione sono stati troppo brevi per essere in grado di fornire qualche evidenza circa gli effetti del vaccino a medio e lungo termine. Un campione molto esteso potrebbe infatti essere in grado di rilevare gli effetti rari, ad esempio negli individui con particolari e infrequenti predisposizioni, poiché la probabilità d’intercettare casi simili aumenta parallelamente all’aumentare del numero dei partecipanti. Ciò però non potrà mai essere in grado di registrare gli effetti destinati a svilupparsi nel tempo. Inoltre per alcune fasce d’età la dimensione del campione studiato era assolutamente toppo ridotta: è il caso, ad esempio, dei giovani tra 12 e 18 anni (https://www.clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04368728?term=BNT162b2&phase=2&draw=2).
I vaccini a mRNA hanno una lunga storia (come si legge in https://www.nature.com/articles/d41586-021-02483-w). Eppure, nonostante Moderna avesse ottenuto un miliardo di dollari di finanziamenti per la ricerca (già prima del 2015), nel 2020 nessuno dei suoi 9 vaccini a mRNA in sperimentazione poteva dirsi un ‘successo’. Com’è stato possibile superare le difficoltà tanto velocemente?
G. G.: «Ciò è avvenuto sostanzialmente grazie ad alcuni fattori decisivi. Il primo consiste nell’attribuzione ufficiale del nome di vaccino a farmaci con tecnologia a mRNA e DNA, resa possibile da una variazione del testo d’una legge degli Stati Uniti progettata per aggiornare gli stanziamenti finanziari e richiamata nel link che segue: https://www.govinfo.gov/content/pkg/PLAW-116publ94/html/PLAW-116publ94.htme. Tale legge è stata emanata dalla Camera dei rappresentanti il 17 dicembre 2019 e approvata dal Senato americano. Un’apparentemente banale frasetta tra parentesi (a pagina 133 STAT. 3127), modifica radicalmente la precedente definizione di prodotto biologico e quindi anche di vaccino: Section 351(i)(1) of the Public Health Service Act (42 U.S.C. 262(i)(1)) is amended by striking “(except any chemically synthesized polypeptide)”. Tale minima variazione, di certo sfuggita ai più, vista l’imponenza della legge stessa, modifica radicalmente il testo precedente della legge federale degli Stati Uniti, in vigore fino al dicembre del 2019, dove la definizione legale di prodotto biologico (qui in italiano) era la seguente: “Il termine ‘prodotto biologico’ indica un virus, siero terapeutico, tossina, antitossina, vaccino, sangue, emocomponente o derivato, prodotto allergenico, proteina (eccetto qualsiasi polipeptide sintetizzato chimicamente), o prodotto analogo, o arsfenamina o derivato di arsfenamina (o qualsiasi altro composto organico trivalente di arsenico), applicabile alla prevenzione, al trattamento o alla cura di una malattia o condizione degli esseri umani”. L’mRNA è un polipeptide. Per una curiosa coincidenza (non c’è correlazione?), e secondo narrativa, l’mRNA presente nei ‘vaccini’ genici è un polipeptide di sintesi che, come dimostrato dai fatti, può essere ovviamente sintetizzato e inoltre modificato. Il messaggio genico che detto mRNA include determina a sua volta a livello ribosomiale (ossia all’interno delle cellule) la sintesi di un altro composto proteico estraneo: la Spike del coronavirus. Il testo stilato dalla FDA e in seguito pubblicato il 21.2.2020 (Link: Sec 605 Biological Product Definition https://www.federalregister.gov/documents/2020/02/21/2020-03505/definition-of-the-term-biological-product) riguardava poi in dettaglio la «definizione di ‘prodotto biologico’» o meglio la ‘ridefinizione’, nonché il valore legale del termine ‘proteina’ o meglio ‘polipeptide’, ciò naturalmente anche in base alla modificazione della legge effettuata in data 17 dicembre 2019. La ‘ridefinizione’ del termine ‘vaccino’ che ne è conseguita pare sia stata passivamente accettata ovunque. Ciò ha consentito d’evitare le complesse procedure precedentemente previste per polipeptidi di sintesi e di poter applicare ai nuovi farmaci tutte le agevolazioni autorizzative o meno (ad esempio, esenzione dalle responsabilità legali), previste invece per i vaccini. L’accelerazione che ne è derivata risulta evidente. Il secondo fattore assolutamente utile, se non necessario, per affrettare ricerca, sperimentazione, produzione e distribuzione dei vaccini è stata la dichiarazione di ‘pandemia’. Di fronte al virus sconosciuto e alla sua catastrofica diffusione, vista l’assolutamente ribadita assenza d’altri rimedi e nonostante i da Lei citati e noti insuccessi precedenti, le ombre del passato sono state rapidamente cancellate dai trionfalistici annunci del successo di una sperimentazione durata pochi mesi e di per sé insufficiente. Il concorso d’intere classi politiche ha poi rapidamente sancito ‘ope legis’ tanto l’approvazione che la distribuzione su scala dei citati farmaci genici. Il massiccio contributo dei media, pressoché unanimi nel sostenere tali scelte, ha fatto il resto. A voler pensar male un terzo fattore potrebbe essere sospettato, ovvero una certa collusione tra regolatore e produttori, naturalmente per dirlo si attende eventuale conferma in sede giudiziaria, ma in una recente registrazione fatta a sua insaputa, Christopher Cole, un funzionario esecutivo della FDA, ha parlato dei nuovi vaccini dicendo che nella FDA ci sarebbe “a manager in the office that helps oversee the approval of the Covid vaccines for emergency approval” (un manager nell’ufficio che aiuta a sorvegliare l’approvazione dei vaccini Covid al fine dell’approvazione d’emergenza); e “The drug companies, the food companies, the vaccine companies. So, they pay us hundreds of millions of dollars a year to hire and keep the reviewers to approve their products” (Le compagnie farmaceutiche, alimentari e dei vaccini. Così, loro ci pagano centinaia di milioni di dollari all’anno per assumere e mantenere i revisori per approvare i loro prodotti). Tali affermazioni e altre simili sono state però immediatamente smentite dalla FDA».
In Italia i dati sugli effetti avversi post-vaccino terrebbero conto degli eventi che occorrono nelle due settimane successive all’inoculazione. Secondo lei, è corretto limitare il tempo delle possibili conseguenze a 14 giorni?
G. G.: «In realtà non esiste un esplicito termine di riferimento e l’indicazione deriva dall’algoritmo usualmente in uso per i vaccini tradizionali: è frequente il richiamo al fatto che molti degli effetti collaterali (ad esempio la miocardite) “possono svilupparsi pochi giorni dopo la vaccinazione e si sono verificati principalmente entro 14 giorni”, ovviamente tale sottolineatura, che richiama appunto criteri in uso per i vaccini tradizionali, potrebbe essere fuorviante. Infatti, trattandosi di prodotti dotati di meccanismi d’azione profondamente diversi rispetto ai precedenti, non sembra ragionevole indurre, almeno indirettamente, il vaccinatore o comunque il medico a poter tendenzialmente escludere, il nesso di causalità adducendo un generico dato statistico di maggior frequenza nel periodo temporale indicato. Comunque sia il tempo massimo altrove individuato, almeno per alcune patologie, è riportato ai 42 giorni relativi alla finestra temporale di rischio osservata per altri vaccini. Si ripete comunque quello che può essere considerato un uso almeno improprio dei criteri usualmente adottati per valutare farmaci o vaccini dal meccanismo ben noto, mentre in tal caso il meccanismo d’induzione genica atta a modificare le funzioni cellulari, inducendole alla produzione di Spike, è in campo vaccinale una novità assoluta. Ciò avrebbe dovuto se non imporre, almeno vivamente consigliare l’esecuzione di studi, seppur di coorte, basati sulla sorveglianza attiva, nel lungo, se non proprio nel lunghissimo periodo; siamo invece alla pura e semplice sorveglianza passiva, il più delle volte disincentivata dagli stessi medici, vuoi per evitare l’impiccio burocratico, o per disinformazione, o ancora per una fideistica accettazione dei nuovi farmaci. Quanto ai criteri comunemente adottati per stabilire il nesso di causalità tra evento avverso e vaccinazione, potrebbe essere utile la revisione critica di quelli adottati anche dall’OMS effettuata nello studio del quale al link: https://www.aggiornamentimedicina.it/revisione-valutazione-causalita-organizzazione-mondiale-sanita-oms-eventi-avversi-seguito-immunizzazione-critica/ che risulta interessante anche se non specifico per i nuovi vaccini genici. Sinteticamente gli algoritmi usualmente accettati tengono conto di una serie di diversi fattori: anzitutto della relazione temporale fra vaccinazione ed evento avverso segnalato; come s’è detto tale criterio presenta notevoli criticità. In secondo luogo vi è la presenza di possibili spiegazioni alternative; tale punto è di grande rilevanza perché fa sì che se “sussistono dati solidi a favore di altre cause”, cioè qualora esista una patologia preesistente o in atto, si possa decidere per un “legame di causalità con la vaccinazione non coerente”. Vale a dire che se un soggetto soffre di stenosi coronarica, un infarto cardiaco verificatosi dopo vaccinazione, indipendentemente dal tempo, verrà catalogato come causato dalla stenosi e non dal vaccino, del quale viene dunque esclusa anche un’eventuale azione concorrente. Si considera poi se “esiste un nesso causale noto con il vaccino/la vaccinazione”, ossia se si disponga di prove deponenti per l’associazione tra vaccinazione ed evento. In tal caso, a prescindere da ogni altra valutazione, se “l’evento si è verificato nella finestra temporale di rischio aumentato”, individuata secondo i discutibili criteri suesposti, è possibile considerare il nesso causale; se ciò non è ci si chiederà se “sussiste una prova fondata che confuti il nesso causale”. La risposta potrà essere che ci si trova di fronte a un “nesso causale discordante con la vaccinazione”, ad esempio per l’eccessivo intervallo tra vaccinazione ed evento; oppure, se così non fosse si andrà alla “revisione di altri fattori che possono incidere”, decidendo tra “evento classificabile” come conseguenza ed “evento non classificabile”. Dovrebbero soccorrere alcuni criteri come le precedenti evidenze di letteratura, peraltro non immediatamente rintracciabili trattandosi di vaccini di nuova concezione, mentre la letteratura relativa ai vaccini tradizionali sembrerebbe ben poco utilizzabile. Ancora, un indicatore potrebbe essere la frequenza dell’evento segnalato nella popolazione generale, anche se non vaccinata, e, da ultimo, la plausibilità biologica della correlazione causale. Le conclusioni potrebbero essere: “Nesso causale in linea con la Vaccinazione; Indeterminato = probabile correlazione; Indeterminato = improbabile correlazione; Nesso causale discordante con la vaccinazione”. Si vedano in proposito anche gli algoritmi di valutazione e il pdf relativo: Valutazione del nesso di causalità delle reazioni avverse … https://www.bag.admin.ch › dokumente › i-und-i. Dove allo step 2 è evidente il riferimento alla temporalità. Un esempio del procedere potrebbe essere un’analisi condotta su 124 casi di Sindrome di Guillain-Barré (GBS) e sue varianti, dove è stato evidenziato l’intervallo medio tra somministrazione del vaccino e insorgenza dei sintomi di circa 17 giorni (mediana 13 giorni), con la maggior parte delle segnalazioni (63% circa) che riporta la comparsa dei sintomi entro 15 giorni dalla vaccinazione e dove comunque si fa riferimento, piuttosto stringente percentualmente, alla finestra temporale di rischio di 42 giorni (92%), osservata per gli altri vaccini. Quanto il fattore tempo, sommato ad altri fattori come le preesistenti patologie, possa rappresentare un passaggio decisivo nel percorso a ostacoli nell’individuazione del nesso di causalità è evidente, e altrettanto evidente è il perché dell’enorme distanza tra il numero degli eventi segnalati e l’accertata presenza del nesso di causalità stabilita dal verificatore ufficiale. Come ultima considerazione si deve purtroppo dire che in Italia il criterio di esclusione basato sui 14 giorni viene comunque adottato da Aifa in una maniera piuttosto stringente e che non trova giustificazione».
Vi sono, secondo lei, ragioni scientifiche o burocratiche perché i dati dell’Aifa sugli eventi avversi non sono stati pubblicati per mesi?
G. G.: « Quali siano le ragioni di simili ritardi rispetto alle promesse garanzie di regolare pubblicazione e trasparenza davvero non posso sapere con precisione. Avanzerei semmai un’ipotesi: dato che la mancata pubblicazione è in contrasto con le normali regole della scienza e della sua condivisione, tale scelta sembrerebbe essere piuttosto di carattere più o meno latamente ‘politico’. Il 04.02.2022 il virologo televisivo Crisanti, nella trasmissione Piazza pulita, interrogato a proposito della protezione dalla malattia Covid-19 nel caso dei tri-vaccinati e dei guariti, ha risposto, con malcerta loquela, che “non si sa ancora” e ha aggiunto: “è una domanda che dovrebbe fare non a me ma bisognerebbe che chiamasse qualche responsabile scientifico di Pfizer e Moderna, perché loro lo sanno, perché il trial è ancora in corso, non scordiamocelo, loro hanno immunizzato le persone a settembre del 2020 e le hanno seguite, gli hanno fatto la prima dose, la seconda e la terza dose… purtroppo da 8-9 mesi non si sa più l’effetto delle vaccinazioni su queste persone”. Questo, per quanto incredibile, sembra sia lo stato della ‘scienza’ in Italia; ma se i dati Aifa, organo dello Stato e quindi pubblico, che dovrebbe seguire e sorvegliare il destino dei vaccinati, vengono ignorati dai più gettonati ‘scienziati’ della Repubblica e nemmeno citati come possibile fonte, e se, lamentandone la carenza, tali luminari ricorrono invece ai dati forniti dai produttori, cioè da soggetti privati non certo super partes, si figuri cosa potrei saperne io, pensionato e sospeso dall’attività! Il soggetto citato pare peraltro aver sufficientemente dimostrato notevole incoerenza, affermando a suo tempo che si sarebbe vaccinato quando i vaccini si fossero dimostrati sicuri e correndo invece a vaccinarsi poco dopo; pochissima compostezza, prestandosi all’ignobile esibizione canora natalizia, in trio, eseguendo una demenziale canzoncina vaccinale con musichetta di Jingle bells; inconsapevolezza (perché non si vuol certo pensare a malafede) quando il 2 febbraio 2021, partecipando alla trasmissione Fuori dal coro ha dimostrato in pochi secondi sia di non distinguere tra immunità da difese di barriera, immunità innata e immunità acquisita (per lui sembrerebbe esistano solo gli anticorpi…), sia di non aver letto la letteratura più aggiornata a proposito della durata di protezione dalla malattia a seguito di guarigione. Proprio per tali caratteristiche ritengo sia perfettamente idoneo a rappresentare lo stato delle cose in campo scientifico in Italia. Fermo restando che il mezzo televisivo non è certo il più adatto a trasmettere conoscenze scientifiche, è evidente che laddove gli ‘scienziati di regime’ hanno dimostrato contraddittorietà, superficialità e talora contrasti persino fra loro stessi, oltre naturalmente a una facilmente ipotizzabile acquiescenza, l’arbitro e il coordinatore incontrastato non può essere che la politica. È un campo che non mi appartiene ma tendo a pensare che i perché delle scelte e delle omissioni (anche dei dati) vadano chiesti ai politici. Comunque Aifa ha recentemente rilasciato almeno il riepilogo in PDF dei dati annuali, sotto il titolo Rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini anti-COVID-1927/12/2020 – 26/12/2021. Una corretta interpretazione non è peraltro opera semplice».
In uno studio statunitense pubblicato il 15 giugno 2021 (https://assets.cureus.com/uploads/case_report/pdf/61880/20210715-7782-w007p6.pdf) emergerebbe che “i vaccini per la Covid-19 potrebbero causare processi infiammatori che potrebbero far emergere patologie sottostanti” gravi. Cosa ne pensa di tale affermazione?
G. G.: «La risposta è tanto nella ricorrente evenienza di manifestazioni simili in letteratura quanto, almeno in parte, nella constatazione clinica che già la malattia Covid-19, di per sé a preponderante carattere infiammatorio, può essere anch’essa in grado di riattivare preesistenti situazioni infiammatorie in diversi distretti corporei, ad esempio pure a livello articolare. Per ciò che poi riguarda i vaccini basterebbe fare una correlazione tra il suffisso -ite, che usualmente indica i processi infiammatori, e gli effetti avversi per vedere che esso, almeno per ora, ricorre assai più frequentemente rispetto al suffisso -osi, il quale, spesso, sta a connotare i processi degenerativi (tendinosi, artrosi, fibrosi, eccetera). L’elenco è piuttosto lungo, a iniziare da miocardite, pericardite, flebite, più raramente glomerulonefrite o epatite autoimmune, per arrivare alla neurite (è il caso ad esempio dell’Herpes Zoster) o alla mielite. La ragione di ciò sta in buona parte nel fatto che, a prescindere dagli altri fattori individuabili, la proteina Spike ha un indubbio effetto pro-infiammatorio. Ora, dall’articolo pubblicato da Cell e sottoposto a revisione paritaria (del quale al seguente link: https://www.cell.com/cell/pdf/S0092-8674(22)00076-9.pdf?_returnURL=https%3A%2F%2Flinkinghub.elsevier.com%2Fretrieve%2Fpii%2FS0092867422000769%3Fshowall%3Dtrue) si può evincere che la produzione proteica di Spike nelle persone vaccinate con il vaccino Moderna o Pfizer è parecchio superiore a quella che si riscontra nei pazienti gravemente malati di Covid-19 e che l’mRNA e la Spike possono persistere piuttosto a lungo nei centri germinativi linfonodali. Se si tiene conto dell’effetto infiammatorio della Spike e del fatto che le particelle veicolanti l’mRNA possono superare la barriera emato-encefalica, e che quindi la produzione di Spike può avvenire anche a livello cerebrale, con primo target le cellule endoteliali del circolo cerebrale dotate di recettori ACE2, un effetto infiammatorio a livello del SNC non può meravigliare. Sono ormai datate le casistiche apparse già precocemente in proposito, si veda ad esempio: https://link.springer.com/content/pdf/10.1007/s00415-021-10780-7.pdf. Un più recente lavoro, pubblicato nel settembre 2021, mette in guardia il clinico e si propone di supportarlo nel percorso decisionale nei pazienti potenzialmente a rischio per sviluppare una neuropatia infiammatoria acuta a seguito della somministrazione dei vaccini Covid: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34579259/. Nel caso fosse latente una neoplasia cerebrale, magari ancora di piccole dimensioni, del tipo glioblastoma, è comune esperienza l’alto grado di risposta infiammatoria che si crea attorno a essa. Si tenga presente che la prima barriera che qualsiasi tumore trova è il sistema immunitario e che, in base alle caratteristiche del tumore stesso e del paziente, vi sarà una reazione più o meno violenta. L’infiammazione non è che una fase importante della difesa la quale andrà opportunamente modulata qualora giunga a essere dannosa. Nel caso di un glioblastoma cerebrale l’addizione dell’infiammazione da Spike (oltretutto tali tumori sono riccamente vascolarizzati) alla naturale infiammazione dovuta alla neoplasia, può avere ovviamente effetti rapidamente acceleranti e potenzialmente nefasti. Oltre a ciò si dovrebbe tener conto dell’eventuale azione disturbante del vaccino sulla funzionalità del sistema immunitario, cosa che pare ormai emergere con una certa evidenza da parecchi lavori. Ma, per ciò che riguarda il sistema nervoso in generale, molteplici possono essere le conseguenze della somministrazione di tali ‘vaccini’. Tra l’altro, l’azione d’interferenza immunitaria che possono esercitare può favorire la slatentizzazione di patologie nei soggetti nei quali siano presenti virus neurotropi, come i virus della famiglia delle Herpesviridae. In presenza di un buon sistema immunitario questi possono rimanere quieti, senza provocare infiammazione per tutta la vita. Il caso ad esempio dell’Herpes varicella Zoster può essere considerato paradigmatico. Il virus rimane presente e latente nei gangli nervosi dei soggetti che hanno contratto la varicella, ma può riattivarsi e provocare lo Zoster a seguito della vaccinazione. Si vedano: https://nursetimes.org/vaccinazione-e-insorgenza-di-herpes-zoster-la-ricerca-in-svizzera/121422 e https://www.swissinfo.ch/ita/vaccini–studiata-possibile-correlazione-con-fuoco-di-sant-antonio/46639324. Molte patologie croniche del SN riconoscono alla base dei fenomeni infiammatori. Nelle patologie sostenute da reazioni autoimmuni ciò è particolarmente evidente e, si tenga presente, in alcune malattie di riconosciuta origine multifattoriale, nemmeno il ruolo dei virus andrebbe sottovalutato. Un caso tipico potrebbe essere rappresentato dalla sclerosi multipla, patologia piuttosto frequente e la cui incidenza pare in aumento. Alcune segnalazioni e casistiche andrebbero quindi tenute presenti e dovrebbero invitare a maggior cautela nei confronti di tali pazienti genericamente etichettati come ‘fragili’ [1]».
Molte persone sottovalutano il cosiddetto processo infiammatorio (dato che normalmente si associa giusto al mal di gola). Può spiegare come tale processo sia implicato in alcune patologie neurologiche e/o degenerative?
G. G.: «Bisogna partire considerando i fatti già esaminati nella precedente risposta dove la cosa s’è, almeno in parte, già considerata. La stessa malattia Covid-19 si caratterizza per l’infiammazione e buona parte di questa è dovuta all’efficienza delle Spike che consentono al virus di colonizzare più o meno universalmente le cellule dell’endotelio vasale dotate di adatti recettori, ma non solo. Tali cellule ‘malate’ evocheranno tutti gli stadi della risposta immunitaria che, ovviamente, può comportare di per sé anche l’infiammazione nei suoi vari gradi. Qualsiasi malattia, incluse quelle degenerative (il nesso tra artrosi e sinovite concomitante è noto), può comportare infiammazione; la febbre stessa è dimostrazione che l’organismo sta ‘bruciando’ energie in maniera aumentata e producendo calore. La suggestiva presenza della ‘fiamma’ nel termine ‘infiammazione’ dovrebbe già essere indicativa. I fattori in grado di produrre fenomeni infiammatori possono essere molteplici; infiammazione è anche quella provocata dalla puntura d’una vespa. Nel nostro caso, senza entrare nel dettaglio degli eccipienti o delle diverse composizioni delle particelle nano-lipidiche che costituiscono il veicolo dell’mRNA o, ancora, delle caratteristiche dei virus modificati che trasportano il DNA all’interno delle cellule, basterà soffermarsi sul carattere delle particelle lipidiche. Queste sono oltretutto molto simili alle particelle lipidiche a bassa densità (LDL) normalmente presenti nell’organismo e ciò ne spiega anche l’alto grado di diffusibilità. All’interno della composizione di Comirnaty della Pfizer c’è poi, ad esempio, un lipide cationico con funzione di trasporto, si tratta d’un lipide sintetico caricato positivamente che già da solo può essere nocivo per le funzioni intracellulari. Né si dovrà scordare l’eventuale presenza di mRNA anomali, danneggiati o imperfetti, come ad esempio frammenti di mRNA a doppio filamento. Ancora, si ricordi che, per impedire che il sistema di difesa elimini l’mRNA estraneo questo è stato modificato per renderlo irriconoscibile; ad esempio l’uracile è stato sostituito con la pseudouridina e simili variazioni del codice sono numerose, ciò potrebbe portare a ‘misfolding’ (piegatura e struttura tridimensionale errate) delle proteine e a prodotti proteici anomali dagli effetti imprevedibili, s’ipotizza pure di tipo similprionico. Tanto rapidamente accennato, l’mRNA e il DNA trasportati all’interno delle cellule affinché agiscano a livello ribosomiale, è di tutta evidenza che sono in grado di causarne volutamente l’anomalo funzionamento. Le cellule interessate se, come desiderato, saranno indotte a produrre una proteina antigenicamente estranea, la Spike, potranno essere riconosciute come alterate dal sistema immunitario il quale reagirà cercando d’eliminarle attraverso il processo infiammatorio. Allo stesso modo, la proteina Spike eventualmente prodotta, essendo in grado d’agganciarsi alle cellule, ne determinerà altresì anomale caratteristiche. Ciò porterà a reazione ed eventualmente a infiammazione. La cosa è ben testimoniata dal frequentissimo riscontro dell’elevazione del D-dimero, un marcatore di danno e/o infiammazione endoteliale, tanto nei pazienti Covid-19 quanto nei vaccinati. Va da sé che anche a livello nervoso molte delle patologie riscontrabili come ‘effetto collaterale’ potranno avere genesi vascolare e la cosa è ormai tristemente nota a partire da alcuni casi mortali di trombosi dei seni venosi. Qui mi fermo, sperando d’aver chiarito come la risposta immunitaria e quella infiammatoria siano fenomeni centrali della fisiopatologia e che, come tali, andrebbero ben valutati e meglio conosciuti».
Nella sua esperienza di neurologo, su quali patologie preesistenti di tipo neurologico potrebbe avere effetti negativi un vaccino a mRNA e perché? Conosce persone o ha pazienti o ex pazienti che lamentano problemi?
G. G.: «La lista che si potrebbe fare è assai lunga, dato che, come già accennato, anche i processi degenerativi comportano molto spesso processi infiammatori. Credo d’aver già in parte risposto sul perché e il come i vaccini a mRNA possano talora incidere su preesistenti patologie neurologiche. Si potrebbero fare tuttavia alcune, forse ovvie, precisazioni. Nel caso ad esempio degli esiti paretici conseguiti a un antico trauma cerebrale risolto e ormai stabilizzato, la possibilità di un effetto negativo non sarebbe diversa da quella cui andrebbe incontro un soggetto normale; fatto ovviamente salvo che l’eventuale effetto, sommandosi a un danno preesistente, potrebbe determinare più pesanti conseguenze. Altrettanto sembrerebbe talvolta essere ipotizzabile per il morbo di Parkinson, qualora questo fosse dovuto primariamente solo a un esaurimento funzionale delle cellule dei circuiti nigro-striatali senza presenza di fenomeni infiammatori. Una conferma indiretta potrebbe essere nel fatto che l’impatto della pandemia Covid-19 s’è dimostrato pericoloso sia nel caso dell’Alzheimer che del Parkinson ma le due casistiche hanno dimostrato una minor mortalità per il Parkinson genericamente inteso. Si tratta però di situazioni delicate dove la frequente presenza di stressori e di fenomeni ossidativi potrebbe comunque essere rinfocolata. Tuttavia un articolo pubblicato dal Journal of Medical – Clinical Research & Reviews: https://www.imondidelbenessere.it/wp-content/uploads/2021/09/covid19-vaccine-associated-parkinsons-disease-a-prion-disease-signal-in-the-uk-yellow-card-adverse-event-database-1746-1.pdf sottolinea pure come la malattia di Parkinson si sia presentata come effetto avverso statisticamente significativo e clinicamente rilevante nel caso del vaccino AstraZeneca, se comparato con il vaccino Pfizer. Per spiegare tale fenomeno viene considerato l’intervento dei prioni nell’insorgenza della malattia e ciò viene correlato al virus vettore utilizzato da AstraZeneca. In verità sarebbe da dire che, siccome tale virus viene coltivato in cellule umane eternalizzate, la necessaria presenza nel prodotto finito di materiale proteico di quell’origine potrebbe giocare un ruolo non indifferente. Certo è che tutto il capitolo rimane aperto e che le millantate certezze di ‘sicurezza’ andrebbero attentamente riconsiderate in base a ciò che gradualmente sta emergendo. Un quesito ulteriore potrebbe poi riguardare la corretta preparazione dei lotti dei vaccini, gli eventi avversi sono infatti sporadici e, se fosse vero quanto sembra essere stato segnalato in base ai dati VAERS, ossia che alcuni lotti presenterebbero incidenza molto superiore d’effetti avversi rispetto ad altri, la cosa meriterebbe certo più approfondite analisi. Quanto alla mia personale esperienza la risposta è sì. I disturbi post vaccino di carattere neurologico, fortunatamente a volte transitori, sembrerebbero non infrequenti. Si va dalla spesso misconosciuta neuropatia delle piccole fibre, con sintomatologia prevalentemente sensitiva, fino agli acufeni, passando per eventi multiformi dei quali il più frequente pare essere la cefalea. Sono a conoscenza anche di eventi più seri e di casi d’aggravamento di patologie neurologiche preesistenti, come ad esempio il morbo d’Alzheimer. Un fatto questo che ci si potrebbe attendere anche considerando il rapporto tra ‘misfolding’ proteico e formazione di amiloide. Tutto ciò fa però parte di un’esperienza personale che, senza confronti e approfondimenti, è destinata a rimanere aneddotica».
L’ultima domanda è sulla Spike. La Spike muta e un vaccino studiato per una specifica Spike (nel caso di virus a RNA) avrà vita breve, a causa delle mutazioni successive del virus. Su quali ‘parti’ del virus ci si sarebbe dovuti concentrare per sviluppare un vaccino davvero efficace anche contro le varianti?
G. G.: «In particolare la ricerca basata sul test molecolare PCR (Polymerase Chain Reaction) nel caso anche test molecolare RT-PCR, ricerca la presenza del gene ENS RDRP, tale sigla corrisponde semplicemente alla denominazione dei primer specifici per il virus SARS-CoV-2 (2019-nCoV), anche detto Corona Sarbecovirus SARS-CoV-2. Vale a dire che il materiale proteico ottenuto dal tampone viene confrontato con i geni del virus originario che in tal modo viene identificato. In particolare viene impiegato nel controllo SARS-CoV-2 Helix Elite™ un pool di molecole di RNA di grandi dimensioni che corrispondono alle sequenze virali per i seguenti geni: Gene E: proteina del pericapside (abbreviata in E, da envelope); Gene N: proteina del nucleocapside (abbreviata in N); Gene S: i geni per le proteine strutturali che codificano per la proteina Spike (abbreviata in S); Gene RdRp: nel genoma dei virus esiste una RNA polimerasi RNA-dipendente (RdRp), un enzima altamente versatile che induce la sintesi del RNA catalizzando la formazione di RNA-modello-dipendente. Le metodiche molecolari prevedono la ricerca del virus mediante l’estrazione dell’acido nucleico (RNA), la successiva amplificazione tramite Real Time-PCR (RT-PCR) e la rivelazione/identificazione del virus tramite l’uso dei sopradescritti primer specifici. Il test, utilizzando una pluralità di geni, è piuttosto specifico nonostante le mutazioni intervenute che riguardano perlopiù la Spike. Tuttavia i modelli di primer sopra descritti sono ottenuti in base al virus originario e non sono quindi in grado di fornire alcuna indicazione circa eventuali variazioni del virus che riguarderebbero soprattutto gli epitopi della Spike, S1 e S2, che quindi andrebbero eventualmente ricercati con metodiche specifiche (le variazioni potrebbero essere anche effetto della eventuale pressione selettiva dei vaccini attuali, basati appunto solo sulla Spike). È trionfalistica, recente notizia che sarebbe in corso di verifica l’ennesimo vaccino, stavolta basato sull’antigene N del nucleocapside. Di tale possibilità si sapeva sino dall’inizio e si potrebbe chiedersi perché solo ora e molto altro. Certo ciò potrebbe segnare un progresso, se non che non mi sento di commentarlo, dopo anni di urgenze e catastrofismi arriva anche l’esaurimento delle energie residue e ci si augurerebbe soltanto che la cosiddetta ‘scienza’ riprendesse il virtuoso cammino della silenziosa, costante ricerca della verità e non della pubblicità mediatica. Le critiche, spesso assai razionali, a questi tipi di farmaci genici ‘vaccinali’ hanno iniziato, inascoltate, a essere espresse sin da subito, a cominciare da quella riguardante tempi e modi della sperimentazione autorizzativa. Ben venga un’ulteriore ricerca nel campo ma solamente se s’impara, finalmente, a rispettare le consolidate regole scientifiche. Altrimenti, meglio lasciar perdere, la Spagnola è scomparsa senza vaccini, avrebbe potuto accadere ancora e, per la Covid-19, probabilmente con un risibile numero di vittime, se fossero state da subito adottate idonee terapie».
[1] Si vedano, tra l’altro, i seguenti lavori:
Grave recidiva di sclerosi multipla dopo la vaccinazione COVID-19: un caso clinico: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34447349/
Sclerosi multipla e vaccini: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fneur.2021.765954/full
R, Barbuti E, Rinaldi V, et al. Case Report: Multiple Sclerosis Relapses After Vaccination Against SARS-CoV2: A Series of Clinical Cases. Front Neurol, 2021 Oct 22. doi: 10.3389/fneur.2021.765954. [Epub ahead of print] Link https://link.springer.com/article/10.1007/s00415-021-10780-7
13 casi di sclerosi multipla uno studio condotto da Carlo Pozzilli, Università La Sapienza, Roma: https://www.pharmastar.it/news/neuro/sclerosi-multipla-possibile-comparsa-di-recidive-post-vaccino-anti-covid-19-necessario-un-attento-periodo-di-osservazione-dopo-la-somministrazione-36749
Fenomeni infiammatori acuti, con esiti spesso invalidanti, come la mielite trasversa possono inoltre presentarsi e sono stati descritti: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34684047/.
venerdì, 25 febbraio 2022
In copertina: Foto di Miroslava Chrienova da Pixabay.
Nel pezzo: Foto di Andriele, Torsten Simon, Pete Linforth, Septimiu Balica – tutte da Pixabay.