Il fil rouge che lega la Slovenia al Donbass
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
L’Occidente deve decidersi, utilizzando un peso e una misura. Dopo otto anni dal rederendum che sanciva di fatto – se non per il diritto internazionale – la nascita delle Repubbliche separatiste di Donec’k e Luhans’k, è ora di chiedersi perché l’Onu non si sia preoccupato di risolvere quella situazione che sarebbe potuta degenerare fin troppo facilmente in una guerra – proprio nel cuore dell’Europa. Quel territorio aveva dichiarato chiaramente la propria indipendenza dall’Ucraina e a chi volesse sostenere che i referendum furono truccati basterebbe obiettare che, se lo furono, non si comprende come mai così maldestramente – dato che nell’Oblast’ di Charkiv lo stesso fallì.
Sulla questione brogli, referendari o elettorali, ci sarebbe ben altro da aggiungere. Da sempre le elezioni in Paesi amici dell’Occidente sono contestate da oppositori, minoranze e popolazioni ma si sa che, come scriveva Noam Chomsky, i nostri giudizi (o pregiudizi) sulla validità democratica di questo o quel Premier si basano su scelte più opportunistiche che etiche.
Se non bastasse, a una situazione incancrenitasi nel tempo; alle sanzioni contro la Russia continuamente rinnovate come d’ufficio; ai problemi di Biden che deve far fronte a un Paese spaccato alla vigilia delle elezioni di midterm; a una Nato che – dalla caduta del Muro di Berlino – invece di sciogliersi ha continuato ad allargarsi, avvicinandosi sempre più ai confini russi; si è aggiunto il Presidente ucraino che, il 23 febbraio, in piena crisi diplomatica, ribadiva la volontà di aderire alla Nato – senza tenere conto che, non avendo ricevuto l’invito dall’unanimità dei membri della stessa, di fatto la sua volontà non contasse nulla, e che il Premier Scholz, prima degli incontri a Kiev e a Mosca avesse dichiarato che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non era in agenda. A essere malevoli ci sarebbe da chiedersi chi abbia suggerito una tale mossa a Volodymyr Zelensky – chi pensa proteggerà il popolo ucraino dall’invasione dell’esercito russo? L’ex comico, oggi, non fa più ridere nessuno.
E però se Europa, Santa Sede e Stati Uniti furono così pronti ad accettare l’indipendenza della Slovenia e lo smembramento dell’ex Jugoslavia, se il Regno Unito ha il coraggio di indire un referendum per l’indipendenza della Scozia, la stessa politica si dovrebbe applicare agli indipendentisti catalani o del Donbass. Il principio dell’unità nazionale e quello dell’autodeterminazione non possono essere difesi contemporaneamente, a seconda del Paese coinvolto.
La grande sconfitta, oggi, è la diplomazia degli Stati e, del resto, cosa ci si poteva attendere dai colloqui bilaterali europei che si svolgevano mentre gli Stati Uniti soffiavano sul fuoco? O da Premier che affermavano un intento mentre i loro Ministri degli esteri dicevano il contrario? Da un’Europa come sempre divisa da velleità personalistiche e con leader che aspirano a posizioni atlantiste e, comunque, covano un odio inspiegabile verso la Russia e il suo popolo? Né si potrà dire che gli Usa abbiano agito in questi anni meglio di Putin – basti ricordare l’invasione dell’Iraq nel 2003 (a causa di armi di distruzione di massa mai esistite) – ma anche Grenada, Panama, la Somalia e ovviamente l’Afghanistan, senza dimenticare l’intervento dell’aviazione di alcuni Paesi membri della Nato in Libia.
La Russia è la madre non solamente di Tolstoj o Dostoevskij, Gor’kij e Puškin, Tarkovskij e Sokurov, Kandinskij e Gončarova, Majakovskij e Stravinskij, ma ha contribuito a creare quell’humus culturale e artistico che ha alimentato l’Europa per secoli ed è parte dell’Europa tanto quanto lo sono l’Italia, la Francia o il Regno Unito.
La pace può e deve tornare nelle mani dei popoli. Occorre marciare uniti per riaffermare il valore del dialogo, dell’ascolto, del rispetto dell’altro da sé e la centralità delle Nazioni Unite come organo per dirimere le contese internazionali – non la Nato, non i vari sceriffi della democrazia che ci hanno regalato vent’anni di guerra in Afghanistan per poi liberarsene consegnando il Paese ai talebani, non le sanzioni unilaterali, non risoluzioni che – come nel caso dello Stato di Palestina – contano come il due di picche sul tavolo verde dove si gioca anche il nostro futuro.
Occorre dire no a questa guerra avendo presente che il non aver agito ascoltando, in primis, la volontà del popolo del Donbass, e al contrario l’aver creato un clima di insicurezza e un sistema di accerchiamento militare che minaccia la Russia, non ci rende meno colpevoli bensì responsabili di una degenerazione che minaccia, adesso, i nostri stessi confini.
venerdì, 25 febbraio 2022
In copertina: La bandiera della Pace.