Dall’obbligo vaccinale alla riforma della Costituzione, intervista all’avvocato Fabio Bertazzoli
di Simona Maria Frigerio
Indubbiamente questo Stato d’emergenza ha reso i ‘poteri forti’ ancora più forti e i recenti Dpcm, Decreti legge ma anche le Leggi ordinarie che si stanno approvando in Parlamento hanno modificato, e modificheranno, la vita dei cittadini italiani molto più di quanto gli stessi se ne rendano conto – complici i media che continuano a cavalcare la narrazione Covid, sempre più ‘foglia di fico’ per coprire ben altre manovre.
Abbiamo, quindi, ricontattato l’Avvocato Fabio Bertazzoli, in occasione del flash mob che si è tenuto a Milano il 15 febbraio, per capire non solamente cosa è successo di fronte al Palazzo di Giustizia, ma anche in cosa consistano la cosiddetta Riforma Cartabia e quella degli articoli 9 e 41 della Costituzione. Teniamo conto che un governo emergenziale dovrebbe attenersi a misure ordinarie o a risolvere, nel più breve tempo possibile, l’emergenza per la quale è stato istituito e, invece, il Premier Draghi e la sua colazione si apprestano anche a mettere mano alle legge elettorale. Ma torniamo all’oggi e al fatto che un imputato possa rischiare di perdere il proprio difensore se lo stesso non voglia rinunciare all’autodeterminazione sul proprio corpo e non accetti, volente o nolente, il vaccino.
Il 15 febbraio 2022 entra in vigore l’obbligo vaccinale per gli over 50 e gli avvocati non possono recarsi in Tribunale a difendere i propri clienti se non ottemperano. Gli italiani si rendono conto della gravità di un tale impedimento?
Fabio Bertazzoli: «Io temo di no. Credo che buona parte degli italiani non si renda conto di nulla perché il nostro Governo – appoggiato in questo praticamente da tutti i parlamentari – ha adottato una strategia di divisione nei confronti degli italiani. Nel senso che ha cominciato ad attaccare alcune categorie, salvaguardandone altre: all’inizio solo i sanitari, poi è passato agli insegnanti e, adesso, agli over 50. In questo modo, non avendo introdotto un obbligo vaccinale nei confronti di tutti i cittadini, cosa che probabilmente avrebbe causato non una rivolta popolare – perché in Italia mi sembrerebbe utopistico un tale slancio – ma almeno alcune criticità, il Governo, andando a colpire un gruppo per volta, è riuscito a ottenere i risultati voluti senza difficoltà. Ogniqualvolta siano solo alcune fasce della popolazione a subire l’eventuale abuso, mentre la maggioranza ne è esente, accade che quest’ultima si illuda di uscirne indenne – e non reagisca. Al contrario, prima o poi – se si va avanti in questo modo – toccherà a tutti subire».
Qual è stata la risposta delle toghe di fronte al flash mob davanti al Tribunale di Milano.?
F. B.: «È stato organizzato ieri, all’ultimo momento. Devo dire che, sebbene non ci aspettassimo grandi numeri perché l’evento è frutto di un semplice giro di telefonate, è arrivata comunque una cinquantina di avvocati e, soprattutto, nella mezz’ora in cui siamo rimasti fuori dal Tribunale, altri colleghi si sono fermati e, letti i cartelli, hanno aderito immediatamente. Cercheremo di replicare con nuovi momenti di aggregazione, avvertendo molte più persone. Oggi voleva essere soltanto un piccolo segno indicativo del fatto che non è vero che tutti sono d’accordo con tali norme illiberali e liberticide. Ma soprattutto speriamo che gli organi rappresentativi dell’avvocatura finalmente si decidano ad agire».
Passiamo alla Riforma Cartabia del processo penale, la quale prevederebbe che “qualora il giudizio di appello non si concluda entro il termine di due anni, e quello di Cassazione entro un anno, salvo giudizi di impugnazione particolarmente complessi prorogabili di un anno in secondo grado e di sei mesi in Cassazione, l’azione penale viene dichiarata improcedibile”. Ma in questo modo, più che velocizzare la giustizia, non si rischia semplicemente di non fare giustizia?
F. B.: «A parer mio la questione è politica. Nel senso che il Movimento 5 Stelle è stato eletto per far approvare alcune riforme, secondo loro, imprescindibili. Una di queste era l’eliminazione della prescrizione – sulla base di ragionamenti che io ritengo sbagliati a partire dai loro presupposti. La prescrizione va intesa come difesa per il cittadino: non deve essere un modo per far assolvere i colpevoli bensì per garantire che gli innocenti non siano perseguitati. Nella realtà dei fatti, in Italia quando una persona finisce sotto processo – soprattutto in caso di processo penale – rimane in una sorta di limbo anche per dieci o quindici anni e, nel frattempo, la vita di un innocente può dirsi rovinata. Perché si garantisca un giusto processo, lo stesso deve essere veloce e, questo, è un principio di civiltà. Come lo si ottiene? Grazie a un alacre lavoro dei giudici, dei cancellieri e al buon funzionamento dell’intera macchina della giustizia – in maniera tale che, tra un’udienza e la successiva, non trascorra anche un intero anno. Non creda che esageri! Nel mio campo, che è quello civilistico, quando si va in Cassazione, le udienze sono fissate anche a distanza di tre o quattro anni. Non è giusto che un cittadino che, ad esempio, deve ottenere un risarcimento o dei pagamenti in quanto, altrimenti, rischia il fallimento (e se deve attendere anni, chi lo salverà?), perda tanto tempo solo perché la pubblica amministrazione non funziona. Ovviamente, nel caso del processo penale, è persino peggio. D’altro canto è vero che può esserci il colpevole che approfitta della lunghezza del processo per farla franca. A mio avviso, però, il rimedio non è eliminare o allungare la prescrizione, bensì fare in modo che la macchina della giustizia funzioni – ovvero, sia rapida ed efficiente. La riforma, a questo punto, sembrerebbe ridursi a un cambiamento di nomi. Dato che il Movimento 5 Stelle non poteva accettare l’esistenza della prescrizione, si è pensato di coniare il termine ‘improcedibilità’ – ma vedremo solo nel momento in cui la Riforma sarà approvata se cambierà qualcosa nella sostanza o solo nella forma, e soprattutto se sarà migliorativa o, purtroppo, come è spesso accaduto nel corso della Repubblica, peggiorativa».
Nella Riforma del CSM si notano due punti: “i magistrati che hanno ricoperto cariche elettive di qualunque tipo per almeno un anno, ovvero incarichi di governo (nazionale, regionale o locale) al termine del mandato non possono più tornare a svolgere alcuna funzione giurisdizionale, bensì vengono collocati fuori ruolo”; e “all’accettazione della candidatura, i magistrati devono essere posti in aspettativa senza assegno”. Non sembrano due misure tese a impedire che i magistrati entrino in politica?
F. B.: «Se volessi fare una battuta, potrei dire che questo Governo si diverte a togliere la retribuzione agli italiani! Seriamente, il magistrato che entra in politica non può più essere considerato super partes perché, ovviamente, entrare in politica significa essere eletti all’interno di un partito o di una coalizione e, questo, implica necessariamente lo schierarsi da una parte. Quindi, può lasciare perplessi che al termine di un mandato elettorale, il magistrato torni a svolgere la sua funzione giudicante. D’altro canto mi rendo conto che una simile norma finirebbe per influire negativamente sulla scelta del magistrato di impegnarsi politicamente e, quindi, andrebbe a ledere il suo diritto, come cittadino, di concorrere a una carica politica. Perché un avvocato potrebbe fare il deputato, magari per due legislature, e poi tornare al proprio lavoro e un magistrato no? Ci troveremmo di fronte a una lesione del principio di uguaglianza stabilito dall’articolo 3 della Costituzione. La sospensione dello stipendio è comprensibile laddove il magistrato percepisca un’altra indennità – che è quella della carica che va a ricoprire dopo essere stato eletto. Come accadrebbe a un libero professionista che abbandoni il proprio studio per dedicarsi alla politica e che, di conseguenza, non percepirà più alcun compenso per la sua attività precedente. Un compromesso, per quanto riguarda la prima parte della domanda, potrebbe essere quello di imporre un termine di tre anni durante i quali un magistrato non possa svolgere funzioni giurisdizionali – dopo aver lasciato la politica – come dovrebbe essere previsto quando il magistrato abbia ricoperto delle funzioni all’interno del Governo sebbene non elettive, quali di Capo di gabinetto».
La riforma degli articoli 9 e 41* della Costituzione è passata praticamente sotto silenzio. Al di là dei contenuti specifici, un Governo in stato d’emergenza dovrebbe mettere mano alla carta costituzionale?
F. B.: «Secondo me, siamo di fronte a un colpo di Stato strisciante, senza i carri armati per le strade ma fondamentalmente tale. Queste riforme costituzionali sono state fatte senza che fossero annunciate e non ne sa niente nessuno. Sono state ottenute con maggioranze bulgare, tali da escludere la necessità di un referendum confermativo – come si è sempre fatto in passato. Queste manovre sono molto pericolose per la democrazia. Tengo altresì a precisare che, personalmente, non sono d’accordo nemmeno con il contenuto delle modifiche, che ritengo pericolose per la libertà economica e individuale delle persone. Quando si continuano ad aggiungere vincoli e condizioni alle libertà dei cittadini, non si può più parlare di una democrazia occidentale bensì di un Paese fondamentalmente socialista che ricorda sempre più da vicino quella che era l’Unione Sovietica. Se in questo momento abbiamo di fronte il problema della pandemia e, quindi, sanitario, hanno già lasciato intendere che la prossima emergenza sarà quella climatica. Queste modifiche degli articoli della Costituzione sono volte ad agevolarli quando, l’anno prossimo, chiederanno, magari, di utilizzare il green pass se non si ha l’autovettura ibrida o elettrica, se si è accusati di essere degli inquinatori o se non si vogliono acquistare i beni che loro decidono di volerci vendere. Siamo di fronte a un colpo di Stato che non dovrebbe passare ma che, in realtà, in buona parte è già passato – mentre gli italiani, terrorizzati dal virus, non vedono al di là del proprio naso».
* Gli articoli 9 e 41 (in bold le parti aggiunte)
Art. 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Art. 41. «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali».
Venerdì, 18 febbraio 2022
In copertina: Flash mob di fronte al Tribunale di Milano dello scorso 15 febbraio (foto gentilmente fornita dall’Avvocato Bertazzoli).