Quando l’azione scenica diventa reazione sociale
di Simona Maria Frigerio
Ulderico Pesce ha lavorato con alcuni tra i nomi più noti del teatro italiano, da Carmelo Bene a Luca Ronconi, fino all’incontro con il regista russo Anatolij Vasil’ev che l’ha portato a Mosca, dove è rimasto per circa tre anni e dove ha capito quale sarebbe stata la sua strada – di autore, oltre che di narratore. Tornato in Italia ha cominciato a scrivere di ciò che vedeva intorno a sé e a tentare di abbattere, attraverso il suo lavoro teatrale, quei muri di gomma che circondano grandi interessi e piccoli soprusi del nostro Belpaese – con Storie di scorie* o L’Italia dell’amianto** fino a Fiato sul collo: i 21 giorni di lotta degli operai della Fiat di Melfi.
La prima domanda, intervistandolo, ha riguardato Petrolio, lo spettacolo che aveva debuttato al Teatro Argentina di Roma nel 2018 e che è anche il frutto di una lunga battaglia che, in questi anni, Pesce ha condotto per la salvaguardia dell’ambiente e della sua terra, la Lucania.
Come è arrivato alla forma teatrale che caratterizza tutti i suoi spettacoli?
Ulderico Pesce: «Dopo aver lavoratore come attore con diversi registi italiani, sono andato a Mosca e lì ho vissuto l’esperienza che mi ha maggiormente colpito e formato, con il regista Anatolij Vasil’ev. Direi, anzi, che sia stata quella scuola a insegnarmi che “gli attori più grandi sono gli italiani – tranne gli attori!”, come diceva Vasil’ev per spiegare che il nostro teatro è fuori dalla realtà: è una scuola dell’artificio, della ricerca estetica finalizzata a se stessa. Quando sono tornato in Italia ho cercato, quindi, di essere una persona che ‘parla normale’, che ‘respira normale’, che ‘mangia normale’. Ho conservato in scena una dimensione più vicina a quella dell’Est europeo. Un attore che cerca di rappresentare le cose che organicamente lo sollecitano maggiormente verso l’espressione artistica. Quindi, mi sono concentrato sui temi che mi colpiscono. Le prime operazioni artistiche che ho portato avanti sono state dedicate alle problematiche ambientali, che sentivo molto vicine già vent’anni fa. Ho fatto uno spettacolo sul pericolo nucleare in Italia*, intorno al 2002/2003; subito dopo un lavoro sull’amianto** e poi sui rifiuti urbani ed extraurbani [Asso di Monnezza: i traffici illeciti di rifiuti, n.d.g.]. Infine mi sono dedicato a Petrolio, partendo dalle problematiche ambientali della Basilicata e del Delta del Niger [1]. Credo che ogni operazione artistica, nata con grande spontaneità, mi permetta di connettermi con il teatro classico o, meglio, con quello greco. L’ho studiato lungamente sia al liceo, sia all’università – essendo laureato in Drammaturgia antica alla Sapienza di Roma – e l’ho trovato a me congeniale: in qualche modo quel teatro non ha grilli per la testa, non è estetizzante, non è finalizzato né al teatro stesso né al divertimento o all’uso del codice per il puro piacere di utilizzarlo. È un teatro prevalentemente politico ma con caratteristiche estetiche molto forti. Se nell’antichità serviva indagare il rapporto tra uomo e Dio si scriveva un’opera come Prometeo – che trattava l’arrivo della scienza tra gli uomini, il distacco dalla sfera divina; se si voleva affrontare l’esigenza di formare uno Stato con delle leggi scritte invece che orali, nasceva Antigone; se occorreva parlare di guerra, ecco I sette contro Tebe e così via. Anche se l’esempio è in parte fuorviante e in parte irriverente – perché non ho nulla a che fare con Eschilo Sofocle o Euripide, che sono le cime del teatro di tutti i tempi – posso dire di rapportarmi al teatro nello stesso modo. Nell’opera scenica c’è poi una ricerca dell’organicità del personaggio molto forte. Non è un teatro di narrazione o di denuncia politica che prescinde dalla complessità dei personaggi, al contrario mi sono sempre sforzato di rendere la loro ricchezza interiore. In breve, un teatro che sollecita tematiche comuni, che serve, è utile a educare e che, dall’azione scenica, mira a diventare reazione sociale».
Difficoltà a far girare questi spettacoli, obiettivamente di denuncia? Ha mai ricevuto pressioni o minacce?
U.P.: «Non ho ricevuto solo minacce ‘orali’ ma anche ‘fisiche’. Ho ricevuto minacce per tre o quattro anni e, nel 2013/2014, trovai la mia auto ‘inchiodata’, ossia con gli sportelli pieni di chiodi lunghi 15 centimetri. Poi hanno incendiato un terreno che ho sotto casa, qui dove vivo – in Basilicata – e le fiamme sono arrivate a venti metri dai miei balconi. Nel frattempo, dato che ricevevo anche minacce telefoniche, la Questura mi mise sotto vigilanza armata. Per un intero anno sono rimasto sotto la protezione dei carabinieri. Ma non mi sono mai fermato».
Schierarsi contro un colosso economico come Eni non è quasi impossibile [2]?
U.P.: «Quando ho cominciato a parlare di petrolio, l’Eni non era ancora indagata per il disastro ambientale in Basilicata [3]. Questo significa che i documenti che avevo in mano erano corretti. Oggi l’Eni deve rispondere per aver liberato 400 tonnellate di petrolio in prossimità della diga del Pertusillo che dà da bere a lucani, campani e pugliesi. Va notato che la stessa Eni ha ammesso di averlo fatto – involontariamente. Ma il problema è che erano obsolete le strutture e, quindi, era chiaro cosa sarebbe potuto accadere. E va altresì detto che c’era un ingegnere, dipendente dell’Eni, Gianluca Griffa, che già dal 2011 affermava che quelle strutture, tubature, serbatoi erano obsoleti e il petrolio fuoriusciva. Nessuno gli ha dato ascolto. E ‘stranamente’ nel 2013 è stato trovato impiccato in un bosco vicino a Montà d’Alba, in Piemonte [4]. Me nessuno crede al suicidio. Il teatro deve essere radicato nella realtà, vicino alla gente e per la gente. L’artista è al servizio della comunità, come lo era ai tempi della tragedia greca. Purtroppo questo rapporto si è interrotto nell’Ottocento con l’invenzione del dramma borghese, quando l’artista è diventato prevalentemente un commentatore asettico della realtà e poi, nel Novecento, si è addirittura rinchiuso nel proprio mondo – e così vediamo gli artisti che parlano agli artisti. Ecco perché il teatro, le persone quasi non lo frequentano più. Al contrario, ciò che conta è il rapporto col pubblico perché il teatro deve affondare le radici nella nostra quotidianità».
A questo punto ci interrompiamo per cambiare discorso. Su https://teatro.persinsala.it/ritratti-d-autore-ulderico-pesce%E2%80%A8/63664/ affronteremo l’argomento Ubu, e la polemica che sta infiammando in queste settimane l’assegnazione di quello che è considerato “l’Oscar del teatro italiano”.
[1] Si veda in tema: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/04/eni-comunita-nigeriana-fa-causa-al-gruppo-per-linquinamento-del-delta-del-niger-ci-risarcisca-con-2-milioni-di-euro/3558936/
[2] Citiamo l’ultima richiesta di 100 mila euro per ‘evitare la querela’, promossa dall’Eni nei confronti del quotidiano Domani, come da articolo pubblicato dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana: https://www.fnsi.it/eni-chiede-100mila-euro-a-domani-fnsi-un-caso-esemplare-di-querela-bavaglio
[3] In proposito: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/10/centro-oli-eni-val-dagri-lex-responsabile-a-processo-per-disastro-ambientale-disposto-il-giudizio-immediato-si-inizia-il-28-ottobre/5507729/e ancora, https://www.lifegate.it/eni-disastro-ambientale-basilicata-arresti
[4] Rimandiamo all’articolo: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2017/11/03/la-madre-dellingegnere-eni-tenuti-alloscuro-dellautopsia/3953956/
venerdì, 21 gennaio 2022
In copertina: Ulderico Pesce in Storie di scorie, foto tratta dal suo sito.