Nuovo teatro in Kosovo. Novembre 2021
di Anna Maria Monteverdi
Un autunno quasi primaverile ci accoglie a Prishtina che si colora del giallo aranciato delle foglie di acero di cui è pieno il viale pedonale principale della capitale dedicato a Madre Teresa; mentre camminiamo a mezze maniche nella strada tra il Teatro Nazionale e la piazza dove si trovano sia la statua dell’eroico condottiero albanese Gjergj Kastrioti Skënderbeu a cavallo sia quella di Ibrahim Rugova, leader politico dell’indipendenza e primo presidente del Kosovo (1996-2002), notiamo i primi addobbi natalizi nei vari bar che per attirare il pubblico diffondono le canzoni di Toto Cutugno e Celentano. Sono passati dieci anni da quando andai la prima volta in Kosovo e riconosco quasi tutto (soprattutto lo smog e l’aria soffocante proveniente dalla vicina centrale a carbone di Obilić, già da anni nel mirino di Cee Bankwatch Network, una rete di gruppi ambientalisti dell’Europa centro-orientale, per l’incontrollata emissione di anidride solforosa e per la produzione elevata di polveri). Quel ‘quasi’ è dovuto alla moltiplicazione dei cantieri edili nati sulla base del principio di ‘turbo urbanism’ che caratterizza queste aree segnate dalla guerra (Prishtina fu danneggiata nel 1999 più dai bombardamenti Nato che dal contingente serbo che fu devastante su Peja e Gjakova) e velocemente ricostruite senza criteri urbanistici. La più recente guida del Kosovo sul bancone della libreria Dukajini è scritta da Francesca Masotti (VersoEst edizioni) in Italiano. Dalle prime pagine scopro che Il Kosovo, il più giovane Paese d’Europa è ‘mèta di un turismo d’avventura’. Non è chiaro che tipo di avventura, però.
La mia era finalizzata a conoscere il giovane drammaturgo Jeton Neziraj all’epoca poco più che trentenne e ne scrissi moltissimo al mio ritorno per varie testate tra cui Osservatorio Balcani e Caucaso, Teatro e Critica, Ateatro.it, Teatro e Storia, realizzando anche un documentario trasmesso da Rai 5; i suoi testi trattano con stile surreale tematiche attuali e scottanti: dai diritti delle minoranze etniche, ai fondamentalismi religiosi, ai nazionalismi, al razzismo, all’omofobia e alla corruzione. È lui la coraggiosa voce politica dei Balcani e del nuovo Kosovo, autodichiaratosi Stato indipendente nel 2008 ma non ancora riconosciuto da 5 Paesi europei oltre che dalla Russia e dalla Cina. I suoi testi sono stati tradotti in tutto il mondo (anche in Italia) e collabora con teatri d’importanza internazionale come Volksbühne di Berlino mentre gli allestimenti dalle sue opere sono per lo più, a firma della moglie, la regista Blerta Rustemi. Neziraj è l’autore di un Kosovo aperto all’Europa e al mondo (possibilmente senza Visa..) e a un suo cambiamento: non vuole emigrare dal proprio Paese proprio per impegnarsi a “farlo diventare sempre più dignitoso per le persone che lo abitano”. Neziraj è figura di spicco nel teatro mondiale, specialmente da quando è stato chiamato da Milo Rau, insieme ad altri artisti e influenti intellettuali, come uno dei ‘testimonial’ del libro edito dal Teatro Nazionale di Gent in epoca di pandemia e intitolato: Perché il teatro?
Il Kosovo dieci anni fa faceva ancora i conti con i segni tragici della guerra, evidenti nelle architetture semidistrutte e nel trauma ancora molto vivo nella popolazione, mentre oggi sembra a prima vista, un Paese moderno, che guarda allo stile di vita europeo, ma con un inquinamento da gas di scarico delle macchine alle stelle (è tra le città europee più inquinate) e le cui uniche economie continuano a essere legate alle rimesse dei suoi abitanti emigrati all’estero. Neziraj ha lavorato nei suoi testi degli inizi di carriera, nel tentativo disperato di fare del teatro un ponte per una riconciliazione tra Serbia e Kosovo e uno strumento per il cambiamento: per le sue posizioni ha perso il ruolo di direttore artistico del Teatro Nazionale e acquisito il titolo di “detrattore degli interessi nazionali”. Il nazionalismo è diventato, non a caso, una piaga assai più grave della corruzione e persino del radicalismo islamico (quest’ultimo è quel “marchio di riconoscimento” del Kosovo nel luogo comune più generalizzato). Il tema dell’instabilità geopolitica ed etnica a distanza di molti anni dalla risoluzione che definiva i confini da parte dell’ONU, è ancora attuale, almeno nelle aree delle enclavi serbe di Mitrovica del Nord, Leposavić, Zubin Potok, e Zvečan. E per concludere il quadro, l’ex Primo ministro e membro del PDK Hashim Thaci oggi è in carcere, accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità per omicidi, sparizioni forzate dal 1998 al 1999.
La pandemia ha portato nuove situazioni allarmanti: secondo il sito ufficiale del World Health Organization ci sono stati da gennaio 2020 a oggi 160.909 casi confermati di COVID-19 e 2.970 morti. Alla fine di ottobre nel Paese più giovane d’Europa (il 53% della popolazione ha meno di 25 anni: l’età media nella capitale è di 28 anni) coloro che avevano completato il ciclo vaccinale erano 740 mila (circa il 41%). La situazione a novembre 2021 è decisamente migliorata e le restrizioni attuali prevedono l’obbligo di mascherina anche all’aperto e una capienza ridotta dei locali, regola che di fatto non rispetta nessuno. Fino ad agosto scorso sul sito ufficiale di informazioni di viaggio dell’Ambasciata Usa, il Kosovo era considerata ‘area ad alto rischio’ sia per il Covid (livello di allerta 4) che per possibili atti di terrorismo nelle aree sopra citate.
E la cultura?
Jeton Neziraj ci aveva rilasciato un’intervista un anno fa in cui spiegava come la pandemia avesse offerto una ‘valida scusa’ alle Istituzioni Governative per chiudere definitivamente molti spazi culturali indipendenti non ‘allineati’. E così anche il suo attivissimo centro che si occupa di letteratura, eventi, teatro, Qendra multimedia ha chiuso definitivamente i battenti (aveva residenza in uno spazio privato ma il Comune aveva promesso un’alternativa che non è mai arrivata); ora divide l’attività e la residenza al Teatro Oda di Prishtina, un piccolo spazio teatrale da un centinaio di posti nel seminterrato di un’area dove è collocato un centro commerciale e lo stadio.
Il grido di allarme di Neziraj di non abbandonare il Kosovo è stato raccolto da molte organizzazioni, teatri, associazioni, giornali, ambasciate (con i quali la sua struttura collabora costantemente, essendo generosamente sostenuto dall’Ufficio dell’Unione europea, dal Centro internazionale Olof Palme dalla Svezia e così via); così in occasione del Kosovo Showcase 2021 (2-8 novembre 2021) l’Europa e parte degli States si sono dati appuntamento qua, nella capitale del Kosovo, a Prishtina, per una settimana diventata anche capitale della cultura, dove non c’era solo il teatro di Jeton e Blerta Neziraj ma produzioni europee che qua hanno trovato uno spazio di rappresentazione fuori dal solito circuito. Spettacoli, première e due convegni in forma ibrida (in parte in presenza e in parte on line tra cui uno in cui è intervenuto Milo Rau), hanno offerto l’immagine di un Kosovo diverso, aperto a una dimensione di ricerca e alle collaborazioni internazionali. Teatro Oda, Dodona, e il teatro Nazionale di Prishtina ma anche i teatri di Ferizaj e Gjilan hanno accolto eventi e spettacoli in lingua albanese sottotitolati o direttamente in inglese, in un calendario ricco e assai apprezzato dagli ospiti di tutto il mondo, soprattutto tedeschi, svizzeri e inglesi.
Balkan Bordel. La première.
Il testo di Neziraj, Balkan Bordel del 2017, è una riscrittura dell’Orestea: ambientato nei Balcani, è un duro atto d’accusa contro i crimini del dopoguerra travestito diciamo, da ‘cronaca marziana’; dopo una prima versione diretta da András Urbán di qualche anno fa, è stato fatto un nuovo allestimento in occasione del Kosovo showcase 2021 a firma di Bletra Rrustemi Neziraj con l’importante coproduzione della MaMa di New York e una collaborazione con Tempo Reale di Firenze: erano presenti gli attori americani e i compositori Damiamo Meacci e Gabriele Marangoni che hanno non solo realizzato le musiche ma anche la complessa spazializzazione sonora che ha contribuito notevolmente alla restituzione emozionale dell’opera. L’azione si svolge al motel Balkan Express. Agamennone e Clitennestra sono interpretati da attori statunitensi, Egisto è un attore serbo, la qual cosa nello sviluppo della trama che lo vede complice nell’assassinio del sanguinario Agamennone (per vendicare la violenza subita in silenzio da Clitennestra) è decisamente significativa. Oreste, il figlio di Agamennone (interpretato dall’attore asiatico Eugene the Poogene già attore in Panorama di Motus), ritorna dal suo peregrinare nel mondo con una nuova identità gay, accompagnato da un insegnante di danza moderna, che invita tutti, compreso il pubblico, ai suoi laboratori che promettono l’elaborazione del trauma e lo sviluppo della personalità, una «metafora», come ricorda Neziraj: «delle tante attività di cosiddetta civilizzazione dell’Occidente». Il sottotitolo è che la follia che alberga in questo bar è la stessa che ha nutrito la guerra fratricida dei Balcani. Il connubio artistico di Qendra con la storica compagnia statunitense reso possibile dall’organizzatrice Maud Dinand già collaboratrice di Ellen Steward non sembra ancora perfettamente riuscito. La regia ha privilegiato una recitazione decisamente sopra le righe, quasi un musical con cantanti-attori tutti straordinari (americani, serbi e del Kosovo) che indossavano una sfilza di costumi eccentrici dietro i quali però, il testo di Neziraj perde un po’ della sua forza tagliente; il pubblico tutto intorno ai tavolini del bar dove si consuma la tragedia, assiste a esecuzioni, sottomissioni mescolate a situazioni al limite dell’humor nero, in un delirio collettivo dove, chi vuole può leggere il riferimento a qualunque guerra perché i risultati, dai Greci ad oggi, sono gli stessi: olocausti mascherati sotto altri nomi. Si può correggere il corso degli eventi, uscire dal ciclo della storia, quella fatta di uccisioni e di vendette per le quali sono inefficaci gli interventi degli dèi? Lo spettacolo urla nei corpi e nelle voci dei protagonisti, l’ambigua e inconcludente posizione dell’Europa nel risolvere nei Balcani, un problema umano, prima ancora che di confini.
Incontri straordinari
Durante i miei 5 giorni di permanenza in Kosovo ho potuto conoscere il professor Zymer Ujkan Neziri, epicologo, uno dei massimi esperti della cultura epica orale albanese, una specie di monumento vivente delle tradizioni del Kosovo, già docente universitario e membro dell’Istituto Albanologico dell’Università di Prishtina. Il professore che parla albanese e serbo-croato ma non inglese, ha una biografia incredibile e mi ha raccontato come durante i primi anni Settanta quando aveva vent’anni, la famiglia era composta da settanta persone – una specie di comunità-stato – e di come fosse stato condannato più volte al carcere per le sue attività patriottiche. E’ venuto in Italia, a Venezia- Fondazione Giorgio Cini nel 2018 a seguito di un progetto coordinato dall’etnomusicologo Nicola Scaldaferri dell’Università Statale di Milano dove fu invitato per un seminario di studi con concerto di Isa Elezi-Lekgjekaj, il più importante cantore con lahuta (lo strumento monocorde ad arco), maestro nel padroneggiare le tecniche formulaiche del canto e della narrazione. Le più celebri tradizioni del canto epico (come il ciclo leggendario dei Kreshnik, gli eroi della frontiera) di cui il professor Neziri è esperto, arrivano da un’area geografica ben definita, tra la Serbia, il Montenegro, il Kosovo e l’Albania, punto di incontro tra l’area slavofona e albanofona. Da poco è uscito il volume Wild Songs, Sweet Songs. The Albanian Epic in the Collections of Milman Parry and Albert B. Lord, in cui per la prima volta sono stati pubblicati i canti in lingua albanese della Milman Parry Collection di Harvard – che erano rimasti finora inediti – rielaborati a cura del professor Scaldaferri, con John Kolsti, Victor A. Friedman e Zymer Neziri per l’Harvard University Press.
Al Teatro Oda in uno degli appuntamenti del Kosovo showcase 2021 incontro Gani Jakupi un artista poliedrico nato a Prishtina: è sceneggiatore e illustratore di importanti graphic novel pubblicate in Francia e in Spagna, ma anche compositore di musica jazz, fotografo, scrittore. Risiede stabilmente a Barcellona da diversi anni ma torna periodicamente in Kosovo specialmente in queste occasioni di incontro con gli amici di Qendra multimedia che hanno anche pubblicato una sua graphic novel. Era qua anche a ottobre come direttore dell’annuale Festival di fumetti Ndërkombtar i Romanit Grafik – International Graphic Novel Festival di Prishtina. Nel corso della conversazione ci racconta alcune delle sue pubblicazioni a fumetti tutte improntate sul mescolare i generi del réportage fotografico e del racconto autobiografico; tra questi Ritorno in Kosovo (sulla guerra nei Balcani) tradotto anche in italiano per la casa editrice 001. E Imazhi i fundit (L’ultima immagine) sempre in forma di réportage a fumetti sul Kosovo che è stato tradotto in Francia di cui riesco a procurarmi l’ultima copia in albanese nella solita libreria del centro. Forse sarà possibile tradurla per l’Italia? Jakupi non si è occupato solo del Kosovo: una delle sue graphic novel più impegnative è stata quella sulla rivoluzione cubana e in particolare su una figura che dà il titolo all’opera El Commandante Yankee (2017), una sorta di réportage su William Alexander Morgan, una figura importante della rivoluzione cubana (rimandiamo a un articolo sulla sua figura scritto da Giulio D’Antona per Minima&Moralia), un ex soldato americano, uno ‘yankee’ dalla parte sbagliata del fronte, cioè schierato con i ribelli, che combatteva per la causa di Fidel Castro. Jakupi ha impiegato oltre dieci anni a svolgere ricerche, raccogliendo testimonianze andando all’Avana studiando testi, incontrando persone ed esplorando i luoghi abitati dalla ribellione castrista – ottenendo anche documenti mai pubblicati prima. «Mi interessa sempre quello che la gente dimentica», mi dice. Il libro a fumetti di 200 pagine, contiene anche un essay hystoric, una documentazione a sostegno delle sue tesi, essendo la graphic novel, basata sui fatti reali, completamente documentati. Con orgoglio ci dice che in Francia è considerata a più grande biografia a fumetti mai scritta.
Il mio doppio quartier generale in città è sia il Dit’e’Nat (locale di tendenza tra i giovani intellettuali), sia un bar nella piazza intitolata a Zahir Pajaziti, comandante dell’Esercito di Liberazione del Kosovo-UCK: davanti a me il vecchio Grand Hotel Prishtina che ricorda il periodo di Tito (che aveva una sua camera personale al secondo piano). In totale decadenza molti lo ricorderanno per le immagini di guerra nel 1999, considerato che i giornalisti alloggiavano proprio qua. A fianco c’è Kino Armata, un cinema usato all’epoca della ex Jugoslavia come centro culturale di Stato. Non sono distante dal luogo del monumento-simbolo del Nuovo Kosovo, il New Born che dal 2008 cambia veste ogni 17 febbraio, data della proclamazione unilaterale dell’indipendenza. Non sono distante neanche dalla redazione di Kosovo 2.0, un giornale giovane, composto da redattori internazionali attenti alle questioni soprattutto culturali e artistiche. L’ultimo giorno a Prishtina offro un caffè al libraio che vende libri in strada: mi ha gentilmente trovato un volume sul teatro e mi ha regalato una cartina di Prishtina. Magari per il prossimo viaggio. Sua moglie sta in Germania e manda i soldi a lui e ai figli per studiare. Gli dico che anche a Torino ci sono rivenditori di libri usati sotto i portici, libri antichi e rari e mi dice che vorrebbe andarci, gli mostro dal cellulare le foto di Via Roma. Per un momento mi ricordo che anche il taxista che mi aveva portato in hotel mi aveva detto di voler andare a Torino, ma per la Juve. E mi ricordo anche che devo andare a fare il test antigenico in clinica prima del volo: negli ospedali il problema più che il Covid in sé è l’assenza di infermieri che appena specializzati emigrano all’estero, considerata la paga che non arriva a 500 euro mensili. Un Paese che ha una popolazione media di 28 anni significa che quelli in età di mezzo sono tutti emigrati.
Venerdì, 19 novembre 2021
In copertina: Foto di Leonhard Niederwimmer da Pixabay.
Nel pezzo: Foto di Anna Maria Monteverdi.