Significato e significante del D3
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Uno spettacolo che accade in 3D può comportare o meno l’interazione dello spettatore. Ma se ciò non avviene, a cosa servirebbe l’esperienza in 3D di uno spettacolo, identico a quanto avremmo sperimentato senza visore ma dal vivo – come nel caso di Segnale d’allarme-La mia battaglia VR con Elio Germano?
Un’esperienza in 3D può sostituirsi a quella reale, come il viaggiare o il fruire di una visita museale o, ancora, arrivare a far rivivere l’immagine di un figlio sostituendo l’esperienza della perdita – che si supera attraverso le cinque fasi del lutto – con una fittizia continuità di vita, con un’illusione?
Ma soprattutto, come confrontarsi con un medium e un linguaggio unici in maniera creativa, senza scimmiottare la realtà o volersi sostituire ad altri media ed esperienze artistiche che trovano la loro ragion d’essere nell’esserci qui e ora, insieme ad altri individui, compartecipando uno spazio-tempo unico e irripetibile – e pensiamo al teatro ma anche alla realtà dell’incontro o del viaggio?
Questi e altri temi sono emersi nella chiacchierata con Lino Strangis, al termine della restituzione dell’esito del workshop – Unreal Engine 4 – di quattro giorni da lui tenuto, a Lucca, durante la manifestazione Over the Real. Un work in progress (che avrà anche ulteriori sviluppi artistici), al quale hanno partecipato quattro giovani provenienti da esperienze di formazione e studio molto distanti dalla video-arte e dalla creazione in 3D.
Il risultato, non solamente fruibile come video in cui si fondono poesia e immagine in movimento, è stato esperito dai presenti anche a livello personale, grazie al visore interattivo che abbiamo potuto indossare, tentando una breve interazione con l’immaginario fantastico creato durante il workshop dai giovani.
Dai discorsi e dall’interazione sono emersi sia l’esigenza di una creazione tecnologicamente avanzata e ad hoc per essere all’altezza delle aspettative di un pubblico sempre più uso al 3D, sia la necessità per qualsiasi prodotto artistico che si confronti con questa tecnologia di porsi la domanda se la stessa è solo effetto ridondante, se è negazione del linguaggio di base o se aggiunge un qualcosa a livello di significante e significato. In parole semplici, se il cinema vuole proporre un film in 3D deve porsi, ad esempio, la questione che se lo spettatore si gira per guardarsi intorno può perdere una scena saliente del film e, quindi, il cinema abbisogna di un codice narrativo in cui l’occhio dello spettatore deve sposare quello del regista – a meno di non prevedere forme partecipative dello spettatore che, però, snaturerebbero la specificità del cinema in favore di un’esperienza tipo videogame. Facciamo un latro esempio. Il teatro, perdendo la compresenza fisica attore/spettatore (e tra attori e tra spettatori), che è la matrice antropologica dell’azione e dell’esperienza teatrale, cosa diventa? E ancora, viaggiare in 3D è muoversi nello spazio rimanendo nel salotto di casa ma anche accettare passivamente la narrazione del mondo imposta dall’esterno, abdicando all’esperienza in prima persona, al dialogo e al confronto con altre culture e altri modi pensare, in favore di un universo televisivo.
Il 3D trova al contrario la sua ragion d’essere, almeno per noi e come mostrato anche da questa breve restituzione laboratoriale, nella creazione di mondi altri, nella sperimentazione di una fantasia condivisa con la quale possiamo interagire con creatività, di una realtà che non possiamo esperire nel reale ma che si apre sulla dimensione onirica, fantastica o fantascientifica.
Venerdì, 5 novembre 2021
In copertina: Immagine gentilmente fornita da Lino Strangis (non direttamente riferentesi al progetto presentato a Lucca).