Caso o destino?
di Simona Maria Frigerio
Tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati (di taglio autobiografico), premio Strega 2016, il film ricostruisce più che il delitto del Circeo, l’humus sociale e la mancanza di ‘educazione sentimentale’ dei ragazzi degli anni 70. Molto è stato detto – al tempo del fatti e, recentemente, all’uscita del film – su un certo falso moralismo della Roma ‘bene’ che sarebbe stato tra le cause delle violenze, sevizie e stupri commessi da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira ai danni di Donatella Colasanti e Rosaria López (deceduta proprio a causa degli stessi). Ma è anche vero che, come dimostra il cosiddetto ‘scandalo dei Parioli’, non parrebbe che a distanza di quasi quarant’anni una certa società romana abbia modificato la propria visione della vita e della sessualità.
Va detto che libro e romanzo esprimono la visione dell’autore, compagno di scuola dei tre assassini e stupratori, sebbene non amico personale. La lettura, quindi, dei fatti parte dalla sua interpretazione personale che mette sotto accusa, da una parte, un’educazione rigidamente cattolica e maschilista (il liceo privato frequentato da tutti) e, dall’altra, una sorta di perbenismo di facciata che tenta di nascondere le nefandezze, tensioni e ‘colpe’, come polvere sotto il tappeto della rispettabilità.
‘Colpa’ è in effetti una parola che risuona in sottofondo nel film (il libro, non lo abbiamo letto) e che si stende come un manto sia su scelte perfettamente legittime (anche se, a metà degli anni 70, potevano non sembrare tali), come desiderare di fare sesso (a 18 come a 40 anni), masturbarsi, riconoscersi omosessuale, avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio o volerli avere senza dover procreare. E sia come marchio per bollare le azioni criminali di Izzo, Ghira e Guido. Tale appiattimento, però, nel 2021, sembra un po’ datato e, in certo senso, quasi ‘assolve’ i tre colpevoli, condannati in primo grado all’ergastolo ma che se la sono cavata a buon mercato – Izzo, in libertà nel 2005 per buona condotta, ha commesso altri due femminicidi ed è tornato in carcere; Guido è definitivamente libero dal 2009, ed è riuscito anche a godere di vari, lunghi periodi di latitanza; Ghira (deceduto nel ʻ94), scappato all’estero e vissuto sotto falso nome, non è mai stato arrestato.
Quello che forse si sottovaluta, però, è un altro elemento che la regia sottolinea ottimamente con un montaggio parallelo: il caso. A vent’anni è normale conoscere e sperimentare. Perché un incontro si trasformi in una delusione, una sfida, un’esperienza da dimenticare o la migliore della nostra vita, oppure in una tragedia, a volte dipende solamente dal fato. E la mancanza di quel bieco moralismo che si respira in tanti, troppi film e telefilm statunitensi (dove si adombra che un genitore dovrebbe proteggere i figli come se il mondo fosse solo un coacervo di criminali, o che i figli debbano rimanere a casa con la mamma fino all’altare), è un punto in più per gli sceneggiatori (Massimo Gaudioso, Luca Infascelli e Stefano Mordini) e lo stesso regista. Emerge, al contrario, la voglia di scoprire l’altro da sé che, in clima di rivoluzione sessuale, doveva essere conquista ancora più difficile e scelta libertaria.
Tornando al film e allontanandosi dalla cronaca, va notata la regia di Mordini in quanto riesce a ricreare il clima di quegli anni (soprattutto nella freschezza dei ritratti femminili che, in quel periodo, portavano avanti un difficile processo di emancipazione che non si è ancora concluso) senza finire, per forza, nel solco del neorealismo, ma mantenendosi più vicino a una cinematografia contemporanea che sa raccontare i giovani restituendone voci, modi di pensare e comportamenti – privandoli di falsi moralismi o velleità incensanti – con particolare attenzione e sensibilità (pensiamo soprattutto a Gus Van Sant). La fotografia in sintonia con i colori del cinema anni 70; le ricostruzioni dell’ambiente puntuali ma non pedanti; un narratore partecipe e mai invasivo (o pesantemente letterario); il giusto ritmo con l’inizio in medias res come, ad esempio, in alcuni tra i migliori noir dell’epoca d’oro hollywoodiana – da La fiamma del peccato a Viale del tramonto; la capacità di creare un lavoro corale con una buona squadra di interpreti – tutti in parte – sono gli elementi che testimoniano il talento di Mordini.
Davvero un buon film che non si comprende perché sia stato vietato ai minori di 18 anni. Al contrario, proprio gli adolescenti dovrebbero vederlo per riconoscersi e discuterne – fra loro, in famiglia, a scuola. L’educazione sessuale e all’affettività, però, paiono tabù in questa nostra Italietta dove, come hanno sottolineato le note al termine del film, lo stupro è passato da crimine contro la morale a crimine contro la persona solo nel 1996 (ben 21 anni dopo i fatti del Circeo). Oppure si potrebbe malignamente pensare che solo l’accenno a una scuola e, soprattutto, a una morale cattolica che crei ‘peccatori’ e non ‘santi’ sia di per sé motivo di censura, in un Paese formalmente laico ma ferocemente retrogrado, omofobo e puritano.
La scuola cattolica
regia Stefano Mordini
con Benedetta Porcaroli, Giulio Pranno, Emanuele Maria Di Stefano, Giulio Fochetti, Leonardo Ragazzini, Alessandro Cantalini, Andrea Lintozzi, Guido Quaglione, Federica Torchetti, Angelica Elli, Gianluca Guidi, Luca Vergoni, Corrado Invernizzi, Francesco Cavallo, Fabrizio Gifuni, Valentina Cervi, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca
sceneggiatura Massimo Gaudioso, Luca Infascelli, Stefano Mordini, dal romanzo omonimo di Edoardo Albinati
fotografia Gigi Martinucci
montaggio Massimo Fiocchi e Michelangelo Garrone
scenografia Paolo Bonfini
costumi Grazia Materia
musica Andrea Guerra
produttore Roberto Sessa
produzione Picomedia, Warner Bros. Pictures, con il contributo del Ministero della Cultura
Italia, 2021
durata 106 minuti
data di uscita 7 ottobre 2021
distribuzione Warner Bros. Pictures
genere drammatico
V.M. 18 anni
venerdì, 5 novembre 2021
In copertina: La locandina del film.