Continuiamo ad avere dubbi
di Simona Maria Frigerio
Nel numero di venerdì 22 ottobre, abbiamo posto alcune questioni in merito agli anticorpi, al caso Moderna, ma anche relativamente al numero dei morti e dei malati gravi che non sembra avere una correlazione proporzionale con quello dei contagiati. In questo articolo cercheremo di porre qualche altra domanda ‘scomoda’ alla quale speriamo ci diano risposta medici, politici e ricercatori.
Quanto ci costerebbe vaccinare l’intera popolazione – magari più volte l’anno?
Sappiamo bene che il Paese leader nella corsa alla terza dose è Israele: piccolo, ricco e – ci spiace affermarlo – egoista e miope. In effetti, come continua a denunciare l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha senso vaccinare tre volte una minoranza della popolazione quando una larga fascia nel Sud del mondo non ha ancora ricevuto la prima dose – anche perché così si favorirebbe la creazione di nuove varianti. Ma, forse, al di fuori dei propri confini non interessa a nessuno cosa succede. Ovviamente, di fronte a una tale dicotomia viene da chiedersi se anche i vaccinati, con sintomi più lievi, non stiano favorendo il diffondersi di forme più perniciose che, altrimenti, costringerebbero i pazienti a letto. E magari se continuare a battersi perché in Africa arrivino vaccini come il Pfizer, da quanto riportato dalle fonti ufficiali, meno efficaci sulle varianti e di così breve durata, abbia un senso – soprattutto su una popolazione in cui la vita media è 19,4 anni. Ma anche in questo caso – forse – l’Occidente è solamente egoista: vaccinare l’Africa perché non si generino varianti che arrivino da noi e non perché interessati alle reali necessità di quei Paesi – come la vaccinazione contro la malaria o l’accesso a preservativi e PreP per prevenire il contagio da Hiv/Aids (argomento di cui scriveremo approfonditamente in un articolo di venerdì, 3 dicembre). In ogni caso le nostre coscienze possono dirsi tranquille: secondo Report di lunedì 25 ottobre, l’Europa regalerà all’Africa oltre 200 milioni di dosi di Astrazeneca (che non riesce più a somministrare agli europei, nemmeno over 50, in quanto la cattiva informazione ha condotto a una pessima fama, immeritata quando si usi AZ su persone al di sopra di una certa età). E come abbiamo appreso dal programma di Rai3, i medici tedeschi si augurano che la giovane popolazione africana abbia colleghi preparati a far fronte ai casi di trombosi associata a trombocitopenia – provocata dai vaccini che regaleremo loro con il Covax (della serie che, forse, sarebbe il caso di fermarsi e pensare?).
Nel frattempo, la pandemia ha lasciato nelle casse degli Enti locali un buco da 22,8 miliardi tra maggiori spese sanitarie e mancate entrate dovute alla crisi economica (com’era prevedibile e si è più volte scritto). L’Italia in fatto di negativo di bilancio è seconda, in Europa, solo alla Germania, dove si è toccata quota 112 miliardi. Nella UE tra maggiori spese e minori entrate, si registra un rosso a livello di Enti locali di 180 miliardi di Euro. Dalla macro alla micro economia, in Toscana è stato deciso il blocco delle assunzioni proprio nel settore della Sanità, la chiusura anticipata degli hub vaccinali e lo stop agli straordinari di medici e infermieri (come riporta La Nazione). Decisione presa dal Presidente di Regione, Eugenio Giani, in accordo con l’assessore alla salute Simone Bezzini, a causa di un disavanzo di 430 milioni di euro che pone la Toscana a rischio default. La domanda è, quindi, con quali fondi sarà finanziata la campagna vaccinale per la terza dose, lanciata sempre da Giani, per gli over 60, lo scorso 16 ottobre quale fiore all’occhiello della sua amministrazione? Rischiamo forse di non riuscire più a curare i toscani a livello oncologico od oculistico (da alcuni anni la situazione in questo settore è grave, con liste di attesa di mesi e, sempre come riferisce L., appuntamenti dati anche a 50 km di distanza) per continuare una campagna vaccinale che ha ormai superato l’80% di compliance over 12 e mentre si discute sull’efficacia e la validità della terza dose? Ma soprattutto, come risanare un buco a livello di Enti locali di quasi 23 miliardi con una manovra economica che sarebbe pari a 23 miliardi? E le altre spese dello Stato? Qualche economista può spiegarci come farebbero a tornare i conti? Il taglio delle tasse voluto dal Premier (non eletto) Draghi di 8 miliardi – che potrebbero essere 400 euro annui per 20 milioni di italiani, ossia un paio di visite mediche specialistiche – non rischiamo di pagarlo con gli interessi con l’azzeramento dei servizi di base – dalla sanità alla scuola, passando per l’assistenza agli anziani, i trasporti e la cultura?
Il costo dei vaccini continuerà a salire ma la concorrenza potrebbe bloccare il trend
Quotidiano Sanità pubblicava, il 30 luglio 2021, alcuni dati ricavati dal Report di Oxfam (che vi invitiamo a leggere per intero: https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2021/07/The-Great-Vaccine-Robbery-Policy-Brief-final.pdf). Secondo lo stesso i vaccini Pfizer/BioNTech e Moderna “sarebbero stati venduti a prezzi esorbitanti agli Stati, che potrebbero pagare 41 miliardi di dollari in più nel 2021, rispetto al costo di produzione stimato da 1,18 a 2,85 dollari a dose e nonostante 8,2 miliardi di finanziamenti pubblici ricevuti dalle due aziende. L’Italia avrebbe potuto risparmiare 4,1 miliardi di Euro per l’acquisto dei vaccini, sufficienti a garantire oltre 40 mila nuovi posti di terapia intensiva o l’assunzione di 49 mila nuovi medici”. Ma non solo. E qui sorge il dubbio già enunciato: chi ci guadagna di più con la terza dose – i cittadini o le case farmaceutiche? – perché: “I richiami per le varianti potrebbero costare fino a 175 dollari a dose, 148 volte il costo stimato di produzione” (come affermato dal Ceo di Pfizer).
In un sistema capitalistico, contro i monopoli farmaceutici – invece di invocare la liberalizzazione dei brevetti (dato che rimarrebbero da risolvere il problema del know how, del reperimento dei componenti base, della produzione e distribuzione su vasta scala), perché non utilizzare la carta della libera concorrenza?
Mentre il cosiddetto vaccino italiano, ReiThera, langue… il 9 settembre 2021, Fabrizio Chiodo, ricercatore italiano a L’Avana, dichiarava a Vanity Fair: “I risultati della sperimentazione hanno attestato che i vaccini Soberana02 e SoberanaPlus, ma anche il candidato vaccinale Soberana01, sviluppati senza alcun finanziamento a causa dell’embargo, sono estremamente sicuri, con efficacia del 91% su casi sintomatici della malattia”. Se Europa e Stati Uniti hanno preferito finanziare con fondi pubblici le aziende farmaceutiche private e ora ne sono ricattati, Cuba (ma pensiamo anche allo Sputnik V russo, o ai vaccini indiani e cinesi) potrebbe diventare l’alternativa in un sistema di libera concorrenza. E se Cuba vuole essere la risposta per i Paesi a basso reddito presi in giro dal Covax e dalle velleità buoniste o dai discorsi di Biden, a Torino si porta avanti una sperimentazione clinica del SoberanaPlus sulle varianti, i cui primi risultati paiono confortanti. Non solo, Jorge Luis Alfonso Ramos, Ministro Consigliere incaricato degli Affari Generali, Politici e Tecnico Scientifici di Cuba ha dichiarato a Fanpage.it: “Abbiamo proposto all’Italia di effettuare una sperimentazione clinica congiunta di uno dei nostri vaccini, il SoberanaPlus, che ha un’importante capacità di riattivare gli anticorpi prodotti da altri vaccini e che potrebbe rappresentare una necessità nei prossimi mesi, se sarà necessario somministrare la terza dose”. L’8 settembre, a riprova che la concorrenza potrebbe essere una chiave di volta in questo sistema, molto più efficace delle belle parole – dato che se l’offerta aumenta, i prezzi tendono a diminuire – da Wired si apprende che, secondo uno studio indipendente pubblicato in pre-print: “Il vaccino russo Sputnik V è efficace contro la variante Delta. Il campione di quasi 14 mila persone ha rivelato che il vaccino a due dosi riduce il rischio di ospedalizzazione per Covid-19 dell’81% e aiuta a prevenire gravi lesioni polmonari”.
Le domande che nascono spontanee sono tre. Non sarebbe possibile sviluppare un’industria farmaceutica di Stato (o tra più Stati) per produrre farmaci salvavita e vaccini? Ma se proprio dobbiamo ricorrere all’industria farmaceutica privata perché viviamo in un regime capitalistico, ha senso fare battaglie politiche erigendo barriere contro l’uso di vaccini non prodotti in Europa e Stati Uniti, quando il libero mercato ci dà la possibilità di calmierare i prezzi? E soprattutto, quanta fiducia possiamo avere nell’EMA (l’Agenzia Europea dei Medicinali), se “il budget 2020, su un totale di 358 milioni di euro, era coperto per 307 milioni (pari all’84%) da contributi delle case farmaceutiche e appena per 51 milioni da fondi dell’Unione europea”? (Dati ricavati da Sciacalli, virus e salute, Mario Giordano, Mondadori).
‘Scudo penale’ per medici e infermieri. L’Italia non avrebbe potuto agire diversamente?
Su altalex.com apprendiamo che nel Decreto Legge 44/2021 (convertito in Legge il 28 maggio scorso, N° 76/2021): “Una rilevante novità introdotta in sede di conversione è la limitazione della responsabilità penale del personale medico per i delitti di omicidio colposo e lesioni personali avvenute nel periodo dell’emergenza (art. 3 bis). Beneficiano di uno ‘scudo penale’ i reati avvenuti nell’esercizio di una professione sanitaria che trovano causa nella situazione di emergenza. La punibilità avviene infatti solo in caso di colpa grave del medico. La nuova norma precisa inoltre che tra i fattori che possono escludere la gravità della colpa, il giudice potrà considerare anche: a) la limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie provocate dal virus e sulle terapie appropriate; b) la scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero di casi da trattare; c) il minor grado di esperienza e conoscenze tecniche del personale non specializzato impiegato durante l’emergenza”. Siamo certi, però, che la limitatezza delle conoscenze scientifiche, la scarsità delle risorse umane e materiali, e l’uso di personale non specializzato siano da considerarsi fattori validi per non imputare colpe, non solamente al personale sanitario, ma anche e soprattutto a chi era al Governo?
Facciamo alcuni esempi (pochi, per non ammorbare il lettore). Lo stato d’emergenza viene dichiarato, in Italia (e sussiste in questo momento, unico Paese in Europa), il 31 gennaio 2020. Il primo positivo al Covid-19 è ufficialmente diagnosticato tra il 20 e il 21 febbraio. Come mai in tre settimane non si è dato il via al piano pandemico – provvedendo ad attrezzature e personale in grado di fronteggiare l’epidemia? La risposta, gli italiani dovrebbero ricordarsela da sé.
Passiamo ai tamponi, che avrebbero potuto essere efficaci nel contrastare l’espansione dei contagi se fossero stati veloci. Il 13 marzo 2020 in Corea del Sud già si effettuavano, prendendo i campioni da persone al volante delle loro auto e si avevano i risultati entro un giorno (https://www.npr.org/sections/goatsandsoda/2020/03/13/815441078/south-koreas-drive-through-testing-for-coronavirus-is-fast-and-free?t=1634485425567). In Italia, la procedura dei molecolari era talmente farraginosa che occorrevano diversi giorni prima di avere un risultato. Gli antigenici diventano una realtà in Italia, a Fiumicino, il 16 agosto 2020, e il commissario all’emergenza Domenico Arcuri ne ordina, il 14 agosto, una prima tranche da 130 mila pezzi, appunto, a un’azienda sudcoreana. Si passa dalle analisi in laboratorio a un semplice tampone orofaringeo (o salivare) – come quello che si usava già da 6 mesi in Corea del Sud. Rivolgersi immediatamente alla nazione che aveva fronteggiato le epidemie di Sars e Mers?
Non vogliamo ribadire come le misure imposte dalla Circolare 15280 del 2 maggio 2020 (già citata), in cui si faceva presente che “Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di COVID-19”, hanno forse inciso sulla mortalità – certo è che se non si attiva immediatamente la ricerca medica, difficilmente si scoprirà perché è morta una persona e come si sarebbe potuto curarla.
Quante morti si sarebbero potute evitare se non si fossero tagliati posti letto, terapie intensive e personale medico-sanitario per almeno un decennio? Sembra una excusatio non petita, accusatio manifesta del Governo questo scudo penale per il personale medico – come a far dimenticare non solamente i tagli del passato ma anche il congelamento delle assunzioni del presente (vedasi il caso toscano) e il fatto che assumendo, al posto di personale competente, neolaureati senza esperienza (o, peggio, richiamando al lavoro medici ormai in pensione e, quindi, per età, maggiormente a rischio di ammalarsi gravemente, se contagiati), si stesse pensando solo a risparmiare e non a fronteggiare efficacemente un’epidemia. Pare che la politica si preoccupasse, attraverso i successivi lockdown (che, per alcune attività, si sono succeduti anche da ottobre 2020 ad aprile 2021), di arginare l’epidemia scaricando il peso e il costo della stessa sull’attività lavorativa dei cittadini, costretti a casa. Dimentica che, come dimostra oggi il buco di bilancio degli Enti locali, a minor tassazione corrispondono sempre minori entrate e non aver speso in sanità, allora, potrebbe essere un boomerang per l’economia italiana (e non solo) oggi. Per non parlare dei tanti medici e infermieri contagiati perché mancavano le più banali protezioni (mascherine in primis).
Un’altra domanda vorremmo porla oggi ai medici generici che, negli ultimi 19 mesi, hanno ‘curato’ i pazienti prevalentemente al telefono – sempre che i pazienti riuscissero a contattarli. Il racconto di F., toscano over 50, che non ha potuto avere accesso ai monoclonali perché il suo medico generico vi si è opposto (e dopo quasi due mesi dalla negativizzazione, ha ancora problemi seri: spossatezza, pressione alta, difficoltà respiratorie, mancanza di gusto e olfatto), ci fa sorgere il dubbio che quel medico dovrebbe essere denunciato. Perché si è assunto la responsabilità di continuare con la pratica della vigilanza attiva (che dovremmo aver compreso non essere la soluzione) invece di ricorrere alle medicine attualmente disponibili? La medicina territoriale ha fallito. Il perché dovrebbero spiegarlo i medici di famiglia. Il carico eccessivo sui Pronto Soccorso si può imputare anche a questo fallimento? Nel frattempo, ci poniamo ulteriori domande. Il futuro sarà la telemedicina? Ossia quella cosa che ogni persona che si sia ammalata in questi 19 mesi ha compreso non essere efficace; oppure dovremmo avere – come a Cuba – team medico-infermieristici di prossimità? O ancora, strutture miste con medici internisti (al posto dei generici), specialisti, ecografisti, personale infermieristico e tecnici di laboratorio, compresenti nella medesima struttura per offrire nell’immediato a ciascun paziente (almeno per dodici ore al giorno) tutti gli interventi di prima necessità?
E perché, infine, come denunciato da Report lunedì 25 ottobre, se il 17 marzo 2021 il professor Greinacher, in Germania, trovava gli anticorpi anti PF4 nei pazienti con trombosi associata a trombocitopenia – sviluppate a pochi giorni dalla vaccinazione con Astrazeneca – e li curava con le immunoglobuline, rendendo altresì pubblici i risultati per consentire ai medici di provvedere ai loro pazienti in modo corretto, in Italia si proseguiva con gli open day per i giovani inoculando Astrazeneca e non si avvertiva immediatamente chi si vaccinava dei sintomi che sarebbero potuti insorgere? E il nostro personale medico era preparato per curarli, avendo accettato la liaison tra vaccino e trombosi associata a trombocitopenia?
Nessuno ha mai colpa in questa Italia dai Muri di gomma.
I monoclonali costano – ma quanto un ricovero ospedaliero?
Nonostante la politica e l’opinione pubblica si concentrino unicamente sui vaccini (sebbene la loro efficacia sarebbe limitata e i costi sempre più elevati), alcune Case farmaceutiche hanno cominciato a sviluppare cure per quella che la Norvegia ha definito una delle tante malattie respiratorie stagionali. (Le parole, esatte, per evitare le consuete smentite alle cosiddette fake news, che alla fine non smentiscono niente: “at this point in the pandemic we must start approaching Covid-19 as one of several respiratory diseases circulating with seasonal variation”, ossia “a questo punto della pandemia, dobbiamo affrontare il Covid-19 come una delle tante malattie respiratorie che circolano con i cambi di stagione”, t.d.g.).
Tra i farmaci dei quali si discute, dopo la guarigione quasi ‘miracolosa’ di Donald Trump, ci sono i monoclonali. Ma vediamo un po’ come i nostri esperti li hanno via via giudicati. Ilaria Capua, laureata in medicina veterinaria, specializzata in igiene e sanità animale, dichiara all’Huffington Post il 12 novembre 2020: “La cura anti Covid per Trump costa un milione, questa non è medicina per tutti” – a parte la cifra spropositata, dalla sua (oltre un anno dopo) ha ancora Andrea Crisanti, professore di microbiologia dell’Università di Padova, che il 21 aprile 2021 dichiara a Famiglia Cristiana: bisogna puntare “sugli antinfiammatori e gli anticoagulanti; gli anticorpi monoclonali sono stati imposti all’Italia da una lobby di interesse” – senza precisare però quale sia la lobby e se la stessa possa essere identificata o meno con quella che sponsorizza i vaccini di massa ogni tot mesi.
Nel frattempo, il 10 febbraio 2021, a Euronews l’Agenzia Italiana del Farmaco ammette una “«immaturità dei dati e la conseguente incertezza rispetto all’entità del beneficio”», a fronte di un costo relativamente elevato (circa 2 mila Euro per una dose)”. A questo punto, però, abbiamo capito una cosa: i monoclonali costano 2.000 e non 1 milione di Euro.
Eppure, già il 20 dicembre 2020, Il Fatto Quotidiano denunciava: “Il monoclonale della Eli Lilly offerto gratis all’Italia? Poteva evitare almeno 950 ricoveri. Una goccia nel mare degli ospedalizzati, ma comunque una speranza di fronte alla mancanza di una cura specifica contro il Covid, sia per le casse dello Stato, visti i costi di un ricovero. Già da novembre avremmo potuto somministrare 10 mila dosi del Cov-555, prodotto in Italia, e diventare il primo Paese Ue a sperimentare l’unica cura autorizzata contro il virus. Il tutto a costo zero”. (Rimandiamo all’articolo originale: https://www.google.com/amp/s/www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/20/il-monoclonale-si-poteva-usare-ed-era-pure-gratis/6043034/amp/).
Devono passare mesi perché il 9 agosto 2021 SkyTG24 scriva sul suo online: “L’Agenzia Italiana del Farmaco ha aggiornato le specifiche per la somministrazione dei farmaci in relazione alla loro efficacia contro le mutazioni del coronavirus. Parere positivo all’utilizzo dell’anticorpo sotrovimab, che va ad aggiungersi ai quattro già disponibili: bamlanivimab, etesevimab, casirivimab e imdevimab. Prescrizioni in crescita: +48,1% in una settimana” (ovviamente si sta parlando di monoclonali). Ma il 1° ottobre (quasi a confermare la dichiarazione di F. che abbiamo riportato più sopra, La Stampa denuncia: “Covid, negli ospedali frigoriferi pieni di monoclonali mai usati: ‘Costano un decimo di un ricovero e avremmo evitato migliaia di morti’. Uno studio di un pool di virologi di Napoli: «Ogni ospedalizzazione costa allo Stato 21 mila euro in media, la terapia anticorpale 1.250 euro». Di Perri: «L’uso tempestivo salverebbe molte vite»”.
Con quest’ultimo ‘balletto’ chiudiamo. Abbiamo voluto proporvi solo qualche stralcio di opinioni, dichiarazioni, affermazioni, passi indietro, report e studi scientifici (tutti reperibili in rete e, per quanto possibile, verificati) pubblicati negli ultimi 18 mesi. L’italiano medio pare abbia memoria corta eppure ma, come Liliana Segre ha detto: “Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”.
Venerdì, 29 ottobre 2021
In copertina: Foto di Pexels da Pixabay.