di Lucia Mazzilli
Pochi giorni fa una ricorrenza: 75 anni di immagini della Terra dallo spazio. La prima immagine è stata infatti realizzata il 24 ottobre 1946 da un razzo nazista che gli statunitensi hanno recuperato alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il razzo, che i progettisti nazisti avevano chiamato A4 e che faceva parte del Programma missilistico del III Reich, venne battezzato V2 e portava a bordo una fotocamera di 35 mm in grado di scattare immagini ogni 1,5 secondi. Un’immagine in bianco e nero e molto sgranata, ma un’immagine che ha fatto la storia. Prima di essa, l’11 novembre 1935, il pallone aerostatico Explorer II aveva già realizzato immagini dallo spazio, ma volando a 22 mila metri d’altezza non era in grado di realizzare ampie inquadrature. V2 raggiunse invece i 104 km d’altezza, consentendo l’inquadratura della porzione di Terra che vediamo nell’immagine.
Oggi siamo ormai abituati a risultati ben più raffinati sia sotto il profilo tecnologico, sia sotto quello estetico e, non finiremo mai di ripeterlo, il contributo che l’indagine satellitare è in grado di offrire alla scienza è davvero enorme.
L’immagine a colori che proponiamo questa settimana, rilasciata il 22 ottobre scorso, cattura una porzione di permafrost artico. Come è noto, il cambiamento climatico porta allo scioglimento di crescenti aree di permafrost. La preoccupazione fino a ora messa in luce dagli scienziati è che tale fenomeno è accompagnato dal rilascio di gas serra – anidride carbonica e metano- nell’atmosfera con conseguente riscaldamento globale. A tale problematica, una recente ricerca nell’ambito dei lavori ESA-NASA Arctic Methane and Permafrost Challenge, ha messo in luce che tale scongelamento potrebbe rilasciare batteri resistenti agli antibiotici, virus sconosciuti e persino scorie radioattive rilasciate dai reattori nucleari e dai sottomarini della Guerra Fredda e altre sostanze chimiche pericolose.
Un altro rischio riguarda i sottoprodotti dei combustibili fossili, introdotti negli ambienti del permafrost dall’inizio della rivoluzione industriale. L’Artico contiene anche depositi di metalli naturali, tra cui arsenico, mercurio e nichel, che sono stati estratti per decenni e hanno causato un’enorme contaminazione da materiale di scarto su decine di milioni di ettari.
Inquinanti e le sostanze chimiche ora vietati, come l’insetticida dicloro-difenil-tricloroetano, DDT, che sono stati trasportati nell’amosfera dell’Artico e nel tempo sono rimasti imprigionati nel permafrost, sono a rischio di disperdersi nuovamente in atmosfera e nelle acque compromettendo la vita di specie animali ed entrando nella catena alimentare umana.
La situazione è decisamente preoccupante: gli scienziati stimano che entro il 2100 potrebbero andare persi fino a due terzi del permafrost vicino alla superficie.
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Venerdì, 29 ottobre 2021