Cyril Collard: dalla rabbia alla vita
di Simona Maria Frigerio
Il 5 marzo 1993 muore a Parigi Cyril Collard – scrittore, regista, attore e compositore francese. Ha 35 anni. L’Aids lo uccide prima che il film tratto dal suo romanzo autobiografico, Les nuits fauves, riceva il César per il Migliore montaggio, il Miglior film, il Migliore film d’esordio e la Migliore promessa femminile (Romane Bohringer nel ruolo di Laura). Collard aveva firmato soggetto, regia, musiche e ne era stato il protagonista.
Il film esce nel ʻ92, My own private Idaho (Belli e dannati), di Gus Van Sant, è del ʻ91, mentre City of Night, il romanzo di John Rechy, era stato pubblicato nel 1963. Il mondo dell’omosessualità indagato seguendo il flusso di coscienza di un protagonista, senza auto-compiacimenti né auto-assoluzioni e, se nel secondo e nel terzo la prostituzione è co-protagonista, in Notti selvagge lo è il virus.
«Chi può dire la rabbia cos’è? È un mormorio, un fremito, una tempesta…?», il film si apre con questo interrogativo. Siamo in Marocco, è il 1986. Collard è Jean, e sbarca il lunario come operatore di ripresa e fotografo. Il labile confine tra interprete e personaggio è continuamente scavalcato. Le riprese di taglio documentaristico rivelano uno scabroso groviglio di corpi, una promiscuità in cerca di tenerezza – di uomini e di donne.
In sottotraccia, la rabbia. Quella di Jean contro un virus che è una sentenza di morte. Quella di una società falsamente permissiva ma omofoba e razzista (L’odio di Mathieu Kassovitz uscirà nel ʻ95). Quella di Laura, folle d’amore per Jean come Isabelle Adjani in L’histoire d’Adèle H. di François Truffaut; a identificare la giovane, nemmeno diciottenne, una frase: «Pensavo davvero di essere sieropositiva perché volevo condividere tutto con te». Lei è giovane, lui più maturo e inquieto, ma la loro folie à deux è comune a molte coppie del periodo, perché stranamente l’Hiv – al contrario del Covid – lega, unisce ancor più strettamente chi si ama. La passione pretende tutto, compreso il virus – che sarà pure stigma sociale, in quel periodo, ma non importa: al contrario, può farsi emblema di un amore vero. Una gioventù più selvaggia e pronta a rischiare lo sfida, lo corteggia, lo sublima in opere cinematografiche, murales, romanzi. Dracula di Bram Stoker, del ʻ92, è l’apoteosi hollywoodiana dell’orgia di sangue e passione vietata dall’Aids.
Dichiaratamente bisessuale, Jean prosegue la sua corsa forsennata alla ricerca di un perché tra rifiuti della morte e incapacità di amare: la sua auto fiammeggiante corre, così come corre il tempo – poco – che gli resta. Nel secondo tempo, dopo che il parossistico amore di Laura è giunto al culmine, l’orizzonte si apre. Dall’intimo groviglio di corpi ed emozioni, la macchina da presa si allarga su panorami naturali che paiono ridare equilibrio al grumo di dolore, piccolo e duro, che ognuno cova in sé. Jean passa da un’apnea emotiva che si protrae da quando era bambino, per tornare a respirare insieme allo spettatore – visivamente e metaforicamente.
L’unica fuga possibile è allontanarsi dalla Francia, dalla città, dalle luci artificiali, dai corpi sconosciuti amici di una notte, dai piaceri fuggevoli e consolatori, dagli incontri in cui ci si dimentica il sé nell’effimero istante di una passione senza domani. «Se puoi aiutarmi a vivere, fallo»: chiedere aiuto è il primo passo per aprirsi all’altro da sé. Significa mostrarsi nudi e vulnerabili. Significa avere fiducia in chi amiamo. Jean ritrova se stesso perdendosi, ancora una volta, ma sapendo che non sarà più solo.
Jean/Collard ci saluta con una dichiarazione d’amore per la vita, la sua, ma anche la nostra che, se non stiamo attenti, se ci facciamo intrappolare dalla paura, rischia di scorrerci come acqua tra le dita e, come acqua, non potremo più riafferrarla: «Sono vivo. Il mondo non è solamente una cosa messa là. Anch’io ne faccio parte. Mi è offerta. Forse morirò di Aids, ma quella non sarà più la mia vita. Questa è la vita. Sono vivo». Con queste parole l’occhio di Collard e la sua macchina da presa si sollevano al di sopra del mondo, di tutti noi che fatichiamo a sentirci vivi.
Venerdì, 29 ottobre 2021
In copertina: particolare dell’immagine sulla videocassetta (rielaborazione grafica di Lucia Mazzilli).