Possiamo avere dubbi?
di Simona Maria Frigerio
Ad aprile pubblicavamo una serie di domande,
che restano tuttora in gran parte senza risposta. Nel frattempo sono trascorsi sei mesi e la situazione si è in un certo senso complicata: ancora una volta, ci farebbe piacere che medici, ricercatori e legislatori rispondessero alle nostre domande o che almeno i cittadini cominciassero a porsi dubbi. Noi non abbiamo risposte.
Dal Covid all’Aids?
Il green pass pone questioni che vanno aldilà dell’essere o meno favorevoli ai vaccini, in quanto lede alcuni diritti fondamentali per una parte della popolazione che si vede costretta a ‘pagare’ per andare al lavoro – e sebbene, nell’attuale sistema, tra stage universitari e post rigorosamente gratuiti e collaborazioni volontarie i giovani italiani si siano abituati a non essere più retribuiti, qui si fa un passo deciso in avanti obbligando il lavoratore a coprire le spese per la sicurezza sul lavoro o a essere sospeso. La CGiL in piazza a manifestare contro un fascismo vecchio di 70 anni non si accorge di dove si annidino le nuove forme di discriminazione e lotta. La prima domanda, la vorremmo fare proprio al Segretario Landini: se il prossimo passo dovesse essere dichiarare la sieropositivà all’Hiv/Aids all’azienda – cosa fareste?
La Circolare 32884 del 21 luglio 2021 del Ministero della Salute
Trasmessa anche da Filippo Anelli, Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri ai propri iscritti, nella Circolare si specifica che sarebbe preferibile la vaccinazione entro sei mesi dalla guarigione dal Covid-19 ma non oltre l’anno. R., residente in Lombardia, ci riferisce di aver fatto a proprie spese il sierologico per capire se e quanti anticorpi avesse. Scoperto di averne ancora molti, chiede al suo medico generico che le fornisca un certificato che le consenta il differimento della vaccinazione (Decreto Legge del 1° aprile 2021, N° 44, Art. 4 comma 2, convertito in Legge il 28 maggio 2021, N° 76) in quanto le sue “specifiche condizioni cliniche documentate”, ossia la presenza nel sangue di un elevato numero di anticorpi, non la metterebbero a rischio di contrarre nuovamente la malattia. Parrebbe un ragionamento sensato. L’idea sarebbe quella di farsi vaccinare tra tre o sei mesi (quando gli anticorpi potrebbero diminuire) e poter comunque accedere al posto di lavoro, alla scuola dei figli, alla vita sociale, culturale e sportiva utilizzando tale certificato al posto del green pass. Questo perché, essendo previsto che uno abbia tempo 12 mesi prima di fare la dose di vaccino, dopo essersi ammalato, R. immagina di vivere in un Paese civile dove a normativa ministeriale corrisponda una prassi medica e burocratica. Il medico generico le ha però rifiutato tale certificato adducendo che dovrebbe rilasciarlo un ente vaccinatore e l’ha liquidata invitandola, nel caso, a cambiare medico. Anche l’avvocato le ha consigliato di cambiare medico. Come sanno bene gli italiani, però, è molto difficile seguire questa strada, dato che i medici di famiglia scarseggiano ormai da anni. A questo punto che valore ha stabilire che un cittadino abbia tempo un anno, dopo la malattia, per farsi vaccinare? Ma soprattutto, non avrebbe senso 1) risparmiare dosi di vaccino, che pesano sulle casse erariali (argomento sul quale torneremo); e 2) usare il sierologico per comprendere per quanto tempo sono presenti gli anticorpi in chi ha contratto il virus? Al contrario, l’affermazione della succitata Circolare: “l’esecuzione di test sierologici, volti a individuare la risposta anticorpale nei confronti del virus, non è raccomandata ai fini del processo decisionale vaccinale” non risuona come una eco della Circolare 15280 del 2 maggio 2020, in cui si faceva presente che “Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di COVID-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio”? E al punto 2, si chiariva che: “le Direzioni sanitarie di ciascuna regione daranno indicazioni finalizzate a limitare l’esecuzione dei riscontri diagnostici ai soli casi volti alla diagnosi di causa del decesso, limitando allo stretto necessario quelli da eseguire per motivi di studio o approfondimento”. Quell’invito del Ministero della Salute a non fare ricerca medica può avere causato morti non necessarie – magari per trombosi?
Quando i conti non tornano
Come fa la Cina a dichiarare 14 nuovi positivi (il 15 ottobre), non avendo più fatto né lockdown né avendo imposto restrizioni ai movimenti interni di oltre un miliardo di persone, quando l’Australia (con nemmeno 26 milioni di persone), pur avendo applicato misure severissime a più riprese e avendo chiuso l’isola/continente agli stranieri per oltre un anno, a mezzanotte dell’11 ottobre – al termine dell’ennesimo lockdown durato ben 106 giorni – dichiarava 2.312 nuovi positivi (di cui 496 nel Nuovo Galles del Sud, proprio lo Stato di Sidney e dei succitati 106 giorni di clausura)? Come faceva l’Italia, la scorsa settimana (secondo worldometers.info), ad avere un trend di 17.583 nuovi positivi in 7 giorni contando 240 morti, mentre il Regno Unito ne aveva 296.631 (16 volte in più dell’Italia) ma solo 849 morti (poco più di tre volte tanto)? Non solo, prendiamo una giornata a caso: il 17 ottobre nel Regno Unito c’erano 783 persone in situazione critica, mentre l’Italia ne registrava 349 (poco meno della metà). I britannici utilizzano cure migliori? Quali? Certamente la risposta non può essere il vaccino, dato che dati ufficiali alla mano (Our World in Data) in UK la percentuale dei vaccinati (sul totale della popolazione) raggiunge il 66,7% il 15 ottobre, mentre l’Italia (pari data e fonte) il 71%. Sebbene la mancanza di qualsiasi precauzione (distanza o mascherina che sia) porta a un aumento dei casi, si può dire che tale aumento non è proporzionale né al numero delle terapie intensive né alla mortalità effettiva. Idee a proposito?
Il nuovo casus belli: dopo Astrazeneca, Moderna
Ad aprile 2021 riportavamo: “Science Norway il 22 marzo (https://sciencenorway.no/covid19-vaccines/this-is-why-norway-is-still-saying-no-to-the-astrazeneca-vaccine/1832874) scriveva: ‘Norwegian experts are confident that the rare blood clot condition is a side effect of the Astrazeneca vaccine’”. Ai dubbi circa la possibilità che il vaccino Astrazeneca provocasse la trombosi, soprattutto nelle giovani donne, il Ministro Speranza – dopo la prima brevissima interruzione delle somministrazioni di Astrazeneca – dichiarava a Stasera Italia Weekend (come ripreso da AskaNews il 20 marzo): “La vera arma è chiudere una stagione così complicata. Abbiamo ripreso la vaccinazione con Astrazeneca e l’adesione è stata significativa”. Nessuna considerazione per il principio di precauzione. Poi, il 10 giugno moriva la diciottenne Camilla Canepa e l’Italia accettava finalmente l’evidenza. Nel frattempo anche l’Ema pareva ricredersi e ricordava che: “nei giovani il rischio di ammalarsi gravemente di Covid è molto ridotto. Fra i 20 e i 29 anni – secondo l’Agenzia europea – il vaccino non previene alcun decesso ma può provocare 1,9 casi di trombosi ogni 100 mila vaccinati e le probabilità di tale effetto collaterale aumentano al diminuire dell’età”.
Il 9 ottobre l’Islanda sospende il Moderna a causa del rischio di infiammazioni cardiache al miocardio e pericardio. Decisione che segue la medesima presa di posizione di Svezia e Finlandia – le quali ne hanno sospeso l’uso nella popolazione al di sotto dei 30 anni, mentre Danimarca e Norvegia al di sotto dei 18 anni. Su repubblica.it leggiamo, ancora una volta, che il Ministro della Salute Roberto Speranza: “ha confermato che l’Italia non prenderà provvedimenti, criticando velatamente le decisioni dei governi scandinavi: «Io penso che ci sia bisogno di molto più coordinamento fra i Paesi e che dobbiamo fidarci delle autorità internazionali, a partire dall’Ema che è la nostra agenzia di riferimento e che ha espresso giudizi molto netti sulla materia, ai quali ci adeguiamo»”. Come nel caso di Astrazeneca?
Cosa significa immunità e quanto dura?
Partiamo da un fatto scientifico (dato che è ormai in uso in Italia dare dei fascisti o dei creduloni ignoranti a chiunque ponga dubbi): “L’immunità può essere umorale – cioè basata sugli anticorpi – o cellulare – basata sulle cellule T. I punti sui quali si dibatte sono la durata dell’immunità umorale e il ruolo giocato dalle cellule B della memoria”, sia in caso di avvenuta malattia sia di somministrazione di vaccino. Ora parrebbe che sia il Ministero della Salute italiano sia la Pfizer/BioNTech premano solamente sul numero di anticorpi.
Vediamo cosa è successo a luglio di quest’anno negli Stati Uniti. L’8 luglio Pfizer/BioNTech (ossia i produttori del vaccino che, ovviamente, immaginiamo ci guadagnino vendendolo) chiedono l’autorizzazione all’uso di emergenza per una dose di richiamo adducendo i dati di un loro studio che dimostrerebbero come l’efficacia del vaccino cali in breve tempo e il terzo richiamo “potrebbe rendersi necessario dopo sei-dodici mesi dalla seconda dose”. A luglio, però, la Food and Drug Administration e i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitensi rimandano la richiesta al mittente affermando che, da loro studi, il ciclo vaccinale completo resta efficace contro forme gravi e mortali. A questo punto National Geographic pubblica un articolo dove, al contrario dello studio di Pfizer, si affermerebbe che nuovi dati di laboratorio suggeriscono che tale vaccino offra una protezione che potrebbe durare per anni. Anche in Italia l’immunologo Mario Clerici avrebbe dichiarato: “La terza dose di vaccino di massa non dovrebbe servire. Studi clinici indicano che l’immunità sarà long-lasting, di lunga durata. La terza dose servirà magari per pazienti immunodepressi come, per esempio, i malati oncologici o i trapiantati. Sempre più dati vanno in questa direzione. Anche quelli citati sulla rivista Nature”. Quel sierologico che il nostro Ministero della Salute non raccomanda, in effetti, darebbe un quadro parziale della situazione perché non solamente gli anticorpi ci proteggono (e se ne abbiamo molti perché vaccinarci?), ma anche nel caso diminuiscano, esistono le cellule T e le cellule B, due tipi di globuli bianchi. Riportiamo le parole del direttore dell’Istituto di immunologia dell’Università della Pennsylvania, E. John Wherry, sempre al National Geographic: “Le cellule T «hanno il ruolo di ‘orchestratori’ di queste complesse risposte immunitarie». Questi infatti nutrono le cellule B, che maturano e si trasformano in plasmacellule, con una missione: «Sono fabbriche di anticorpi»”. E chiudiamo con quelle di Jane O’Halloran, professoressa assistente di medicina presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Washington (St. Louis, Missouri), che mette il punto all’articolo: “Se avessimo alti livelli di anticorpi per ogni patogeno che incontriamo, avremmo il sangue denso come il fango”. Le domande che sorgono spontanee sono: non sarebbe necessario, a livello di Stati, spingere per ricerche imparziali invece di fidarsi dei dati delle case farmaceutiche? E soprattutto, se un vaccino copre per tempi così brevi (5/6 mesi), non sarebbe il caso di investire in altri prodotti farmaceutici – sia a livello vaccinale sia di cure?
Chiudiamo con la testimonianza di T. dalla Toscana. Donna over 60, accusa i sintomi di un’influenza tra gennaio e febbraio 2020. Prende un analgesico per il mal di testa, resta a letto qualche giorno con la febbre. Poi prova senso di spossatezza per un paio di mesi. Con il tempo si chiede se non abbia avuto il Covid-19. Quando va dal medico generico, nella primavera del 2021, lo stesso le dice di farsi vaccinare. Non ha senso che lei indaghi, dopo tanti mesi, se ha avuto o meno la malattia perché, in ogni caso, non avrebbe più gli anticorpi. T. però dubita e fa, circa 18 mesi dopo il presunto contagio, il sierologico. Non solamente era il Covid-19, ma ha ancora una gran quantità di anticorpi.
La seconda parte dell’articolo – con i dati di Oxfam sul costo dei vaccini, il buco di bilancio nelle Casse degli Enti locali europei e un approfondimento sui monoclonali – sul Numero di venerdì, 29 ottobre.
Venerdì, 22 ottobre 2021
In copertina: Foto di Shafin Al Asad Protic da Pixabay.