Esiste ancora un’Italia dei diritti o solo delle pene?
di Luciano Uggè
Il green pass è un balzello medievale imposto da un sovrano che vuole dimostrare che è in grado di imporre qualsiasi cosa al popolo suddito – giusta o sbagliata che sia. L’Italia, tra i Paesi più vaccinati al mondo, impone con la complicità del Parlamento – la maggioranza, ovviamente – e delle Confederazioni sindacali (CGiL, Cisl e Uil) un qualcosa di inutile, da un punto di vista medico e di controllo dell’epidemia, ma che obbliga tutti noi a rendere pubblici dati sensibili. Dobbiamo firmare, per il diritto alla privacy, montagne di fogli (per i quali gli alberi ringraziano) e poi siamo costretti a rendere pubbliche scelte mediche (da eventuali esenzioni per patologie al tipo di vaccino che ci hanno inoculato al fatto che si sia stati malati), oltre alla nostra presenza in un certo luogo a una data ora e un giorno preciso. Siamo costretti a munirci di smartphone, computer e stampante, per ottenere quel fatidico foglio oppure a ricorrere a farmacie – che non sempre si prestano. Siamo passati dal dover cliccare su Accept per accettare dei Cookies dei quali nulla sappiamo e che ben poco ci interessano, a dover far conoscere la nostra situazione vaccinale (e basti dire che in Australia, ad esempio, non si è obbligati a rivelarlo nemmeno se ricoverati: ma l’ignoranza genera mostri e l’italiano medio ben poco si informa autonomamente) a un perfetto sconosciuto per entrare in un cinema.
E mentre l’Europa rifiuta il green pass sul mondo del lavoro o in toto (emblematico il caso della Spagna) e lo Stato di emergenza, se mai promulgato, è stato ovunque revocato, l’Italia che guarda alla UE ogniqualvolta debba imporre ‘lacrime e sangue’ (come si diceva una volta) a lavoratori, famiglie e pensionati, in questo caso marcia tronfia da sola.
Ma ciò che, da ex delegato sindacale della Fiom, trovo inaccettabile è che i sindacati abbiano sottoscritto questa discriminazione inutile ma pericolosa per il futuro dei lavoratori. Sono due anni, quasi, che lavoratori e lavoratrici operano fianco a fianco, negli stessi luoghi di lavoro, senza alcun green pass (e nemmeno vaccino o tampone). Pensiamo, per esempio, alle cassiere e ai cassieri dei supermercati o ai poliziotti e carabinieri di pattuglia che, dopo aver continuato la loro attività anche nel periodo di più tetro e assoluto lockdown (nel marzo/aprile 2020), e aver avuto a che fare, i primi, col pubblico e, i secondi, essere stati per ore seduti a fianco del collega, adesso hanno perso il diritto di pranzare insieme, possono essere rimossi a metà turno, e sono costretti a dichiarare e giustificare le proprie scelte in campo medico.
Questa nazione che, all’articolo 1 della Costituzione, proclama di fondarsi sul lavoro (che dovrebbe garantire, cosa mai fatta), sceglie di toglierlo a chi lo ha – incurante del pericolo che dal 31 ottobre potrebbero piovere i licenziamenti per intere categorie (vaccinati e non). E a proposito, qualcuno parla dell’ex Fiat, poi FCA e oggi Stellantis (che ha ottenuto le garanzie dal Governo Conte sui prestiti bancari, anche se non era più un’azienda Italiana), la quale sta mettendo in cassa integrazione migliaia di lavoratori perché le autovetture, prodotte in tempo di lockdown, giacciono invendute (ma era attività ‘necessaria’ produrle…)?
Come ex delegato Fiom devo dire che il comportamento del sindacato al quale sono appartenuto per tutta la mia vita lavorativa, e che ho sempre sostenuto, mi fa vergognare. Abbiamo accettato la sospensione, invece del licenziamento prospettato, noi che eravamo nati per difendere i posti di lavoro. La Confindustria, Bonomi in primis, aveva sollevato obiezioni (dato che non sarà facile nemmeno per alcune aziende sostituire i lavoratori o rischiare di doverli sospendere a metà turno perché scade la copertura del tampone) ma si è adeguata immediatamente al diktat di Draghi. Nessuno che abbia obiettato che, in un periodo di crisi economica, la sospensione di alcuni lavoratori, soprattutto in campi quali la sanità, la sicurezza, ma anche la scuola, è misura che rende ancora più farraginoso il sistema. Pensiamo, appunto, ai maestri che sono allontanati dalla classe a metà di una lezione o agli assistenti in Case di riposo per anziani o, ancora, a quei medici e infermieri costretti a lasciare il lavoro quando regioni come la Toscana, per via dell’enorme buco di bilancio nella sanità che la mette a rischio default e commissariamento, sospendono perfino tutte le assunzioni programmate (e rimandate per anni).
Come ex delegato sindacale (e non sindacalista, preciso), mi viene anche da pensare che la sicurezza sul luogo di lavoro è da sempre a carico del datore e mai del lavoratore. I tamponi gratis o a carico delle aziende sarebbero potuti essere una soluzione ‘sindacalmente accettabile’, se non fosse che quand’anche si fosse operato in tal senso ci si sarebbe accorti che i tamponi non si trovano, le liste d’attesa nelle farmacie sono lunghissime, le 48 ore un capestro troppo stretto e l’intera imposizione pare fatta apposta per estorcere un consenso al vaccino tutt’altro che informato (non assumendosi nemmeno l’onere di imporlo e scaricando eventuali eventi avversi sul singolo). Per non dire che se volessimo essere pedanti, i tamponi dovrebbero farli tutti: vaccinati e non – data anche l’ultima notizia che giunge dal Meir Medical Center di Kfar Saba, in Israele, che conferma quanto già emerso in diversi studi: con il vaccino ci si può contagiare e, avendo magari una sintomatologia più lieve e la sicurezza di essere vaccinati, contagiare persino più persone e più a lungo prima di rendersi conto di essere malati.
Ma qui non si tratta più di pandemia o di come arrestarla. Bensì di un clima persecutorio, da caccia alle streghe, emerso fin dai primi giorni del lockdown del 2020 verso chiunque ponga dubbi o adotti comportamenti differenti – il che lascia impietriti. Non voglio chiedermi cos’altro possa imporci il potere, domani, ma credo che ribellarsi oggi a tutto ciò sia non solo utile ma indispensabile.
La cosa che mi tormenta, da ex delegato, è come la deriva sindacale, rispetto ai temi del diritto e dell’autodeterminazione, sia potuta arrivare a non accorgersi del pericolo democratico che stiamo correndo. Quando ero ancora in azienda, si parlava di ‘cinghia di trasmissione’, sempre negata, rispetto ai veri poteri. Ma oggi l’appiattimento in fatto di diritti giunge a un livello senza precedenti.
Solamente con i nostri corpi, tornando a scendere in piazza, pacificamente ma continuamente, possiamo dire no a una sequela di vessazioni non solamente inutili dal punto di vista della pandemia ma che hanno creato una profonda ferita tra i cittadini, prima ancora che tra i lavoratori – perché impedire dal 6 agosto a una parte degli italiani – che pure paga le tasse e fa parte di questo Paese – di avere accesso alla cultura o allo sport non è meno grave. Già nel 2001, quando mi trovavo a Genova, vidi la criminalizzazione di un intero movimento a causa di pochi violenti, allora denominati black block. Il potere politico e la stampa asservita – con l’ausilio di quelle forze dell’ordine che trasformarono l’Italia nel Cile di Pinochet – ebbero buon gioco di noi. Eppure quelle idee, a vent’anni di distanza, si dimostrano molto più lungimiranti di quanto avesse previsto lo stesso potere. Mentre il sindacato, oggi, non si rende conto che criminalizzare il dissenso e l’opposizione sulla base di poche frange estremiste – che si possono tranquillamente isolare, se si vuole, prevenendo danni in qualsiasi manifestazione (a Genova 2001 come a Roma 2021) – è un vecchio trucco dei poteri forti.
Dovremmo, cari compagni sindacalisti, fermarci e ragionare su cosa avremmo dovuto e potuto fare, su come affrontare queste forme virali che possono accompagnare la nostra esistenza per anni – come già accaduto in passato, e non penso solamente all’Aids, ma anche alle tante epidemie che hanno flagellato l’umanità, e che continuano a farlo sebbene in zone del nostro comune mondo che non paiono riguardarci. Perché l’occhio egoista occidentale non va mai oltre i nostri cancelli dorati (e il Covax lo dimostra: mentre qui si ventila di vaccinare le persone ogni 5 mesi – ma non si sa con quali mezzi economici e logistici – l’Africa riceverà un vaccino ormai superato forse tra un anno).
Chiudo con un’amara considerazione. Come ex delegato Fiom non avrei mai pensato di dovermi vergognare di essere appartenuto a una confederazione che ha fatto la storia del sindacato e che ha difeso per decenni i diritti dei lavoratori. Ma oggi vedo un sindacato su posizioni arretrate, incapace di trovare la propria dimensione in una società che è profondamente mutata, dove troppi lavoratori sono cronicamente precarizzati, che ha accettato che esistano lavori necessari e inessenziali – e se tra i primi rientrano quelle attività industriali inquinanti che ci stanno portando al collasso ecologico, nei secondi rientrano l’educazione, la cultura, la socialità. Non sempre ho condiviso le posizioni della dirigenza del sindacato al quale sono appartenuto – almeno dalla Legge 30 e dalla prima riforma delle pensioni in avanti. Ma finora, almeno, mi potevo riconoscere nella difesa dei posti di lavoro e nella non discriminazione dei lavoratori.
Venerdì, 22 ottobre 2021
In copertina: Foto di Gerd Altmann da Pixabay.