Ossessioni: intime, artistiche, collettive
di Simona Maria Frigerio
Dopo la chiusura (definitiva?) del Lu.C.C.A. Center of Contemporary Art, la Tenuta dello Scompiglio di Vorno (anche in questo caso, investimento umano, artistico ed economico di un privato) resta l’unico e ultimo polo delle arti contemporanee (soprattutto ex figurative) della città murata (sempre più murata). E qui si apre, con la Stagione autunnale, l’interessante mostra di Eugenio Tibaldi intitolata Architetture dell’isolamento.
La personale è nata, da quanto racconta lo stesso Tibaldi, nel periodo del lockdown quando, cercando una casa nuova in cui traslocare, si è imbattuto nella dimora di uno storico che, negli ultimi dieci anni di vita, si era rinchiuso tra le mura domestiche dove aveva accumulato libri e cimeli, fotografie e dischi d’epoca (soprattutto del periodo fascista), soldatini di piombo e lettere manoscritte, oggettistica da collezione e paccottaglia da svendita da garage. Tibaldi è partito da questo materiale – che è insieme un percorso tra ricordi intimi e documenti ufficiali – per costruire un’installazione nella quale il visitatore è chiamato a reinterpretare il materiale trovato in funzione dialogica. Si nota, esempio tra i più semplici, l’accostamento armi giocattolo e libretti degli assegni: sono entrambi appartenuti all’uomo che abitava la casa, ovviamente con fini diversi: i primi per passione ludica, i secondi per necessità pratica. Ma giustapposti (l’azione artistica) danno adito a una nuova significazione, sia metaforica sia a livello di rimandi che, per ogni visitatore, potrà essere diversa: dall’aggancio a Finché c’è guerra c’è speranza – il film culto diretto e interpretato da Alberto Sordi – e a Lord of War di Andrew Niccol (facili rimandi cinematografici); all’utilizzo della tecnica sottesa del montaggio delle attrazioni di Sergej Ėjzenštejn – che la utilizzava anche nell’arredare la propria casa – ossia il giustapporre due immagini appartenenti ad aree semantiche diverse per costruire una figura metaforica con un terzo significato.
Quello proposto da Tibaldi è, quindi, un percorso personale, un viaggio nella mente di un ospite a noi sconosciuto per scoprire, tra le pieghe, le ossessioni dell’artista e aggiungervi una nostra lettura che può andare oltre l’interpretazione, trasformandosi in nuova creazione di senso. Un’esperienza che ci ha rammentato quanto vissuto partecipando a Dopo, esempio di teatro sensoriale (o esperienziale) firmato da Gabriella Salvaterra – già componente del Teatro de los Sentidos di Enrique Vargas (https://www.inthenet.eu/2020/09/25/dopo/). Non erigendo, noi, barriere tra le arti cosiddette figurative e performative, allora tornammo a casa con un misto di sensazioni che andavano dal desiderio di preservare le memorie – come i giapponesi conservano le ceramiche rotte, grazie alla saldatura in lacca e ora (l’arte del Kintsugi) – sollecitato da alcuni oggetti di vasellame sbeccati; a quello di lasciarle andare, come lacrime nella pioggia (da Blade Runner), a causa dell’uso dell’acqua che Salvaterra aveva ideato e che, nel corso della visita all’installazione, diventava sempre più invasiva, finendo per allagare stanze vissute – e che eravamo costretti ad abbandonare frettolosamente – portandosi via fotografie e lettere, passato e futuro.
Anche qui l’esperienza si fa sempre più claustrofobica – fisicamente e metaforicamente – e anche qui ci sentiamo voyeur, persi in una camera chiusa di Louise Bourgeois ma qui, all’uscita dal tunnel, ci attende un paesaggio diverso, aperto non sul mondo naturale bensì sulla mente creativa dell’artista.
Un albero ci accoglie con i suoi molteplici uccelli che, come quello di Jacques Prévert, sono fuggiti dalla gabbia per restituirci un clima di quiete bucolica. Eppure questa quiete riflessa in ombre cinesi è puramente mentale, artefatta (nel senso proprio di “opera che deriva da un processo trasformativo intenzionale da parte dell’uomo”). Mentre, fuori, sulla collina che abbraccia lo Spazio Performatico dello Scompiglio, l’intervento umano in natura scompare, riducendosi a tentativo abortito di trasformazione – come se la magnificenza della natura non avesse bisogno dei nostri bibelot per farsi bella. E d’altro canto, l’artista pare non poter agire su una materia naturale per suggerire un’idea ma, al contrario, deve – platonicamente – partire dall’idea quale fondamento ontologico della realtà e processo gnoseologico che ci consente di pensare e interpretare il mondo; costituendo, l’idea, l’unione di essere e pensiero – o di artista/artefice e opera.
Al termine di questo percorso tutto mentale anche Tibaldi, come Dante, ci invita però a ‘riveder le stelle’. O più precisamente, un ‘paesaggio’ che possiamo ammirare, seduti in poltrona, di fronte alle muffe generate da una fila di bicchieri di vino – rigorosamente rosso. Non ci credete? Sul numero del 5 novembre, i paesaggi della mente di Eugenio Tebaldi saranno indagati da un altro punto di vista. To be continued…
La mostra continua:
Tenuta dello Scompiglio
via di Vorno, 67 – Vorno (LU)
fino a domenica 30 gennaio 2022
Eugenio Tibaldi presenta:
Architetture dell’isolamento
a cura di Angel Moya Garcia
venerdì, 8 ottobre 2021
In copertina: Eugenio Tibaldi, Architetture dell’isolamento. Foto di Lorenzo Morandi (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa della Tenuta dello Scompiglio)