Le rocambolesche avventure di un espatriato, in Italia per poche settimane
di Luciano Uggè
Avere informazioni di prima mano su cosa stia accadendo all’estero – soprattutto in tempo di Covid-19 ma anche prima – viste le chiusure delle sedi estere persino di emittenti blasonate e il numero sempre più ridotto di (foto)reporter assunti dalla carta stampata. Con l’occasione, quindi, del rientro in Italia per un breve periodo di un ex collega di lavoro, Dario Chiesa, trasferitosi a Natal, in Brasile, oltre una quindicina di anni fa, abbiamo pensato di ricontattarlo per sapere non solamente cosa stia accadendo in Brasile ma anche quale sia stato l’impatto da ‘straniero’ con l’Italia della pandemia. Queste le sue risposte – che ci giungono pochi giorni dopo il suo ritorno a casa.
Dopo anni sei rientrato in Italia, per un breve periodo e per esigenze familiari. Qual è stato l’impatto con la sanità italiana?
Dario Chiesa: «Purtroppo sono dovuto rientrare perché mio padre, oramai settantottenne, non stava troppo bene e mi sono dovuto confrontare con una realtà terribile… La sanità italiana in tempo di Covid. Dopo essere stato ricoverato, per sicurezza (non so la sicurezza di chi dato che, prima di ricoverare in ospedale fanno fare il tampone, infermieri e medici in teoria sono tutti vaccinati e con test negativi), non permettono a nessun familiare di far visita al degente neanche se ci si sottopone tampone. E mi chiedo perché. Una persona anziana, quindi, rimane isolata dalla famiglia che non riceve nemmeno notizie – la nostra esperienza è stata di una videochiamata, ogni tanto, della durata di 15 secondi. Il degente rimane alla mercé del personale che a noi è parso messo lì per ‘caso’. La loro idea di badare a un signore di 78 anni è stata ‘doparlo’ e lasciarlo legato a una sedia, senza dargli la possibilità né di lavarsi né di camminare. Al contrario, dopo che la mia famiglia è riuscita a portarlo a casa, mio padre ci ha riferito che gli infermieri gli chiedevano denaro per permettergli di farsi la barba o lavarsi. Sinceramente non mi ricordavo che la nostra sanità da ‘primo mondo’ fosse così in ritardo… Ma forse è solo il momento e la causa la pandemia… O forse no».
È stato difficile tornare in Brasile. Ovvero, il green pass funziona?
D. C.: «Rientrare in Brasile è stato molto complicato nonostante io sia residente e mia moglie e mia figlia native. Le difficoltà maggiori non sono state causate dal green pass o dai decreti differenti per ogni Stato ma dall’incompetenza e arroganza di alcune dipendenti della Sea che hanno deciso che quel giorno noi e altri passeggeri non saremmo partiti. Dico così perché dopo due giorni, con praticamente gli stessi esami e gli stessi documenti, il personale della TAP (la compagnia aerea di bandiera del Portogallo, n.d.r.) ci ha fatto partire senza problemi. Per quanto riguarda il green pass non posso esprimermi dato che sono partito il 4 agosto, ossia due giorni prima della sua entrata in vigore, ma credo che dalla mia esperienza chi decide se tu puoi o non puoi entrare in un locale, puoi o non puoi prendere un aereo dipende da chi ti sta di fronte indipendentemente dal fatto che tu sia vaccinato, con green pass o con test covid negativo».
L’atteggiamento degli italiani ti è sembrato cambiato dopo tanti anni di assenza?
D. C.: «Non sono cambiati tanto: c’è ancora chi vota Salvini e Berlusconi… A parte gli scherzi, ho notato un livello molto alto di stress, persone maleducate e arroganti che non ti dicono nemmeno buongiorno o buonasera, che non ti rispondono se hai bisogno di un’informazione – e ho notato anche che è aumentato molto il preconcetto verso chi non è italiano, anzi verso chi non ha tratti somatici italiani. Forse alcuni non hanno ancora capito che viviamo in un mondo multi-etnico. Ho letto delle polemiche riguardo al DDL Zan… Ma di cosa stiamo parlando? C’è ancora bisogno di fare una legge anti-discriminazione? Se occorre farla e c’è chi la critica o vi si oppone, vuol dire che non siamo messi troppo bene in Italia».
In Brasile com’è la situazione a livello di pandemia? Si è accusato Bolsonaro di non aver applicato il lockdown e aver sottovalutato il virus. Ma sarebbe stato possibile rinchiudere la popolazione in casa come hanno fatto l’Italia e altri Paesi? E come procede la campagna vaccinale?
D. C.: «Qui in Brasile dicono (dato che si sa solo quello che ci dicono) che oramai la situazione è sotto controllo… Ma dopo 575 mila morti forse era anche ora che si fermasse un po’. Il problema, all’inizio, sono stati la disinformazione e il negazionismo – capitanato da Bolsonaro, il quale ha sempre dichiarato che era solo un raffreddore e che uccideva unicamente gli anziani, quindi non occorreva preoccuparsi. E aggiungeva che i brasiliani non sono un popolo di donnicciole (lui ha usato la parola maricas – che significa sia femminuccia sia ‘finocchio’, n.d.r.) che devono rinchiudersi in casa o nascondersi dietro a una maschera. Poi c’è stata la campagna della clorochina e dell’ivermectina (una pastiglia contro i parassiti animali e che usano anche contro i pidocchi, sulla quale esistono i primi, recenti studi dell’Istitito Pasteur e altri, vedasi https://www.embopress.org/doi/full/10.15252/emmm.202114122, n.d.g.) che, secondo lui, erano efficaci per la prevenzione e la cura di chi accusava i primi sintomi – terapia mai approvata dall’OMS e non supportata da prove scientifiche (vedasi nota precedente, n.d.g.). A causa di queste sue idee personali si sono succeduti tre diversi ministri alla salute, tutti contrari, fino a quando ha appuntato Ministro un militare senza esperienza in materia, il generale Pazuello… E intanto le persone continuavano a morire… Alcune regioni hanno aderito al lockdown, ma se chiudi tutto, qui la gente muore di fame ed è difficile rinchiudere tutti… Tra favorevoli e contrari, si è accesa una guerra politica tra alte cariche – nel senso che il Governatore della Stato imponeva la chiusura alle 20, ma poi arrivava il Sindaco che diceva che si poteva rimanere aperti fino alle 22. E succedeva che se tenevi aperto, arrivava la polizia e ti multava. O al contrario, se magari il Governatore dava il via libera alla musica dal vivo, il Sindaco la vietava. E intanto la gente continuava a morire… Poi è arrivata la campagna vaccinale, ma anche in questo caso Bolsonaro si è dichiarato totalmente contrario. È stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta che sta cercando di capire quali siano le colpe del Presidente riguardo ai ritardi nell’acquisto dei vaccini e, al momento, risulterebbe che il Governo abbia rifiutato di comprare i vaccini Pfizer e Astra-Zeneca per negoziare 20 milioni di dosi di un vaccino indiano, il Covaxin (che sarebbe meno efficace e più caro) e, naturalmente, un dollaro a dose sarebbe finito in tasca di qualcuno… E intanto le persone continuavano a morire. Ora la vaccinazione procede e si utilizzano Pfizer, A-Z, Johnson e Coronavac (vaccino sviluppato dalla biofarmaceutica cinese Sinovac, n.d.r.). Non c’è molta burocrazia: se vuoi vaccinarti, vai al Posto de Saúde (l’ambulatorio di quartiere, t.d.r.), prendi il numero e ti vaccini. In venti minuti fai tutto, al contrario dell’Italia dove ti devi iscrivere, andare dopo due o più settimane, recarti dove ti dicono loro e, a volte, anche lontano da casa; e, nonostante l’orario prefissato, capita di attendere anche due ore – com’è successo a mia madre! Alla fine mi chiedo: tra decisioni errate, notizie false, soldi spesi per medicine che non funzionavano, vaccini super-fatturati… Se gli stessi soldi fossero stati utilizzati per fare ospedali, comprare ossigeno, aumentare le terapie intensive, forse i morti sarebbero potuti essere molto meno?
Con le restrizioni al turismo a livello mondiale, com’è la situazione a Natal, che sicuramente conta su tale entrata economica?
D. C.: «A Natal non abbiamo risentito molto dei danni causati dalla politica in riferimento al Covid. Lo Stato del Rio Grande do Norte è uno tra quelli con minor incidenza di morti e casi. Quindi, a parte tre settimane di lockdown, è sempre rimasto tutto aperto (tranne le scuole). Quindi è stata – e lo è tuttora – una tra le mete preferite dai turisti brasiliani che, negli altri Stati, soffrivano le chiusure di bar e ristoranti, dato che il lockdown ha riguardato solo bar e ristoranti, in quanto se volevi andare in chiesa la domenica a scambiarti un segno di pace potevi farlo tranquillamente».
In Brasile si è ricorsi alla Dad, ossia alla didattica a distanza per ogni ordine e grado scolastico come in Italia?
D. C.: «La situazione scolastica qui è critica, almeno per quanto riguarda le scuole pubbliche. Mia figlia, di quindici anni, è da due anni che non va a scuola – dato che il Covid si propaga solo tra gli alunni degli istituti pubblici e non tra quelli delle scuole private! Hanno provato con la Dad, ma non tutti gli alunni hanno accesso a internet e i professori, comunque, non sono preparati. In questi due anni ogni tanto um professore manda un messaggio con dei compiti da fare a casa. E basta. Terribile. Le scuole private hanno già ricominciato a funzionare da un bel po’ e anche le lezioni a distanza erano strutturate un po’ meglio ma ciò non toglie il fatto che la categoria che più ha sofferto, in questo periodo, siano gli alunni e gli adolescenti».
Com’è la situazione della sanità in Brasile a livello di assistenza pubblica?
D. C.: «L’assistenza pubblica in Brasile funziona – e anche bene. La criticano coloro che, pagando un’assicurazione sanitaria privata, non l’hanno mai neanche provata! Se non era per il Sus, ossia il Sistema unico di salute, che garantisce assistenza sanitaria gratuita a tutti, i morti sarebbero stati molti di più… Mi ricordo che Obama, in visita in Brasile, aveva elogiato questo sistema e pensava di implementarlo anche negli Usa. Il problema è che c’è sempre bisogno di nuovi investimenti, del tipo che, se si rompe la poltrona del dentista, ci vuole tempo prima che il Governo mandi i fondi per aggiustarla… Perché sì, anche il dentista è gratis, in Brasile! Ma anche a questo Bolsonaro vuole dare una fine, privatizzando il Sus. Speriamo che arrivi presto il 2022 per ‘mandare questo signore a casa sua!’».
Riguardo alla copertura mediatica, tipo di messaggi, preoccupazione delle persone hai notato differenze tra italiani e brasiliani nei confronti del Covid?
D. C.: «In Italia sono molto più preoccupati, hanno molto più timore del virus. Qui sono maggiormente preoccupati di non riuscire a mangiare che di prendere il virus! Per quanto riguarda i messaggi e l’informazione, in Brasile vi è molta disinformazione, girano molte fake news, anche prodotte da personalità pubbliche che usano profili Twitter, Instagram e Facebook per postare qualsiasi cosa senza preoccuparsi delle conseguenze. Proprio questa settimana sono stati bloccati alcuni canali del Governo e loro follower che inviavano notizie false. Anche Bolsonaro è investigato: speriamo, come si dice a Milano, ‘non mangi il panettone’! Nonostante tutto questo, l’Italia è bellissima ma in Brasile, secondo me, si sta meglio!».
Venerdì, 10 settembre 2021
In copertina e nell’intervista: Pipa e aree circostanti, Rio Grande do Norte. Foto di Luciano Uggè (tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione).