Intervista a Francesca De Sanctis
di Simona Maria Frigerio
Era il 12 febbraio 1924 quando uno tra i più fini intellettuali italiani, Antonio Gramsci, fondava L’Unità – Quotidiano degli operai e dei contadini: i primi numeri sarebbero usciti a Milano. La vita del giornale è, da subito, difficile quanto quella del suo ideatore. Mentre Gramsci (l’8 novembre 1926) è arrestato, a Roma, e rinchiuso a Regina Coeli; dopo una serie di sequestri da parte dell’allora Prefetto della Provincia di Milano, nello stesso infausto giorno, anche L’Unità dà addio ai suoi lettori in quanto, per lo Stato Fascista, potrebbe “eccitare gli animi con pericolo di turbamento dell’ordine pubblico”. Bisognerà attendere il 27 agosto 1927 per veder ricomparire il quotidiano, pubblicato in clandestinità Oltralpe, e la fine della guerra perché L’Unità torni ufficialmente in Italia – con sede a Roma.
È il 9 ottobre del ʻ63 quando una frana del Monte Toc precipita nell’invaso della diga del Vajont. L’unica ad avere denunciato cosa sarebbe accaduto è Tina Merlin, ex staffetta partigiana, giornalista di provincia de L’Unità che, prima della tragedia, era stata bollata come un’allarmista “per conto dei comunisti che non volevano il progresso sociale”. Ma si sa: l’Italia è da sempre il Paese delle ‘tragiche fatalità’ – che andrebbero rinominate, parafrasando un libro di Gabriel García Márquez, ‘cronache di morti annunciate’. Tina Merlin è infangata dai nostri ‘esimi’ colleghi (guarda caso, sempre maschi), tra i quali spicca Indro Montanelli che, sulla Domenica del Corriere scrive: “Quella di Longarone è una tragedia spaventosa […] Se certe reazioni sbagliate venissero dai poveri sopravvissuti che nella catastrofe hanno perso tutta la loro famiglia, non dico che le approverei, ma le comprenderei e giustificherei. Ma qui vengono invece dagli sciacalli che il partito comunista ha sguinzagliato, dai mestatori, dai fomentatori di odio. E sono costoro che additiamo al disgusto, all’abominio e al disprezzo di tutti i galantuomini italiani”.
Tina Merlin non demorde e sul caso Vajont scrive un libro, Sulla pelle viva, che dovrà attendere vent’anni prima di essere pubblicato. Poi lo stesso diventa la base per un monologo teatrale che ristabilisce finalmente, anche di fronte agli italiani, i fatti: Il racconto del Vajont di Marco Paolini e Gabriele Vacis. È tardi ma, per una volta, nel Paese dei ʻmuri di gomma’, la verità non è solamente storica, diventando pubblica e condivisa.
Due momenti di una storia lunga, troppo lunga per essere raccontata in un articolo, ma l’epilogo de L’Unità lo racconta un’altra donna, Francesca De Sanctis che, come la Merlin, ha lavorato per molti anni in quel quotidiano, credendo nel mestiere del(la) giornalista e nell’importanza di un’informazione libera. Anche lei ha scritto un libro, Una storia al contrario, per raccontare la fine del quotidiano – e anche lei vedrà il suo lavoro debuttare, l’11 settembre, in forma di lettura scenica a teatro. Anche lei non ha trovato la solidarietà o l’attenzione tra i colleghi della stampa perché i racconti ‘scomodi’, ieri come oggi, si preferisce tacerli.
Ma i lettori de L’Unità non si sono chiesti che fine avesse fatto il loro quotidiano? Non hanno preteso chiarezza da quell’ex Partito Comunista Italiano – nonostante i successivi cambi di denominazione per annacquare sempre più quel poco di rosso che contraddistingueva ancora il logo del suo ‘organo d’informazione’ – almeno riguardo al futuro di quei giornalisti che avevano letto tutti i giorni per anni? Se oggi le persone pensano di poter fare a meno del giornalismo, della libertà di stampa, dell’informazione sostituendola con le chiacchiere tra amici sui social – o il bullismo mediatico degli stessi – dovrebbero chiedersi: “Zuckerberg, Brin e Pichai rischierebbero come Julian Assange? Assange per chi o per che cosa è perseguitato da oltre dieci anni?”.
Incontro Francesca De Sanctis a Orizzonti Verticali, un piccolo Festival teatrale che si tiene a San Gimignano. Ascolto il suo racconto durante la presentazione del libro e le chiedo un’intervista perché, pur non essendo mai stata una lettrice de L’Unità, penso che la sua sia anche la mia, la nostra storia, e meriti di essere raccontata. La prima domanda è più una curiosità da giornalista: le chiedo se ricorda il primo e l’ultimo articolo che ha scritto per il quotidiano di Gramsci.
Francesca De Sanctis: «Come primo servizio importante ne ricordo uno della fine del 2001, quando ero ancora una collaboratrice, tra la fase di stagista e l’assunzione, mentre studiavo ancora alla Scuola di giornalismo di Bologna. Fui inviata a Gattatico, a Casa Cervi. Rammento che visitai il Museo e parlai con Maria Cervi (figlia di Antenore, deceduta nel 2009, n.d.g.): ho davvero un bel ricordo di quell’incarico. L’ultimo articolo in assoluto lo rammento altrettanto bene: erano i primi di giugno del 2017 e fu difficile convincere il direttore a mandarmi – come inviata – a Castrovillari per il Festival, dato che il teatro non ha mai goduto di grandi spazi sui giornali. Rammento che dovetti lottare per avere l’approvazione a recarmi in Calabria per seguire Primavera dei Teatri: il clima non era sereno. L’articolo, però, non fu mai pubblicato su L’Unità, ma su Il Manifesto, la prima testata con la quale ho collaborato come free lance, dato che nel frattempo le pubblicazioni del mio quotidiano erano state interrotte».
Quando ha iniziato a lavorare come giornalista era tutelata essendo assunta. Dopo la ‘non-chiusura’ de L’Unità (sulla quale torneremo) ha dovuto ripiegare su collaborazioni free lance. Cosa significa?
F. De S.: «Innanzi tutto sono cambiati i ritmi lavorativi. Quando ero assunta, uscivo la mattina di casa, entravo in riunione, discutevo con i colleghi di come fare il giornale, li rivedevo per una seconda riunione pomeridiana e poi iniziavamo a lavorare alle pagine fino a sera inoltrata. Teniamo conto che proseguivamo anche fino alle 23. Gli orari erano abbastanza massacranti… però, quando lasciavo la redazione, la mia giornata era finita. Adesso lavoro 24 ore su 24 perché la mia testa è sempre impegnata: sono eternamente concentrata su cosa scrivere o cosa proporre agli editori. Inoltre, non esistono permessi, ferie, malattia o diritto alla maternità – mentre, quando si è assunti, si è ovviamente tutelati sotto tutti questi punti di vista. La terza differenza è di tipo economico. Quando si è assunti a tempo indeterminato, si ha un certo tipo di retribuzione mentre come free lance occorre aprire una partita Iva e anche i guadagni si riducono. Non vi sono più certezze: da assunti, aldilà del numero di pezzi che si scrivono, si sa quale sarà lo stipendio a fine mese; da libero professionista, al contrario, occorre mettersi continuamente alla prova e il guadagno dipende da quanti pezzi si riesce a vendere. Spesso le persone hanno un’idea falsata della figura del giornalista: credono che si appartenga a una ‘casta’. In realtà, i migliori servizi spesso sono scritti da collaboratori. Persino i grossi gruppi editoriali, soprattutto per gli articoli degli online – dato che noto una differenza nel trattamento economico degli articoli basata sul mezzo utilizzato per la pubblicazione e non sulla qualità, l’approfondimento o la ricchezza degli stessi – non dico che offrono 5 euro a pezzo, ma quasi. È scandaloso! Nel libro, infatti, ho cercato di raccontare sia la storia de L’Unità sia la questione, più in generale, del precariato – anche perché noi giornalisti raccontiamo sempre le storie degli altri ma nessuno racconta la nostra».
Dover ingegnarsi a vendere un articolo presuppone anche un dover immaginarsi cosa gradirebbe l’editore o il lettore. Il precariato dei giornalisti, quindi, non diventa anche una seria minaccia alla libertà e alla pluralità dell’informazione?
F. De S.: «Noto una sottovalutazione del mestiere del giornalista che pare con essere considerato una vera professione. La rete è democratica perché permette a tutti di esprimere la propria opinione e visione del mondo. Però questo consente a tutti di scrivere di qualunque cosa e i lettori rischiano di non discernere più tra giornalista competente e opinionista improvvisato. Non si tengono in conto fattori quali lo studio, il praticantato, il lavoro collegiale in redazione e lo scrupolo nella verifica dell’attendibilità della fonte. Dobbiamo rivalutare la competenza e i giornalisti devono tornare a scrivere delle cose che veramente conoscono. Io ho cercato di fare così anche, e soprattutto, in questi ultimi quattro anni. L’unica arma che possediamo, per far fronte a questa deriva, è la conoscenza. Nell’attuale mercato del lavoro non vedo grandi prospettive, ma per continuare a ‘galleggiare’ – dato che, attualmente, sento di dover mantenermi in un delicato equilibrio – occorre occuparsi delle cose che si conoscono, senza improvvisare. A parte ciò, devo ammettere che mi manca il confronto. Ovviamente leggo, m’informo, cerco idee stimolanti, ma il dialogo che si stabilisce in una redazione, con i colleghi, o più in generale con l’altro da sé, è fondamentale. In questo, la pandemia non ci ha aiutati: adesso anche chi è assunto, finisce con il lavorare da casa. Si sta attuando una disgregazione che rende sempre più difficile il confronto».
Ha scritto un libro, Una storia al contrario, per raccontare quanto accaduto a L’Unità, che sta diventando uno spettacolo teatrale, ci racconta questo passaggio?
F. De S.: «Tengo molto a questo progetto anche perché è nato spontaneamente. Il libro è uscito a settembre 2020, in piena pandemia, per cui l’ho presentato a Roma con Sergio Staino, dopodiché non ho avuto altre occasioni. D’altro canto, mi spiaceva non parlarne oltre perché ci tenevo a che il libro fosse letto e così, durante il periodo invernale, ho contattato alcuni attori – da Luigi Lo Cascio a Ottavia Piccolo – che si sono resi disponibili per leggere gli incipit dei vari capitoli (tuttora disponibili su YouTube, n.d.g). Tra loro c’era anche Elena Arvigo che, tra l’altro, lo aveva comperato e letto prima della mia proposta di reading online. Ed è stata lei che, un giorno, chiacchierando al telefono, mi ha proposto di farne una trasposizione teatrale perché, secondo lei, poteva diventare un monologo. Sebbene l’idea mi abbia spiazzata, all’inizio, ne ho fatto un adattamento che è diventato uno spettacolo di cui Elena firma la regia e che interpreta. Ulteriore coincidenza, dato che stava scegliendo un testo da presentare ad Avamposti Festival – organizzato dal Teatro delle Donne – le è sembrata, questa, l’occasione perfetta per presentarne un’anteprima. L’11 settembre, nel Cortile di Villa Vogel, a Firenze, si terrà un reading a cui seguirà un incontro con il pubblico. La scenografia non è, al momento, pronta e, quindi, il debutto effettivo avverrà nel 2022. Poi, speriamo in una lunga tournée. Per la prima volta, starò dietro le quinte!».
L’Unità esiste ancora? I lavoratori sono stati messi in cassa integrazione o liquidati?
F. De S.: «È abbastanza paradossale e credo sia l’unico caso in Italia, il nostro. In effetti, nel 2017, quando l’editore ci ha comunicato l’interruzione delle pubblicazioni, i lavoratori sono stati messi in cassa integrazione. Per due anni noi – che allora eravamo 29 ma, nel frattempo, qualcuno si è dimesso – abbiamo percepito la cassa integrazione come previsto dalle normative. Dopodiché l’azienda avrebbe dovuto licenziarci – in quel caso avremmo ottenuto l’indennità di disoccupazione – oppure reintegrarci al lavoro. Al contrario, siamo rimasti in un limbo – dato che non siamo né cassaintegrati né licenziati e non siamo nemmeno tornati al lavoro».
Sindacati e avvocati cosa dicono?
F. De S.: «Per legge siamo dipendenti de L’Unità a tutti gli effetti. Senza stipendio e senza giornale. L’Unità esce con un solo numero all’anno, sebbene sia un quotidiano, in modo tale che la testata non decada e l’editore eviti il fallimento e/o la chiusura – con conseguenti costi, quali le nostre liquidazioni, eccetera. L’editore spera, mantenendo il possesso della testata, di venderla ma, nel frattempo, L’Unità S.r.l. rimane di proprietà della Piesse di Guido Stefanelli e Stefano Pessina. Va anche detto che l’editore ha cercato di tamponare un po’ la situazione dei lavoratori facendo domanda per la cassa integrazione Covid. Ma anche questo capitolo è stato un’Odissea, in quanto, da gennaio del 2020 fino a un paio di mesi fa – quando siano riusciti a sbloccare la situazione – la metà di noi (me compresa) non compariva nella lista delle casse integrazioni Covid e non abbiamo ricevuto alcuna forma di ammortizzatore sociale dal 1° gennaio del 2020 fino, appunto, a un paio di mesi fa. È tempo di risolvere la situazione perché non possiamo rimanere sospesi in questo limbo all’infinito. Ormai sono trascorsi quattro anni dall’interruzione delle pubblicazioni. Speravo, con questo libro, di chiudere – nel bene o nel male – la mia storia con L’Unità ma non ci riesco perché, burocraticamente, resto una dipendente. Tornando alla sua domanda, a livello legale non solamente abbiamo fatto causa ma l’abbiamo anche vinta. Se da gennaio 2020 non siamo più cassaintegrati e non siamo stati licenziati, la legge stabilisce che siamo a tutti gli effetti dipendenti e dobbiamo essere retribuiti come tali. Il problema è che non sono stati liquidati nemmeno gli stipendi arretrati! Penso che ormai ci sarebbero gli estremi per il pignoramento ma l’azienda ci chiede altro tempo perché ci sarebbero delle trattative in corso per la cessione della testata. Non è dato sapere con chi, però. A un certo punto occorrerà risolvere la situazione una volta per tutte».
L’ex PCI, oggi PD, ha mai preso posizione di fronte alla situazione dei lavoratori de L’Unità che, ricordiamo, oltre a essere stato quotidiano di partito, è stato fondato da Antonio Gramsci?
F. De S.: «Ciò che mi fa rabbia è che non ne parla nessuno! Come dico sempre, esistono una grande e una piccola storia. L’Unità, aldilà di ciò che possiamo pensarne, è un quotidiano fondato quasi un secolo fa da Antonio Gramsci: ha fatto la ‘grande’ storia, quindi. Non si può ignorare il fatto che una testata così significativa abbia chiuso nel silenzio più assoluto – anche del mondo politico. E poi c’è la ‘piccola’ storia, ossia la situazione nella quale ci troviamo noi, lavoratori. Entrando nel merito: il Partito Democratico aveva una quota ne L’Unità del 20% (nel gennaio 2017 era socio di minoranza tramite la Fondazione del PD, Europa-YouDem-Unita, n.d.g.). A un certo punto, però, il partito ne è uscito sostanzialmente, e l’editore e proprietario è diventato, a tutti gli effetti, la Piesse di Guido Stefanelli e Stefano Pessina (con la ricapitalizzazione del febbraio 2017, Piesse è passata dall’80 al 90% della quota azionaria, n.d.g.). Questo formalmente. Ma qualcuno potrebbe negare che L’Unità abbia sempre avuto un’identità ben precisa? Non si può fingere di non avere nulla a che fare con una storia tanto lunga e importante! I problemi seri, però, erano già iniziati nel 2014. In quell’anno Matteo Renzi (allora Segretario del Partito Democratico, n.d.g.) decise di chiudere il quotidiano per farlo ‘rinascere’ – essenzialmente – secondo i ‘suoi voleri’ (*). Purtroppo, nonostante i proclami, quando L’Unità tornò in edicola fu nella maniera sbagliata: non si può pubblicare un quotidiano considerandolo la velina del Partito. Qualsiasi giornale non nasce per fare propaganda, bensì inchieste, domande scomode, per raccontare i fatti e fare informazione. Perché un lettore avrebbe dovuto continuare a comprare L’Unità? Nel giro di due anni, abbiamo chiuso. Il Partito, dopo l’errore iniziale, è come ‘scomparso’. Sergio Staino (Direttore dal 15.09.2016 al 6.04.2017 e dal 23.05.2017 al 2.06.2017, data di interruzione delle pubblicazioni, n.d.g.) ci ha creduto, assumendosi grosse responsabilità – ma non è bastato. Da allora sono trascorsi ben quattro anni. Non dico che il mio libro avrebbe dovuto scuotere le coscienze, ma non ho ricevuto nemmeno un cenno da parte del mondo politico».
Non crede che anche i giornalisti dovrebbero fare un po’ di autocritica e chiedersi perché i lettori abbiano smesso di seguirli? I quotidiano hanno perso lettori a causa delle rete o l’online ha riempito un vuoto pre-esistente?
F. De S.: «Una cosa è certa: i quotidiani cartacei non possono essere la fotocopia delle versioni online. Il quotidiano è sempre in ritardo nel dare le notizie rispetto ad altri mezzi, come internet, ma anche la radio o la televisione. Partiamo dal fatto che la carta stampata arriva in ritardo e, di conseguenza, dobbiamo dimostrare di avere più coraggio. Come cambia il mezzo così deve cambiare il giornalismo. Non possiamo confezionare il quotidiano come si faceva non dico venti, ma nemmeno cinque anni fa. Occorre pensare un prodotto che sia diverso dagli altri. Dobbiamo osare: non possiamo riproporre la medesima notizia già pubblicizzata dagli altri mezzi. Dovremo, quindi, puntare sulle competenze dei nostri giornalisti perché portino avanti delle inchieste, approfondendo le notizie. Oggigiorno, di inchieste serie, se ne fanno pochissime perché l’informazione della rete è troppo veloce e superficiale. Approfondire le notizie sarebbe già un fattore qualificante per il quotidiano cartaceo e un motivo, per il lettore, per acquistarlo. In secondo luogo, a parer mio, bisognerebbe cambiare il linguaggio. Ad esempio, sarebbe importante cambiare il modo di raccontare i fatti, magari utilizzando di più le immagini. Perché non scrivere alcuni articoli con tre belle foto e altrettanti testi ma brevi? In pratica, dobbiamo puntare sulle idee e sulle competenze, avendo il coraggio di fare scelte diverse, raccontando in maniera nuova e dando possibilità di lavoro ai giovani. Nel nostro campo, i pensionati continuano a scrivere e, al contrario, sarebbe necessario un ricambio generazionale. Bisogna superare l’idea che il quotidiano sia più autorevole dell’online e, quindi, ‘spetti’ ai colleghi ‘anziani’. Diamo spazio ai giovani».
(*) L’11 giugno 2014 la proprietà annuncia di aver messo in liquidazione la casa editrice del quotidiano L’Unità, a rischio fallimento, e il 1° agosto cessano le pubblicazioni. La situazione debitoria nei confronti delle banche è risanata con fondi statali grazie alla Legge del Governo Prodi n. 224/98, G.U. n. 161/98, che ha introdotto la garanzia statale sull’esposizione dei giornali di partito. L’Unità riprende le pubblicazioni il 30 giugno 2015 grazie al ripianamento operato con capitale pubblico, n.d.g.
AVAMPOSTITeatroFestival 2021
da giovedì 9 settembre a domenica 5 dicembre
Firenze, varie location
giovedì 9 e venerdì 10 settembre, ore 19.30
CORTILE DI VILLA VOGEL
via Delle Torri, 23 – Firenze
Il Teatro delle Donne presenta:
AMARTI, CHE FATICA!
progetto e regia Andrea Muzzi
con VALENTINA BANCI
(reading)
sabato 11 settembre, ore 19.30
CORTILE DI VILLA VOGEL
Il Teatro delle Donne presenta:
UNA STORIA AL CONTRARIO
riduzione al libro di Francesca De Sanctis
con ELENA ARVIGO
(reading)
segue incontro con Francesca De Sanctis ed Elena Arvigo
domenica 12 settembre, ore 19.30
CORTILE DI VILLA VOGEL
Lunaria Teatro presenta:
CREATURA DI SABBIA
dai romanzi Creatura di sabbia e Notte fatale di Tahar Ben Jelloun
regia Daniela Ardini
adattamento Daniela Ardini e Raffaella Azim
con RAFFAELLA AZIM
(reading)
mercoledì 8, 15, 22 e 29 settembre, ore 17. 00
BIBLIOTECA
via Roma, 384 – Scandicci (Firenze)
Il Teatro delle Donne presenta:
FAVOLE&MERENDA
spettacolo per bambini a cura di VANIA ROTONDI e ANTONIO FAZZINI
segue merenda
giovedì 16 e venerdì 17 settembre, ore 21.00
TEATRO STUDIO
via Donizetti, 58 – Scandicci (Firenze)
Il Teatro delle Donne presenta:
PADRE D’AMORE, PADRE DI FANGO
di e con CINZIA PIETRIBIASI
musica e suoni Giorgia Pietribiasi
immagini Ayanta Noviello, Cinzia Pietribiasi
scene Giulia Drogo
voce narrante Michele Zaccaria
in collaborazione con NoveTeatro, con il sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia, Selezione Visionari 2020-Kilowatt Festival
(nuova produzione)
sabato 18 settembre, ore 21.00
TEATRO STUDIO
Associazione Teatrale Autori Vivi presenta:
FARFALLE
testo e regia Emanuele Aldrovandi
impianto visivo e sonoro Maria Vittoria Bellingeri
scene e grafiche CMP design
con BRUNA ROSSI e GIORGIA SENESI
(prima regionale)
venerdì 24 settembre, ore 21.00
TEATRO STUDIO
Scena Verticale presenta:
MARIO E SALEH
scritto e diretto Saverio La Ruina
con SAVERIO LA RUINA e CHADLI ALOUI
(prima regionale)
sabato 25 e domenica 26 settembre, ore 21.00
TEATRO STUDIO
Nido di Ragno presenta:
NON DOMANDARMI DI ME, MARTA MIA
intorno al carteggio Luigi Pirandello/Marta Abba
di Katia Ippaso
regia di Arturo Armone Caruso
musiche originali Maria Fausta
scene Francesco Ghisu
con ELENA ARVIGO
(prima regionale)
domenica 26 settembre, dalle ore 10.00 alle 16.00
seminario drammaturgico con KATIA IPPASO
martedì 28 e mercoledì 29 settembre, ore 21.00
TEATRO STUDIO
Il Teatro delle Donne presebta:
CIRCEO: IL MASSACRO
di Filippo Renda ed Elisa Casseri
regia Filippo Renda
con MICHELE DI GIACOMO, ALICE SPISA, ARIANNA PRIMAVERA e LUCA MAMMOLI
in collaborazione con Riccione Teatro, Associazione DIG, Rete degli archivi per non dimenticare, Corte Ospitale e Alchemico Tre
giovedì 30 settembre, venerdì 1°, sabato 2 e domenica 3 ottobre
TEATRO DELLA LIMONAIA
via Gramsci, 426 – Sesto Fiorentino (Firenze)
Il Teatro delle Donne/Intercity Festival presentano:
SUL PRINCIPIO DEL PRECIPIZIO
di Irene Petra Zani
regia di Sebastiano Spada
assistente alla regia Francesco Grossi
con LUCA PEDRON e SIMONE TANGOLO
(prima assoluta)
giovedì 7, venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 ottobre
TEATRO STUDIO
Il Teatro delle Donne presenta:
FRAMMENTI CONIUGALI
liberamente ispirato a Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman
testo di Gabriele Giaffreda ed Elena Miranda
regia Gabriele Giaffreda
con GABRIELE GIAFFREDA ed ELENA MIRANDA
(prima assoluta)
sabato 16 ottobre, ore 21.00
TEATRO STUDIO
Instabili Vaganti presenta:
LOCKDOWN MEMORY
drammaturgia originale Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola
testi e citazioni Anna Dora Dorno, Nicola Pianzola, Arundhati Roy, Appello degli artisti iraniani agli USA, Meng Fan, Jesus Quintero, Ana Gabriela Pulido, Juliana Spinola, Cecilia Seaward
regia Anna Dora Dorno
performer in scena ANNA DORA DORNO e NICOLA PIANZOLA
performer in video Sun Young Park – COREA DEL SUD, Juliana Spinola – BRASILE, Anurada Venkataram – INDIA, Cecilia Seaward – USA | SWEDEN, Jesus Quintero – USA | COLOMBIA, Ana Gabriela Pulido – MESSICO, Maham Suahil – PAKISTAN | SPAGNA, Jialan Cai e Yuwei Jiang – CINA, Danial Kheyrikhah – IRAN, Fatih Genckal – TURCHIA
(prima regionale)
giovedì 25, venerdì 26, sabato 27 e domenica 28 novembre, ore 21.00
TEATRO STUDIO
in occasione della GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE
Il Teatro delle Donne presenta:
LA DONNA FATTA A PEZZI
dal racconto di Assia Djebar nella raccolta Nel cuore della notte algerina
testo e regia Filippo Renda
aiuto regia Martina Vianovi
con ANTONIO FAZZINI
collaborazione e patrocinio Casa Editrice Giunti e Istituto Francese di Firenze
giovedì 2, venerdì 3, sabato 4 e domenica 5 dicembre, ore 21.00
TEATRO STUDIO
Il Teatro delle Donne presenta:
DALLE STELLE
di Silvia Calamai
regia Fabio Mascagni
allestimento
disegno luci Andrea Narese
con ANTONIO FAZZINI e ANNIBALE PAVONE
(gli orari di inizio degli spettacoli potrebbero subire variazioni)
Venerdì, 10 settembre 2021
In copertina: Francesca De Sanctis (foto gentilmente fornita dall’autrice). Nel pezzo: Elena Arvigo (foto gentilmente fornita dall’Ufficio stampa di AvampostiTeatroFestival).