Falsi positivi e nuove cure: come cambia lo scenario del Covid-19
di Simona Maria Frigerio
Il 21 settembre prossimo “l’Iss e il Ministero della Salute dovranno rispondere avanti il Tribunale Civile di Roma sulla questione cruciale della soglia dei cicli della PCR” (https://www.medicinaintegratanews.it/test-pcr-in-italia-ne-e-in-discussione-la-veridicita-scientifica/). Questo cosa significa? E cos’è la PCR?
Partiamo dalla seconda domanda perché da essa discende la risposta alla prima. La Reazione a Catena della Polimerasi è una tecnica di laboratorio che, per semplificare, moltiplica (amplifica) frammenti di acidi nucleici. Tale tecnica è stata e continua a essere utilizzata in vari campi – tanto è vero che il suo ideatore, Kary B. Mullis, ha ottenuto il Premio Nobel per la chimica dieci anni dopo la sua invenzione nell’83. Dalla medicina legale (per il DNA di possibili sospetti) all’Hiv/Aids (ricordate i tempi in cui si fece la battaglia perché i risultati dei test Elisa fossero anonimi?), detta tecnica ha continuato a essere utilizzata in vari settori.
Ora, come immaginerete, la PCR moltiplicando frammenti amplifica i risultati. E non è un gioco di parole. Se ne è accorto anche il legislatore (anche se con un po’ di ritardo) se – il 5 maggio 2021, nella seduta n. 323 – Siri, Zuliani, Candura, Montani, Pellegrini Emanuele, Doria, Pianasso, Bagnai, Lunesu, Pisani Pietro, Lucidi, Ferrero, Riccardi, Alessandrini scrivevano al Ministro della Salute:
“Diversi recenti studi scientifici hanno proposto una limitazione della soglia dei cicli (CT) non maggiore di 30. In particolare, in un articolo pubblicato sul Clinical infectious diseases (IDSA), una delle riviste più note nel campo delle malattie infettive e della microbiologia, è stato riportato che con cicli superiori a 25 i pazienti non possono essere ritenuti contagiosi” e più oltre specificavano: “con l’amplificazione del numero dei cicli il risultato diventa incerto, segnalando tracce di RNA virale ormai residuali e inattive, trattandosi di presenza di virus talmente debole da non essere più infettivo; la maggioranza dei tamponi analizzata in Italia che utilizzano la metodica della RT-PRC prevedono un numero di replicazioni superiore a 35, soglia al di sopra della quale deve ritenersi che l’affidabilità del tampone sia molto ridotta, essendoci, così, il rischio che possano essere individuati come positivi anche soggetti che in realtà sono falsi positivi” ((http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=18&id=1297167). Non sappiamo se e come abbia risposto il Ministro della Salute, Roberto Speranza.
Ed ecco che rispondiamo alla prima domanda: questo significa che misure di isolamento – individuale o collettivo, ossia i lockdown imposti in passato e molti prevedono anche in futuro – e il conseguente stress psico-fisico oltre che economico, individuale e collettivo, determinato da numeri che mostrano un quadro di contagio non veritiero, potrebbero essere state approntate (così come il perdurare dello Stato di emergenza) senza alcuna base scientifica comprovata. Teniamo altresì presente che “mantenere in isolamento pazienti in queste condizioni (ossia positivi ma né malati né contagiosi, n.d.g.) potrebbe pregiudicare l’esecuzione di altre prestazioni sanitarie, sia di prevenzione che cura, come ad esempio trattamenti oncologici non eseguiti su persone positive, incidendo sulla loro qualità e durata della vita” – come specificano A. Camerotto, V. Muraro, A. Mazzetto, A. Sartorio su Quotidianosanita.it.
E questo fa sorgere due ulteriori dubbi.
Il primo è a quanti cicli i cinesi eseguono la loro PCR, dato che sono l’unico Paese al mondo dove il Covid-19 è stato praticamente sconfitto (laddove Australia e Nuova Zelanda – isole con un numero infinitesimale di abitanti – pur essendosi barricate e avendo applicato lockdown draconiani non ci sono riuscite). Secondo, basta molto meno per rischiare di non ricevere una terapia salvavita. L’esperienza personale (che non vorrei citare ma può servire a titolo esemplificativo) è di essere dovuta ricorrere al Pronto Soccorso nel giugno 2021, presso l’Ospedale San Luca di Lucca. Nonostante il mio caso si sia poi rivelato tanto grave da necessitare un intervento d’urgenza (e ringrazio il reparto di oculistica per la sua efficienza e professionalità), ho rischiato di non avere accesso al Pronto Soccorso perché i termometri utilizzati come screening pre-ammissione si erano surriscaldati. Infatti, infermiera e termometri (a infrarossi manuali) sono posizionati in una struttura tipo plexiglass che, in estate, diventa rovente. Le infermiere sono costrette a raffreddare i termometri (in quel momento ne avevano uno solo in dotazione) in contenitori di polistirolo pieni di cubetti di ghiaccio e finché gli stessi non rilevano negli utenti una temperatura pari o inferiore a 37,5°C non possono dare l’autorizzazione, agli utenti, di entrare in Pronto Soccorso.
Passiamo alle good news: i monoclonali non salvano solo Trump
Per fortuna che qualche volta si ammalano pure i ricchi, se no staremmo ancora alle diatribe tra ‘esperti’: https://www.google.com/amp/s/www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/09/monoclonali-e-subito-guerra-tra-scienziati-crisanti-e-uno-spreco-senza-precedenti-galli-averli-da-clinico-non-mi-fa-schifo/6095207/amp/.
Mentre si perdeva tempo sperando in un vaccino che funzionasse al 100% e promettendo percentuali di immunità obiettivamente impossibili nel caso di un virus influenzale (che, oltretutto, continua a modificarsi – come predetto da una minoranza di virologi messi a tacere), Trump e una serie di vip si ammalavano aprendo le porte ai monoclonali.
Ma di cosa stiamo parlando? Come agiscono, quando vanno inoculati e a che punto è la sperimentazione?
Il termine composto ‘anticorpo monoclonale’ significa che stiamo parlando di cloni (in questo caso proteine, identiche fra loro) di un anticorpo riprodotto artificialmente in laboratorio per legarsi specificamente a un tipo di antigeni – ossia a molecole che il sistema immunitario riconosce come estranee e, forse, pericolose (come un virus o una cellula tumorale). Una persona può produrre naturalmente fino a un miliardo di anticorpi diversi ma perché il corpo si difenda da virus o cellule tumorali occorre possedere gli anticorpi specifici. La tecnica per creare in laboratorio gli anticorpi monoclonali è abbastanza complessa ma se volete approfondire l’argomento, questo articolo dell’Airc è preciso e divulgativo: https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/lo-sai-che/gli-anticorpi-monoclonali-si-usano-gia-da-tempo-in-oncologia. L’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (oggi Fondazione) se ne interessa da anni, in quanto i monoclonali sono utilizzati anche nella cura oncologica laddove: “il principio attivo è in genere l’anticorpo monoclonale che riconosce una proteina essenziale per la proliferazione presente sulle cellule tumorali e legandosi a essa impedisce la crescita del tumore”. Sembra logico, quindi, nel momento in cui dobbiamo curare una malattia virale creare in laboratorio anticorpi specifici che andranno ad aiutare il nostro organismo a combattere il Covid.
Come ogni prodotto (non solo) farmaceutico, in fase sperimentale o del quale per altri motivi si producono bassi quantitativi, i costi, però, sono obiettivamente alti. Ma la sterile polemica contro i monoclonali in vista dell’aggravio sulle casse erariali dei Paesi, dovrebbe tenere in conto non solamente le economie di scala, ma i costi economici dei continui lockdown, di vaccinazioni di massa ripetute nel tempo (soprattutto a livello di strutture e personale), dei ricoveri e delle terapie intensive (strutture e personale), oltre alla perdita di ore di lavoro dei malati. D’altro canto, la nostra politica miope ha prodotto il risultato che ci ritroviamo a fine agosto 2021 a fare quella sperimentazione con i monoclonali che sarebbe dovuta e potuta cominciare mesi prima.
Sebbene fin dal 4 febbraio in Italia si sia deciso di utilizzare i monoclonali in forma sperimentale su particolari categorie più a rischio di sviluppare forme gravi (come da note dell’Aifa e indicazioni del CTS), è solamente da poche settimane che si stanno coinvolgendo numeri importanti di cittadini risultati positivi al Covid-19 e con sintomi da lievi a moderati. Ora, a prescindere dal fatto che la positività dovrà essere accertata con maggiore precisione di quanto fatto finora (come esposto più sopra), l’altro scoglio da superare è costituito da una parte della medicina tradizionale che vuole trattare i pazienti solamente quando si aggravano al punto da essere ricoverati e, altrimenti, raccomandano aspirina e ‘vigile attesa’, mentre i monoclonali (come le terapie antivirali per l’Herpes Zoster, ad esempio) andrebbero assunti prontamente – appena si è certi dell’avvenuto contagio e si hanno i sintomi.
Se pensate che la ‘vigile attesa’ sia solo un ricordo dei ‘tempi bui’ in cui la sanità italiana si prendeva in carico dei malati Covid quando erano all’ultimo stadio, un caso riferito recentemente alla nostra redazione smentisce tale ipotesi. L’uomo, over 50, contagiatosi la domenica e, ignaro del fatto, sottoposto a seconda dose Pfizer il lunedì, dopo il tampone che ha confermato la positività e i primi sintomi è stato contattato da una tra le strutture ospedaliere della sua regione per sperimentare la terapia con i monoclonali. Purtroppo il suo medico di famiglia si è opposto e l’uomo dopo un mese – in cui ha sofferto dolori, febbre alta, tosse, difficoltà respiratorie, spossatezza e malessere generale protrattisi per l’intera durata della positività (21 giorni) – non ha ancora recuperato del tutto, provando tuttora un grave senso di spossatezza e perdita del gusto e dell’olfatto. Della serie che un’aspirina e un bicchiere di latte non sempre bastano?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Venerdì, 10 settembre 2021
In copertina: Foto di Michael Kretzschmar da Pixabay.