Dall’Hiv al Covid
di Simona Maria Frigerio
Premessa personale. Nel mio passato c’è stato un periodo di volontariato in Lila (Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids), negli anni in cui l’Azt era l’unica cura accreditata (e molti, visti anche gli effetti collaterali, optavano per sospendere la terapia e utilizzare rimedi naturali per migliorare le difese immunitarie) e la politica, ma anche la società civile (ma non la Chiesa cattolica che avrebbe mantenuto le sue posizioni retrive ancora a lungo), passava lentamente dalla stigmatizzazione dei sieropositivi – quasi fossero colpiti dalla folgore divina per i loro comportamenti – all’accettazione di un virus che si trasmetteva attraverso il sangue e i suoi derivati, lo sperma, le secrezioni vaginali ma anche il latte materno e, quindi, poteva contagiare tutti – e non solamente omosessuali ed eroinomani.
Ma ci sarebbero voluti ancora anni per far capire, in primis all’ambiente medico italiano, che non doveva essere il privato cittadino/paziente a dichiarare la propria condizione di sieropositivo (o meno), anche perché poteva non essere a conoscenza di esserlo e, comunque, il test Elisa era attendibile solo dopo circa tre mesi dall’avvenuto contagio (ossia nel momento in cui il corpo aveva prodotto anticorpi a sufficienza per essere rilevati). La risposta doveva, quindi, essere non un questionario inefficace e invasivo o un test obbligatorio altrettanto inefficace e invasivo, bensì l’utilizzo di norme di igiene e sicurezza da parte del personale sanitario, ma anche di dentisti e barbieri, parrucchieri e agopuntori, tatuatori ed estetisti, eccetera. Chiunque si avesse di fronte: si garantivano la privacy dell’uno e la salute dell’altro.
Ma, ovviamente, la questione non era così semplice poiché la trasmissione – avvenendo anche durante i rapporti sessuali e nel momento della nascita – metteva altre libertà individuali in gioco. Mentre la Chiesa predicava l’astensione dai rapporti sessuali come unica forma di prevenzione davvero sicura, la società propugnava una maggiore attenzione spingendo verso una moralizzazione dei costumi che rovesciava le pratiche (e le teorie) libertarie post-sessantottine, protrattesi negli anni 70 e assurte a culti edonistici negli ʻ80 (quelli tra il mitico Like a virgin di Madonna e l’altrettanto mitico American Psycho, pubblicato nel ʻ91); e la Lila, che si batteva per la riduzione del danno rispettando però le scelte individuali, raccomandava non la castità o l’autodenuncia, bensì distributori di siringhe monouso in ogni città (e soprattutto nelle zone dello spaccio) e l’uso del preservativo, anche con partner abituali.
Allora vinse la libertà di scelta. C’era ancora il Muro di Berlino e occorreva dimostrarsi democratici…
Il Covid ʻen los tiempos del cólera’
La pandemia di un’influenza per la quale non avevamo ancora sviluppato anticorpi (come avvenuto in passato, ad esempio, con la cosiddetta influenza A) sta vedendo, al contrario, una deriva liberticida che – in pochi mesi – ci sta portando sull’orlo dello Stato di polizia. Non solamente abbiamo mantenuto tutte le restrizioni (dalle mascherine al chiuso – e assurdamente all’aperto per le zone gialle eccetera – al distanziamento che, ad esempio, Israele ma anche gli Stati Uniti avevano o hanno abbandonato) ma vi abbiamo aggiunto il green pass (con esibizione del documento d’identità in caso di ʻincongruenze’ – il che implicherebbe che l’esercente non debba scandire un QR Code bensì verificare i nostri dati anagrafici sul certificato? Come scherza qualcuno, ci manca solo il microchip sotto la pelle!). Non più solamente un pubblico ufficiale, ma qualsiasi bigliettaio di cinema o teatro o ristoratore dovrebbe controllare le nostre generalità venendo a conoscenza di dati sensibili (dall’indirizzo, al fatto che si sia contratto il coronavirus, al nome della persona che ci accompagna)? Ma non basta. Quando un Silvio Garattini all’Huffington Post fa presente che il vaccino non è obbligatorio, ma che la nostra libertà termina “quando intacca la libertà degli altri. Infatti i sanitari possono non vaccinarsi, ma poiché rischiano di contagiare i propri ammalati se non si vaccinano non possono esercitare la loro attività. Limitazioni alla libertà sono molteplici: ad esempio, non si può guidare un’autovettura senza la patente”, dimentica che lo stesso medico quando si proclama obiettore di coscienza opponendosi alla scelta e al diritto di una donna a ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, non è licenziato dalla struttura pubblica che quel diritto e pratica dovrebbe garantire. Così come dimentica che, essendo i vaccini ‘imperfetti’ (qui sotto il link a due recenti studi), solamente misure quali il distanziamento assicurano il non contagio e le stesse, dato che sono state mantenute, valgono quanto il preservativo, la siringa monouso, il guanto di lattice o gli occhiali protettivi in sala operatoria. L’esempio della patente è, del resto, improprio perché senza la stessa, teoricamente, non si dovrebbe saper guidare, mentre senza vaccino ma mantenendo le distanze non si contagia nessuno (laddove, se si è vaccinati e positivi, e non si rispettano le distanze, sembra sia possibile contagiare gli altri). E comunque, qualcuno dovrebbe informarlo che alcune autovetture ormai si guidano anche senza patente!
Fermarsi e fare un bel respiro?
Su ByoBlu sono stati pubblicati due interessanti studi, che consigliamo di leggere per intero così da evitare fraintendimenti
sull’efficacia e, al contrario, la pericolosità a livello di trasmissione pandemica e resistenza, dei vaccini ‘imperfetti’, come si stanno rivelando i vari attualmente in uso – visti anche i dati sulla nuova ondata di contagi, ricoveri e sviluppo di forme gravi nei vaccinati in primis in Israele. Suscita altresì sconcerto che già a marzo, in un’intervista che feci a un docente israeliano
si parlasse di terza dose in quel Paese. Mentre l’OMS fa presente che inoculare a una piccola parte del mondo (guarda caso la più ricca e la più vecchia) una terza dose, mentre la maggior parte non ne ha ricevuta nemmeno una, è controproducente ai fini dell’immunizzazione globale e della diminuzione del rischio di insorgenza di varianti. Questo a meno che gli Stati non credano di diventare tutti isole, come l’Australia, dove nessuno straniero può sbarcare né cittadino partire e si crea una specie di lager a cielo aperto per i propri abitanti, nel quale ci si risveglia constatando, dopo un anno, che il virus è ancora lì e non si sa fare di meglio che proclamare il lockdown per un solo caso (Canberra docet).
Nel frattempo i medici, come il succitato Silvio Garattini dell’Istituto Mario Negri (molto loquace negli ultimi tempi), vista anche la mancanza di studi di terze parti sull’efficacia e sulla possibile tossicità di tale terza dose in tempi ristretti (perché una cosa è fare un richiamo una volta l’anno e, un’altra, inoculare tre dosi in 6/8 mesi), dichiara sempre all’Huffington Post: “Se i vaccini che abbiamo saranno efficaci, va tutto bene, altrimenti ne andrà fatto uno nuovo”. E qui sorge spontaneo chiedersi perché ostinarsi con vaccini che, ormai è chiaro, ‘bucano’ la variante Delta. Sarà perché le case farmaceutiche, conoscendo i limiti – prevedibili – delle sostanze finora sviluppate vogliono guadagnare il più possibile da prodotti che, a breve, saranno superati?
Così come non si capisce perché imporre una dose vaccinale a persone guarite dal Covid-19 senza prescrivere, prima, un controllo del numero degli anticorpi (magari a 6, 9 e 12 mesi). Non solamente il dato sarebbe utile per comprendere quanto dura la risposta immunitaria spontanea al virus ma anche per razionalizzare il piano vaccinale, utilizzando le dosi per chi ne ha veramente bisogno e per il cosiddetto Terzo Mondo.
Da Israele giunge anche la notizia che, al posto di nuove restrizioni e lockdown, per fronteggiare la quarta ondata che dovrebbe invadere gli ospedali, secondo varie fonti giornalistiche, entro il 10 settembre (nonostante il 78% della popolazione over 12 sia vaccinata completamente), il Governo si impegna a investire in sanità. Malgrado i dubbi sul perché di una predizione talmente disastrosa visti i dati che ci si ostina a fornire sull’efficacia dei vaccini – soprattutto a livello di contenimento dei sintomi, dei ricoveri e della mortalità – non sarebbe il caso che l’Europa, invece di seguire Israele sulla strada della terza dose (o perfino seguendola), lo facesse anche in quella di un aumento dei posti letto, dei medici, degli infermieri e delle terapie intensive? In Italia, ad esempio, si raggiungerebbero con maggiore difficoltà i limiti riguardo ai parametri sull’occupazione dei reparti e delle intensive, se gli stessi fossero aumentati. Della serie: la matematica non è un’opinione… e che se si elegge un Paese a modello, occorrerebbe farlo in tutto.
Dopodiché bisognerebbe discutere perché il modello debba essere Israele e non la Svezia, dove la percentuale sul completamento del ciclo vaccinale è inferiore, si è scelto di non fare lockdown ma di imporre quel minimo di restrizioni – sempre temporanee – per non ingolfare il sistema sanitario, e di far girare il virus affidandosi alle difese immunitarie naturali delle persone. E dove i dati su nuovi casi, ricoveri e mortalità sono decisamente migliori che in Israele. Il 18 agosto in Israele avevamo, su 9 milioni di abitanti, copertura vaccinale completa over 12 al 78%, nuovi casi 5.883, deceduti 19; in Svezia, su circa 10 milioni di abitanti, copertura vaccinale al 48,9% sul totale della popolazione (tenendo anche conto che l’avrebbero approvata solo per gli over 16), nuovi casi 1.320, deceduti 3.
In pratica, se l’Hiv fosse il Covid, arriveremmo al punto di dover dimostrare di indossare il preservativo anche se non facciamo sesso – ma semplicemente masturbandoci – o addirittura (seguendo il discorso di Garattini) imporre la castità a qualsiasi sieropositivo – dato che un preservativo può sempre rompersi… E siccome l’onnipresente Garattini specifica anche che il tampone non è il vaccino e dopo due ore potremmo contrarre il Covid – cosa che, peraltro, sta accadendo anche ai vaccinati, ma forse non ne è stato informato – sempre se l’Hiv fosse il Covid dovremmo imporre la castità a tutti: così saremmo certi dell’estinzione dell’umanità ma di non morire di Aids.
Venerdì, 27 agosto 2021
In copertina: Foto di Jeyaratnam Caniceus da Pixabay (rielaborata per evitare messaggi pubblicitari).