L’arte contemporanea in tempi di pandemia
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
A San Gimignano, purtroppo solo su appuntamento e muniti di green pass (a causa delle stringenti norme in vigore), è possibile vedere le opere di due artisti molto diversi fra loro ma che suscitano riflessioni sul presente. Forse perché le arti figurative sono più prossime all’ideale che la bellezza stia nell’occhio di chi guarda e, quindi, lo spettatore può riflettervisi più compiutamente o forse perché il teatro – per incapacità o impossibilità, dato che il ricatto economico della politica è più stringente e, quindi, diventa difficile dubitare della bontà del pensiero unico dominante – ancora stenta e latita nel porsi dubbi, è attraverso due personali in queste settimane ospiti di Galleria Continua che cerchiamo interpretazioni (magari personali) del presente.
Appena entrati, l’effetto straniante di The Boatman (2020) di Hans Op De Beeck dà l’immediata misura del tempo che ci separa ormai dalla dimensione del viaggio – che era, fino a poco più di un anno fa, insieme racconto ed esperienza, conoscenza e memoria. La statuaria di De Beeck nella precisione quasi maniacale dei particolari imprime, nel grigio del materiale utilizzato, l’anelito alla vita di corpi umani, animali ed elementi vegetali che paiono essersi cristallizzati nella cenere di un’eruzione vulcanica o per effetto di un sortilegio. Contraddizione in termini, una cristallizzazione vitalistica della possenza della volontà in atto (à la Schopenhauer) che strania il visitatore nel momento in cui lo stesso pensa a sé, rinchiuso tra quattro mura per un tempo sospeso tra il prima della pandemia e un dopo che stenta ad apparire all’orizzonte.
L’intera serie di The Boatman and other stories (quasi libro di favole nere, tema sul quale torneremo) pare una riflessione più che sulla fugacità del tempo, sugli effetti della sua sospensione, su un mondo che – smettendo di girare, o di essere ‘girato’ da noi esseri umani – si spegne come i corpi soffocati ed estinti dal Vesuvio, o i resti di un passato sepolto racchiusi in una teca museale. Ed è questo l’effetto delle due Wunderkammer in mostra, 11 e 12 sempre del 2020, più simili a raccolte di reperti archeologici (con accostamenti di oggetti dalle dimensioni improprie come in un rebus di vita) che non a fantastiche camere delle meraviglie nate dal capriccio di qualche nobile annoiato. Solo il rosa dei boccioli in fiore e le biglie di vetro, liberi dalla patina del non-tempo, appaiono quale segnale insieme di resistenza e di speranza.
L’intera serie di ‘storie’ si trasforma in un lungo nastro di sogni che si ‘di-spiegano’ di fronte ai nostri occhi, quando ci troviamo di fronte a Girl, asleep (2021) – volto di fanciulla addormentatasi dopo aver letto l’ultima ‘fiaba del libro’ – e, poi, a The Cliff (2019), che rimanda indubitabilmente a Il castello dei Pirenei di Magritte, laddove alla fortezza si sostituiscano le figure umane e le stesse si ergano a immagini preponderanti – seppure la sospensione (in questo caso a parete), il colore e la matericità della roccia paiano corrispondere prontamente al lavoro del surrealista, in una dimensione insieme fantastica e atemporale.
Il tempo, però, rientra in gioco in After work (2021), Memento Mori che si tinge di quotidianità nel gesto e nella postura degli scheletri, quasi amici che si incontrino per una sigaretta e una birra fuori da un bar (come indica anche il titolo). Identico effetto raggiunto con la donna/manichino, Celeste (smoking, del 2020), visceralmente lontana da De Chirico in quanto De Beeck si concentra sull’espressione minuta del volto – contrapposta alla fissità dello sguardo. E laddove gli scheletri sembrano rivivere in un oltretomba allegro à la Tim Burton, Celeste pare immobilizzarsi in un progressivo svuotamento di sé, un irrigidimento che traspare tra le pieghe di opere create in tempi sempre più bui. Quanto queste ultime due opere rimandino, al contrario, più direttamente ai pericoli di fumo e alcool non è dato sapere – ma ci sembra che una tale lettura sarebbe riduttiva, quasi a sminuire una narrazione che diventerebbe, nel caso, banalmente pedagogica.
Il tema della caducità della vita e della varietà delle forme di vita, unito al gusto per la natura morta, ritorna anche in Vanitas Table (The coral piece, 2021), dove l’elemento umano è il più nocivo a un ecosistema che si regge su un delicato equilibrio: infatti, se il pesce e la farfalla possono convivere su una fantastica barriera corallina, il pacchetto di sigarette con accendino e un blister di medicinali ci riporta al nostro virulento universo sempre oscillante tra Eros a Thanatos, tra piacere e morte. Così come appare straniante che tra i protagonisti di The Conversation (2019), maschi sul più alto gradino della scala sociale (letteralmente e metaforicamente), che si affrontano a colpi di idee, nei loro abiti borghesi impeccabili, si inserisca l’immagine disfatta di The Dancer (small version, bronze, 2021), una Joséphine Baker e un’Africa troppo stanche per stare ancora ad ascoltarli.
Chiudiamo con Vanitas (Flowers and Tangerines, del 2021). Dopo la sua statuaria e il corrispettivo plastico al quadro (Vanitas XL, 2021, nella foto in copertina), ecco un acquerello in bianco e nero che, ancora una volta, unisce il gusto medievale del Memento Mori con la tradizione della natura morta fiamminga (e De Beeck, non sarà un caso, è belga). Mentre i fiori turgidi rimandano alla pienezza di quella vita che, come le candele, brucia spegnendosi, è ancora il rebus dell’esistenza che sembra torturare l’artista o una ricerca simbolica che lo spettatore, per gioco o affinità, può divertirsi a perseguire in una serie infinita di rispecchiamenti. Ecco quindi che l’acqua – madre e fonte di vita – riflette le forme dei frutti maturi, pronti per essere afferrati e assaporati come un’esistenza piena e voluttuosa; mentre il peso della farfalla porta con sé la memoria delle pagine di un piccolo gioiello scritto da Erri De Luca o l’incipit di Fino alla fine del mondo di Wenders: “Claire cambiò direzione, cambiando per sempre la sua vita, cambiando le vite di tutti noi” (come da effetto farfalla).
In platea, la Partitura di Carlos Garaicoa, che torna a confrontarsi con musica e immagini (come nel 2018, sempre a Continua) ma, mancando l’assemblea di spettatori che dovrebbero occupare i leggii (laddove sono coloro che ascoltano a ricoprire la posizione nello spazio e nel tempo dei vari musicisti), se ne perde la dimensione corale. Resta il piacere solitario – forse l’unico concesso in tempo di pandemia – di sedersi sul piedistallo del direttore senza, però, orchestra. Un’assenza emblematica poiché “la musica esiste solo se viene eseguita” (Ennio Morricone docet), così come senza pubblico il teatro non esiste, e senza aggregazione una società smette di essere tale tornando allo stato di individualità che fluttuano sole e i distinte, incapaci di creare bellezza.
Le mostre continuano:
Galleria Continua
via del Castello, 11 – San Gimignano
fino al 6 gennaio 2022
orari: tutti i giorni, dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.00 (su appuntamento/con green pass)
Hans Op De Beeck
The Boatman and Other Stories
Carlos Garaicoa
Unfaithful Images
Venerdì, 27 agosto 2021
In copertina: Vanitas XL. 2021. Poliestere, poliuretano, metallo, poliammide, rivestimento 290 x 250 x 250 cm (circa). Courtesy: the artist and Galleria Continua. Foto di Ela Bialkowska, OKNO Studio.