Dalla Grande Barriera Corallina, alla furia iconoclasta dei talebani (che mette a rischio anche la vita degli stessi artisti), passando per le criticità della laguna veneta
di Lucia Mazzilli
Questa immagine satellitare della Grande Barriera Corallina, in Australia, è stata raccolta il 22 aprile 2013 dal satellite WorldView-2. Già nel 2013 un apello di oceanografi e ricercatori aveva messo in guardia dai danni irreversibili che il cambiamento climatico avrebbe causato, entro il 2030, a quello che è uno dei luoghi più ricchi di biodiversità del pianeta. La Grande Barriera Corallina australiana è iscritta dal 1981 tra i luoghi Patrimonio mondiale dell’UNESCO. Il Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco si riunisce annualmente per stabilire quali luoghi hanno i requisiti per entrare nel prestigioso elenco, quali sono a rischio di essere depennati e quali debbano essere rimossi perché hanno perso i titoli necessari all’inclusione nell’elenco. Quest’anno durante la 44a sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale, tenutasi, a fine luglio, online da Fuzhou, in Cina, si è deciso di non includere, per ora, la Grande Barriera Corallina australiana, tra i luoghi a rischio di essere depennati, ma il Comitato ha sollecitato il Governo australiano di attivarsi, entro il febbraio 2022, con interventi concreti per salvaguardarne l’integrità.
https://www.satimagingcorp.com/gallery/worldview-2/worldview-2-great-barrier-reef/
Lo stesso rischio ha corso Venezia e la sua laguna, che non verrà iscritta nella lista dei Patrimoni in pericolo grazie alla decisione del governo Draghi sul blocco, per ora teorico, del passaggio delle grandi navi davanti a San Marco e al canale della Giudecca (sono al vaglio idee, proposte e progetti di fattibilità tecnica ed economica per attiavre un attracco delle navi all’esterno della laguna). Venezia rimane però una “sorvegliata speciale”, una sorta di “rimandata” come la Grande Barriera Corallina australiana: la46a sessione del Comitato per il Patrimonio Mondiale verificherà la realizzazione degli interventi correttivi necessari.
L’Italia rimane il Paese con il numero maggiore di luoghi Patrimonio UNESCO, quest’anno con l’inclusione dei portici di Bologna e degli affreschi del Trecento di Padova e Montecatini Terme, si è raggiunta quota 58.
Solo due volte nella storia del prestigioso elenco sono stati completamente rimossi dei siti: nel 2007 l’Arabian Oryx Sanctuary in Oman (per consentire l’estrazione di petrolio e gas, l’estensione della riserva è stata ridotta del 90%) e la Valle dell’Elba di Dresda in Germania, nel 2009 (a causa della realizzazione del ponte ad arco di acciaio e cemento, lungo 635 m e largo 28,6 m costruito per facilitare il traffico cittadino).
Il Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco quest’anno ha invece depennato la Città Mercantile Marittima di Liverpool nel Regno Unito, a causa dello sviluppo urbanistico che non ha tenuto in considerazione le caratteristiche del sito (il Porto di Liverpool era tra gli “osservati speciali” dal 2012).
I siti a rischio di essere depennati sono molti, citiamo qui anche la Selous Game Reserve in Tanzania, a causa della costruzione di una diga, e, per rimanere legati all’attualità i due siti afghani, il Minareto e i resti archeologici di Jam (nei pressi del fiume Hari Rud) (patrimonio dal 2002) e il panorama culturale e resti archeologici della Valle di Bamiyan (patrimonio dal 2003). Il Minareto e i resti archeologici di Jam sono minacciati dall’erosione, dalle infiltrazioni d’acqua e dalle inondazioni, determinate dalla vicinanza ai fiumi Hari Rud e Jam Rud e dai frequenti terremoni che colpiscono la zona. La storia del sito archeologico della Valle di Bamiyan è tristemente nota: nel 2001 le due più famose statue monumentali, alte 55 e 38 metri, scolpite nella roccia 1500 e 1800 anni fa, chiamate Buddha di Bamiyan, sono state distrutte dal governo dei talebani.
L’istituto del Patrimonio mondiale dell’UNESCO, detto anche Patrimonio dell’umanità (!!), è stato più volte sottoposto a critiche; le accuse sono un’eccessiva politicizzazione e la tendenza a trasformarsi in un brand dell’industria turistica. E non è tanto la partecipazione all’elenco che ci sta ovviamente a cuore, quanto la triste e nota considerazione che ovunque nel mondo le bellezze naturali e quelli culturali sono minacciate.
Per rimanere in territorio afghano, la storia si ripete: pochi giorni fa, infatti, sempre nella valle di Bamiyan, i talebani hanno fatto esplodere la statua di Abdul Azi Mazari, ex leader degli hazara esponente di spicco della resistenza contro i talebani, ucciso nel 1995. I talebani considerano un atto di idolatria la raffigurazione artistica di esseri umani o animali; tra le diverse emergenze che sta vivendo questo Paese, non si può dimenticare il pericolo che stanno correndo gli artisti, costretti a nascondersi, a occultare le proprie opere e a chiudere i loro studi.
Venerdì, 20 agosto 2021