Le torri di Kuala Lumpur nel sito archeologico di Angkor
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Cambogia, Siem Reap, agglomerato urbano sviluppatosi negli anni Venti del Novecento, di cui conserva rare vestigia dell’Indocina francese. A una quindicina di chilometri da questa cittadina oggigiorno famosa per i suoi ristoranti di pesce, la vita notturna e i localini che servono vino bianco ghiacciato e birra locale, punteggiandone le poche vie centrali invase dal turismo (sviluppatosi soprattutto negli ultimi anni grazie alle attività di sminamento del Paese e prima dell’epidemia di Covid-19), sorge uno tra i siti archeologici più estesi e affascinanti al mondo.
Doverosamente accompagnati da un tuk-tuk e suddividendo la visita in almeno due giornate – di cui una concentrata all’alba o al tramonto per immortalare Angkor Wat (il più vasto edificio religioso al mondo) – è possibile ripercorrere almeno una parte dell’antico abitato, esteso su oltre 350.000 chilometri quadrati ed edificato dai Khmer tra il IX e il XV secolo per ospitare centinaia di migliaia di abitanti – in un’epoca in cui l’Europa era alle prese soprattutto con i limiti del Medioevo e la peste nera; mentre gli eredi di Colombo non avevano ancora devastato né i regni del Centro e Sud America né le praterie del Nord.
I miti di Siem Reap Riflessi di luce I ristoranti di pesce
Qui, tra i resti di centinaia di templi votati a culti induisti o buddhisti, a seconda del periodo in cui furono edificati, scoprirete soprattutto l’aspetto religioso della vita degli abitanti, dato che le costruzioni civili, in materiali deperibili, sono pressoché scomparse. Il regno di Angkor fu saccheggiato dopo un lungo assedio da parte di quello di Ayutthaya (il cui sito archeologico si trova nell’odierna Thailandia, a un paio d’ore di pullman da Bangkok). Ma il declino del regno si fa risalire a una serie di concause anche climatiche o a un eccessivo sfruttamento dell’ecosistema – interessante, a questo proposito, il complesso sistema idraulico (che rimanda anche ad altre città/regno come Machu Picchu).
Angkor Wat Il parco archeologico I volti sorridenti del Bayon
Prima di affrontare la vastità di Angkor, è consigliabile un giro nell’Isaan.
Territorio rurale attualmente thailandese, ai confini con la Cambogia, che ha fatto parte dell’impero Khmer condividendone la cultura, l’afflato artistico e l’architettura (fino al XIII secolo).
Il consiglio è di lasciarvi conquistare scoprendo, qui e là, scorci e affinità con l’architettura contemporanea. Dai volti sorridenti scolpiti sulle quattro facce delle guglie del tempio di Bayon – che ricorda la Sagrada Familia di Gaudí così come le forme delle candele decorative – al tempio-montagna di Angkor Wat che, come i templi di Old Sukhotai,
si erge all’interno di un fossato e si specchia nelle sue acque, icona del Monte Meru indù – con le sue cinque torri che svettano, incredibilmente simili alle Patronas di Kuala Lumpur.
Anche se non siete archeologi o esperti d’arte, al termine della 2 o 3 giorni di visita, spossati dal caldo umido (a febbraio, tra i mesi migliori per tale tour, si raggiungono comunque i 35/36°C), vi renderete conto di aver vissuto un’esperienza unica: esservi immersi in un mondo perduto che, dalla foresta che mina da sempre l’opera umana e che alla fine la ingloberà, è monito per coloro che credono con i loro grattacieli di conquistare per sempre una fetta di cielo.
Le Patronas Twin Towers di Kuala Lumpur Gli infiniti corridoi del tempo di Angkor Wat
Venerdì, 20 agosto 2021
In copertina e nell’articolo: foto di Luciano Uggè e Simona Maria Frigerio (tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione)