Dall’Afghanistan al Covid: il fallimento dell’American way of life
di Simona Maria Frigerio
Tolleranza, rispetto, eguaglianza, democrazia, stato sociale (in alcuni casi), il rifiuto della guerra (nel caso italiano), persino il diritto alla ricerca della felicità (negli States): l’illuminismo e le Costituzioni del cosiddetto Occidente (che è più o meno il G7 meno il Giappone), dalla caduta del Muro di Berlino, si sono via via dimostrati sempre più dichiarazioni di principi astratti, non solamente scollegati con la vita politica, economica e sociale dei Paesi interessati ma richiami per allodole sempre meno efficaci. Perché?
Gli Stati Uniti, dalla Seconda guerra mondiale, non vincono davvero una guerra. Ve ne siete accorti? A parte le scaramucce di Grenada e Panama (dove le dimensioni delle forze in campo e la tracotanza dell’invasione statunitense è paragonabile solo a quella della muscolare Thatcher ai tempi delle Malvine), la politica statunitense, dopo l’Ottantanove (ma anche prima in alcune aree del mondo) e di molti Paesi europei al seguito, è diventata un coacervo di intromissioni negli affari di Stati sovrani, destabilizzazioni (quelle operate dalla Cia in America Latina, anche anteriormente, sono ormai realtà storiche) e invasioni armata manu, sanzioni spesso unilaterali contrarie alle risoluzioni Onu, protezione di regimi amici, accaparramento di risorse e suolo. E ancora, soldi facili, prima, con la costruzione e vendita di armi e, poi, nella ricostruzione di quanto distrutto, il tutto condito dalla retorica dello ‘sceriffo della democrazia’ che intende liberare i popoli dai dittatori (quali un Bashar al-Assad, recentemente rieletto Presidente della Siria con una vittoria schiacciante e un’affluenza alle urne superiore al 78%, e che gli States non sono riusciti a liquidare come i loro alleati francesi hanno fatto con Gheddafi, lasciando la Libia nella miseria di una guerra in-civile che dura da dieci anni, tra capi tribali e fazioni più o meno filo-occidentali, in attesa delle elezioni del prossimo dicembre).
All’interno, invece, il sogno americano, come raccontato perfettamente in Joker (ormai solo il fantasy a Hollywood sembra avere il coraggio di denunciare), si è infranto, prima, di fronte allo sgretolarsi delle promesse di Obama che, con il suo «Yes, we can», aveva abbindolato sia afroamericani sia europei (che, come ai tempi di JFK – ricordate la Baia dei Porci e il Vietnam? – a Berlino videro nuovamente l’imago di una specie di paladino delle libertà), e che ha preferito salvare i carnefici (ossia le banche) che non le vittime (milioni di statunitensi della classe lavoratrice) dei subprime. E poi, con il progressivo rivelarsi di quella mancanza di stato sociale – che significa anche sanità pubblica e diritto allo studio – che è esplosa nelle decine di migliaia di dollari richiesti ai pazienti ricoverati per Covid-19 e senza copertura assicurativa, dato che anche la riforma della sanità targata Obama è stato più o meno un bluff:
L’arroganza occidentale nella guerra contro il coronavirus
La pandemia ha reso ormai evidente non solamente l’inefficienza del sistema sanitario e dell’organizzazione occidentali di fronte a un’epidemia, ma anche come la nostra arroganza abbia mietuto vittime e altre ne mieterà. Prima l’incapacità di agire prontamente imparando, ad esempio, dai Sudcoreani che avevano già affrontato Sars e Mers, a livello di fast tracking ma anche di possibile cura dei malati – che erano abbandonati a morire nelle loro abitazioni o attaccati a respiratori come ultima spiaggia (mentre la disinformazione di Stato convinceva milioni di persone che Covid equivaleva a morte certa, non si facevano autopsie e il pericolo trombosi era ‘questo sconosciuto’). L’assistenza domiciliare e la medicina territoriale, ma persino un semplice monitoraggio dell’ossigenazione del sangue, quante vite avrebbero salvato? Ma l’Europa e l’Italia si erano concentrate sui voli aerei invece di approntare misure sanitarie, assumere personale medico e infermieristico, cospargersi il capo di cenere di fronte ai cittadini per aver tagliato ospedali, reparti, letti e terapie intensive. La nostra arroganza, però, non è stata scalfita dalle palesi sconfitte, o dalle diatribe tra medici e cosiddetti scienziati – tutti ignoranti, dato che il Covid-19 era un nuovo virus, ma tutti pronti a dichiarare di possedere l’unica verità: indimostrabile come una fede messianica in una nuova teocrazia farmaceutica, che ha assunto un potere emergenziale, tradottosi in spregio per le libertà civili, grazie al silenzio/assenso sollecitato dalla paura della morte. La nostra arroganza è arrivata a distinguere tra vaccini ‘buoni’ e vaccini ‘cattivi’ (dove gli unici buoni sono i nostri) e l’Ema, finanziata dalle stesse case farmaceutiche che producono i vaccini ‘buoni’, giustifica scientificamente il discrimine politico, avallando una nuova Apartheid.
Dopo aver deciso che l’Occidente è l’unico detentore della democrazia, che il nostro regime politico ed economico l’unico valido ed esportabile ovunque per il ‘bene’ degli altri popoli, adesso 800 milioni di persone – su quasi 8 miliardi – decidono quali vaccini permettono di viaggiare (o attraversare i cancelli dorati d’Europa o Stati Uniti). E non solo, siamo sempre noi che dovremmo distribuirli nel mondo con quel progetto da missionari (e su quali e quanti danni hanno fatto i missionari, ad esempio in Sudamerica, tacciamo) che abbiamo denominato Covax, e che appare sempre più non solamente fallimentare (dato che fatichiamo a salvare noi stessi e, quindi, gli altri possono aspettare) ma improntato a logiche assistenzialistiche solo per tornaconti geo-strategici (quando il Presidente Macron paventa l’intervento cinese o russo in Paesi ‘amici’ palesa solo le autentiche ragioni del ‘buonismo’ occidentale). E in tutto questo, Paesi sulla carta ricchi come l’Italia non riescono nemmeno a sviluppare un proprio vaccino (quando vi riescono Cuba o l’Iran) e, dopo un anno e mezzo, si paventa di dover fronteggiare una nuova ondata di ricoveri con chiusure, Dad e restrizioni perché non vi è la volontà di investire in scuola, trasporti e sanità. Se non si vogliono superare certe percentuali nei reparti e nelle terapie intensive, la risposta non dovrebbe essere il green pass a teatro o nelle mense (ma non sui treni pendolari o in chiesa) bensì più reparti, più posti letto, più terapie intensive, più personale. Ma ormai la democrazia occidentale ha capito che, con la scusa dell’emergenza sanitaria, può tagliare le libertà civili con maggiore facilità e minor dispendio economico che se investisse in quel sistema socio-assistenziale che, con la succitata caduta del Muro di Berlino e di un’alternativa al capitalismo, è diventato solo un orpello col quale indorare i nostri biechi interventi militari nel mondo.
Da Genova 2001 ci hanno convinti che scendere in piazza, aggregarci, lottare per i nostri ideali non ha più senso perché non si smuove nemmeno un granello di sabbia. Privarci delle residuali forme di socializzazione, ormai, sarà un gioco da ragazzi.
I talebani entrano a Kabul
Vent’anni fa gli Usa dichiararono guerra all’Afghanistan
Erano stati cittadini dell’Arabia Saudita, in maggioranza, ad attaccare Pentagono e Torri Gemelle. Bin Laden era saudita. Eppure a pagare per quell’attacco sono stati gli afghani. L’Italia, vile Belpaese che non avrebbe potuto costituzionalmente inviare truppe per dirimere una controversia internazionale, fece (come già per l’Iraq) un’operazione di restyling. Maestri nel coniare neologismi fin dai tempi di Dante, denominammo la nostra entrata in guerra contro uno Stato sovrano, che nulla ci aveva fatto, missione di ‘pace’.
Vent’anni dopo non solo non abbiamo vinto la guerra contro i talebani, o riunificato l’Afghanistan (il che, in ogni caso, non ci competeva), ma soprattutto non siamo riusciti in ben quattro lustri a convincere un popolo della bontà della nostra proposta di vita, dei valori che propugniamo per coprire la nostra arroganza militare e le nostre nefandezze economiche. I talebani entrano a Kabul senza colpo ferire, quasi come Hitler fu accolto da decine di migliaia di austriaci festanti (anche se, poi, hanno tentato di negarlo) per l’Anschluß. Qui non ci saranno fiori nei loro fucili ma la cosiddetta ‘transizione pacifica’ che sta avvenendo – mentre gli italiani si arrostiscono sulle spiagge per il Ferragosto e gli statunitensi si preoccupano solo di evacuare la loro ambasciata – lascia basiti.
“Ma naturalmente per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla” (scriveva Pier Paolo Pasolini). Non abbiamo mai compreso gli afghani perché non li abbiamo mai amati, mai rispettati, mai considerati nostri pari.
“Fools rush in where angels fear to tread”.
Alexander Pope, in An Essay on Criticism (1711). Letteralmente: gli sciocchi si precipitano là dove gli angeli temono di procedere. Ovvero: le persone superficiali, frettolose e inesperte si arrischiano laddove persone maggiormente consapevoli non oserebbero intromettersi.
Un post scriptum doveroso su Gino Strada che, da vivo, è stato una spina nel fianco per tutte le missioni di ‘pace’ del nostro esercito, votate sia da Governi di centro-destra sia di centro-sinistra (contro l’intervento in Afghanistan si pronunciò solo Rifondazione Comunista); e la cui giacchetta, ora che è morto, vogliono indossarla tutti, soprattutto tra pentastellati e pidiessini. A tutti costoro ricordiamo solo cosa disse Gino Strada quando, in Afghanistan, i servizi di sicurezza arrestarono Rahmatullah Hanefi, uno tra i dirigenti di Emergency nel Paese: «Il governo italiano (era il 2007 e il Primo Ministro era Romano Prodi, n.d.g.) dovrebbe vergognarsi di non aver fatto una dichiarazione un minuto dopo questa infamia (l’accusa che Hanefu fosse complice nel rapimento del giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, n.d.g.) portata avanti da quell’altro governo (Primo Ministro afghano era Ahmed Karzai, n.d.g.) ‘di tagliagole di agenti stranieri, che noi siamo lì a sostenere con un milione e mezzo di euro al giorno, solo per pagare i militari’ (per un totale di 8,7mld di dollari, per l’Italia, e 1.000mld di dollari per gli Usa, n.d.g.)».
E ci si chiede perché i talebani entrino a Kabul senza colpo ferire?
Consiglio teatrale (della serie perché il teatro deve solo far ‘ridere’). Enduring Freedom (ossia libertà duratura), il titolo ‘lungimirante’ della missione Usa e della coalizione in Afghanistan, è diventato una performance di Butō di Imre Thormann: per chi volesse comprendere attraverso l’arte cosa significhi davvero la guerra.
Venerdì, 20 agosto 2021
In copertina: maglietta originale di Emergency.