Sulla poetica di Lenz Fondazione
di Enrico Piergiacomi
I sognatori possono essere divisi in due specie: quelli che sono dominati dai loro sogni e quelli che dominano i loro sogni. Il primo gruppo si espone sul piano logico-cognitivo al rischio dell’alienazione e della confusione, mentre a livello etico cade nel disordine e nella delusione. Abbacinati da una falsa visione che li trascina fuori dalla realtà, o mossi da un ideale impossibile che assorbe le loro energie, i sognatori-dominati sono in una condizione di perenne frustrazione e non riescono più a dividere la realtà dalla finzione, il sogno dai fatti. Quando poi le loro illusioni si rivelano tali, l’incanto che li aveva animati all’inizio e per cui erano pronti persino a morire lascia spazio a una stanchezza irrimediabile. Il mondo da cui volevano fuggire torna a essere grigio o spento nella sua cruda prepotenza.
Il secondo gruppo di sognatori mostra invece le caratteristiche contrarie a quelle appena descritte. Le persone che appartengono alla categoria sanno distinguere il sogno dalla veglia, oppure – se riscontrano che i confini tra i due piani sono labili – si muovono con prudenza, valutando se le loro azioni avranno un impatto sulla realtà, sull’immaginazione, o su entrambe. Questo atteggiamento si ripercuote anche sulla dimensione morale. I sognatori che dominano i loro sogni sono messi al riparo dalla frustrazione. Poiché infatti sanno che ciò che sognano o immaginano non ha un esatto corrispettivo reale, riescono a preservarne la purezza e, allo stesso tempo, a evitare che le visioni vengano spazzate via dalle esperienze brutali della veglia. Le azioni di questi sognatori restano poi bizzarre o caotiche, ma in un senso stavolta costruttivo. Essi si muovono nel reale cercando di modificarlo e, per quanto è possibile, si sforzano di assimilarlo all’ideale. In altri termini, provano a far sì che ciò che viene immaginato divenga realtà e che gli oggetti della normale esperienza si trasfigurino in qualcosa di più bello.
Le due grandi specie di sognatori vanno considerate certo due astrazioni forse valide solo in generale. Le sfumature sono innumerevoli e, se ci fosse il tempo di dividere in modo più fine, troveremmo all’interno dei due gruppi molte sotto-categorie, ciascuna con i suoi pregi e le sue debolezze. Inoltre, non può essere escluso un processo di transizione. Un sognatore della prima specie può imparare a dominare i suoi sogni, ossia a orientarli-controllarli, dopo esserne stato a lungo un burattino inconsapevole. Per converso, il sognatore della seconda specie può perdere il controllo delle proprie visioni e regredire alla mera fantasticheria. Credo che il personaggio di Sigismondo de La vita è sogno di Pedro Calderón de la Barca sia un perfetto esemplare di sognatore che passa dall’imprudenza alla prudenza, dalla condizione di dominato dai sogni a quella di loro saggio dominatore. Quando pronuncia la battuta che si deve «agire bene» sia nel reale che nel sogno («se è realtà, perché lo è; se no, per conquistare amici per il momento del risveglio»), egli intende forse dire che occorre usare un sano scetticismo verso il contenuto delle proprie visioni. Se sono autentiche, bisogna continuare a coltivarle con moderazione e intelligenza, nello specifico occorre applicarle nella veglia senza alcun pericoloso fanatismo. Se si scopre che le visioni sono false e irrealizzabili, si deve invece abbandonarle e lasciarsi attraversare da altre visioni più utili, interessanti, concrete.
Se volessi d’altro canto ipotizzare a quale gruppo vada ricondotto Lenz Fondazione, non esiterei ad ascrivere il collettivo al secondo. Mi pare infatti che la loro attività estetica vada nella direzione aperta da Calderón, e non semplicemente perché la loro attenzione si sia appunto concentrata su La vita è sogno. L’interesse per questo testo è sintomo e non conseguenza di una profonda affinità di visione/intenti con questo drammaturgo. Semmai la motivazione è che il loro teatro è in generale un tentativo di dominare una visione, in altri termini di accrescerne il mistero e insieme di renderla comprensibile alla mente degli spettatori. Lenz Fondazione non evoca sogni confusi, ma immagini che cadano sotto il pieno controllo del pensiero. Se si volesse dare un’analogia esplicativa, potremmo avvicinare il collettivo agli scienziati del Theatrum Anatomicum dell’età moderna. Come questi ultimi sezionano e sviscerano il cadavere di un animale davanti a un consesso di studiosi per coglierne l’essenza, così Lenz sminuzza e scompone davanti agli spettatori la fisionomia di una visione per comprenderne gli intimi segreti. Abbiamo in tal senso l’anatomia di un sogno: un sogno che è sondato in ogni particolare e misurato nelle sue fibre minute.
In questo caso, la visione che viene sezionata/sviscerata ne La vita è sogno – lavoro di Lenz che chiude il progetto quadriennale Il passato imminente – è la vita dello stesso Sigismondo, che si sovrappone alla rappresentazione degli ultimi giorni dell’esistenza del Cristo crocifisso, secondo il racconto del Vangelo di Giovanni. La fisionomia di questo personaggio ha i contorni dell’enigma, rasenta anzi la contraddizione. Non pare infatti esservi alcuna somiglianza tra Sigismondo, destinato dalle stelle a condurre un’esistenza infame, e Cristo, il quale di contro conduce la vita più vicina alla perfezione e a Dio. La sovrapposizione viene però motivata dal fatto che sia l’uno che l’altro possono rovesciarsi nel loro contrario e, soprattutto, hanno il potere di vincere il peso del fato. Sigismondo attinge, al termine di La vita è sogno, a una forza più potente delle stelle che avevano apparentemente presagito la sua infamia e diventa un sovrano illuminato. Cristo si incarna invece in un essere imperfetto, mortale, violento e disperato, tanto che il Padre sembra non riconoscerlo più e quasi lo abbandona, ma l’incarnazione ha lo scopo di redimere l’umanità dal fato del peccato. Entrambi sono dei ʻpuri neutri’: assumono molte qualità, perché non ne hanno nessuna.
La contraddizione non è così un difetto, ma un segno della trascendenza di Sigismondo/Cristo. Poiché entrambi sono buoni e cattivi, liberi e schiavi, sognatori e lucidi, essi in realtà sono aldilà di queste categorie e ottengono uno statuto del tutto eccezionale. Simili caratteri sono manifestati anche dal personaggio di Rosaura, che nel corso de La vita è sogno diventa donna, uomo e androgino. Ella partecipa prima di seduzione femminile, poi di violenza e animosità maschile, infine di una terza natura ibrida. Sigismondo, Cristo e Rosaura sono allora concretizzazioni del sogno. Sono caotici e in perenne mutamento come la visione onirica.
Ora, tutte le polarità opposte incarnate dai personaggi di Calderón e dal Vangelo di Giovanni diventano, sotto il bisturi del Theatrum Anatomicum di Lenz Fondazione, la materia per una creazione che delimita il caos, che concentra un abisso di problemi insolubili nel nitore della forma compiuta. In questo consiste, a conti fatti, il felice concetto di imagoturgia. Le visioni confuse dei sogni sono dominate proiettandole nell’azione e nello spazio scenico, trasformandole da astrazioni in enti tangibili, che ci riguardano e ci interrogano da vicino.
Valgano due esempi. Il primo è la questione del libero arbitrio. L’idea che Sigismondo piega alla sua volontà le leggi del fato sembra essere a prima vista un assurdo. La fatalità dovrebbe a rigore essere inesorabile: è qualcosa a cui si deve soccombere, a prescindere dai nostri sforzi di sfuggirvi. Spesso anzi accade l’esatto contrario: quanto più ci allontaniamo dal nostro destino, tanto più lo inseguiamo e vi precipitiamo a corpo morto. Come fa allora Sigismondo a evitare ciò che dovrebbe essere inevitabile? Lenz Fondazione ci aiuta a supporre, vivisezionando le azioni e l’anima del personaggio, che forse è necessaria una distinzione. Il fato opera sui corpi, sulla materia che agisce in conformità alle leggi delle successione e della previsione causale. Sulle sostanze invece più sottili, tra cui i sogni, la fatalità non ha presa e viene spodestata dal suo ruolo di padrona. Anche se le stelle risvegliano dei violenti istinti nel corpo di Sigismondo, la sua volontà non è intaccata. Il suo convincimento che la sua intera esistenza è forse una proiezione onirica lo fa agire su un piano di realtà del tutto indipendente da quello materiale. L’ipotesi è insomma che esistano non uno, bensì due Sigismondi: quello del corpo o della veglia e quello della mente o del sogno, che si sovrappongono ma restano al tempo stesso irrelati. Ci sono due ʻdoppi’ sovrapposti che obbediscono a leggi, principi, logiche ben differenti.
Il secondo esempio riguarda invece la sovrapposizione de La vita è sogno col Vangelo di Giovanni. Da qui sono presentati due enigmi in movimento: la divinità di Cristo manifestata da un corpo sensibile/sofferente e la corsa di due gemelli, ossia Nascita e Morte. L’uno è enigmatico perché il divino in sé dovrebbe al contrario trasudare potenza e saggezza, l’altro perché nascere e morire sono eventi che hanno luogo nel vivente a grandissima distanza di tempo. Lenz Fondazione dunque ʻsogna’, quando propone che in realtà c’è un’unità segreta tra questi caratteri così diversi. La potenza e la saggezza del Cristo diventano effettivi proprio a causa degli impedimenti della carne mortale. Esse dimostrano di poter realizzare la loro funzione persino dove non sembra dimorare niente di saggio o potente. Nascita e Morte vengono invece mostrato come gemelli perché, a ben vedere, il loro apparire avviene in simultanea. Il bambino appena nato inizia il processo che lo porterà a morire tra molti anni, o nei casi più tragici tra qualche giorno. Il morto forse accede a un’altra vita, o quanto meno vive nei ricordi di chi lo ha conosciuto e delle persone che lo hanno amato.
Da qui deriva il gioco di moltiplicazione delle visioni a cui Lenz Fondazione ricorre spesso nelle sue creazioni. La scena permette di cogliere sia nei personaggi di Calderón che in quelli del Vangelo di Giovanni – e negli attori sensibili che ne incarnano il mistero – si nasconda una pluralità di individui. Sigismondo/Cristo è uno e insieme trino: una maschera in cui convivono senza contraddizione la bestia, l’uomo libero e il Dio che vince il fato che incatena i corpi al peccato.
In un senso ampio, credo si possa anche cogliere che il Theatrum Anatomicum di Lenz Fondazione dimostra che il teatro è una forma di sapere che non ha nulla da invidiare alla scienza. Solo i loro oggetti mutano. Se la scienza studia i corpi e le leggi fatali che dirigono il divenire, teatro e poesia sottolineano quali forze trascendono la corporeità, vale a dire quali componenti della nostra personalità sono davvero libere. La capacità di immaginare/sognare è quella che forse tradisce il maggior grado di libertà e manifesta un’azione persino più potente del divino.
Resta beninteso una differenza fondamentale. Il Theatrum Anatomicum di età moderna lavorava su cose morte e che gravavano con pesantezza sul tavolo di laboratorio. Lenz Fondazione in particolare e il teatro in generale dissezionano invece entità vive, pulsanti e leggere, dalle quali ci possiamo attendere azioni meravigliose e imprevedibili.
Venerdì, 30 luglio 2021
In copertina: Lenz Fondazione, La vita è sogno. Foto ©Maria Federica Maestri (tutti i diritti riservati, vietata la produzione).