Inaugurazione Museo Popolare Gïåk Vёrdün, edizione 2021
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Vent’anni fa, alle giornate del Genoa Social Forum, partecipò anche Giacomo Verde con il suo Artivismo, perché nella sua ricerca umana e ideale, teoria e prassi, politica e arti si coniugavano in azioni e scelte concrete, scomode e sempre coerenti. E a testimonianza di quelle giornate, resta il documentario videopoetico di Giac+Lello Voce:
In questi stessi giorni, nel 2021, si inaugura il Museo Popolare intitolato a Gïåk Vёrdün – personaggio poetico che immaginerete voi stessi da quale mente scaturì qualche anno fa.
Il Museo è costituito da una serie di installazioni, performance, opere e azioni artivistiche, incontri e sollecitazioni al dialogo e alla mobilitazione (anche grazie a un’assemblea che si vorrebbe permanente) in puro stile ‘r(Ǝ)o dadaista’, e nasce per difendere una parte della pineta di Levante, a Viareggio, dal progetto dell’Asse di Penetrazione – termine che, come ha fatto notare uno tra gli ideatori del Museo, Alessandro Giannetti del Collettivo Dada Boom, «suona pure maschilista» e, a noi, ricorda Gadda quando descriveva il ‘mascellone’, ossia il: “Marco Aurelio ipocalcico dalle gambe a ìcchese: autoerotomane affetto da violenza ereditaria” che confondeva i propri scopi con il bene pubblico: “sporca e bugiarda equazione: io sono la Patria: e l’altra io sono il Pòppolo”.
Ma cos’è questo Asse di Penetrazione e perché opporvisi?
Mentre le popolazioni di Germania, Belgio e Olanda pagano a caro prezzo il cambiamento climatico proprio in queste settimane e, a Genova, si torna a parlare delle medesime istanze schiacciate dalla “tracotanza villana” nel 2001 – non del succitato Marco Aurelio ma del detentore di turno del potere; e il green si fa moda concretizzandosi in milioni di euro stanziati attraverso il PNRR (in parte anche per favorire il settore edile e le ristrutturazioni col superbonus), una minuscola comunità si interroga se sia giusto abbattere qualche centinaio di alberi e trasformare una parte della pineta (e della Riserva della Lecciona) da bene comune – che potrebbe anche essere meglio salvaguardato e maggiormente curato – a mera striscia d’asfalto per trasportare con maggiore rapidità, su gomma, gli yacht della cantieristica viareggina verso l’autostrada e l’Aurelia, servendosi anche (come farebbe notare la Confindustria locale, secondo i mezzi stampa) dei benefici del PNRR.
E a questo punto occorre fermarsi e fare un bel respiro perché qualcosa non torna.
Se il PNRR deve “rispondere alla sfida della decarbonizzazione lanciata dall’Unione Europea con le strategie connesse allo European Green Deal” (fonte filodiritto.com) perché dovrebbe stanziare fondi per il trasporto su gomma – oltretutto di pachidermi come le imbarcazioni oltre i 30 metri?
E se il settore della nautica toscana è così in buona salute (ma, a leggere bene la dichiarazione del caposezione del gruppo costituito in Confindustria Toscana Nord, Gabriele Chelini “Ci spinge un ottimismo elevato legato al possibile sviluppo degli ordini dall’estero, che compensano e superano la riduzione di ordini interni”, la salute pare più una speranza che un dato di fatto), come mai la Perini Navi, leader nel settore degli yacht a vela, proprio di grandi dimensioni, ha portato i libri in Tribunale dichiarando fallimento?
Incontriamo Alessandro Giannetti, di Dada Boom, e Murat Önol, del Collettivo Superazione
Sabato, 17 luglio, Pineta di Levante a Viareggio. Si stanno completando gli ultimi preparativi per l’inaugurazione del Museo Popolare ed è Alessandro Giannetti che inizia a parlare raccontando come è nata l’idea di riappropriarsi di questo spazio, come comunità, in maniera artivistica: «L’idea del Museo venne a Giacomo [Verde, n.d.g.] in occasione di una mostra che il collettivo Superazione stava tenendo presso l’Officina Dada Boom, sede del nostro collettivo. Nell’ambito di questa mostra, intitolata OSO – Opera Senza Opera – sulla performance e sull’artivismo, Giacomo pensò a un proprio intervento venendo qui e lanciando l’idea di un Museo all’aria aperta per salvare questa pineta dal progetto speculativo dell’Asse di Penetrazione – molto invasivo e che obbligherebbe a tagliare circa un migliaio di alberi».
È Murat Önol a proseguire nel racconto: «Si parla di una striscia d’asfalto larga 16 metri ma alcuni affermano ne occuperà anche una ventina. L’idea del Museo nacque in maniera spontanea, nel 2018, e da allora si è sviluppata».
Alessandro Giannetti: «Quando Giacomo ebbe quest’idea noi, del Collettivo Dada Boom, decidemmo di attivarci per coinvolgere quanti più artisti possibili. Già dalla prima edizione, fu un progetto molto partecipato e da allora abbiamo continuato a svilupparlo non solamente per quanto riguarda la salvaguardia paesaggistica ma anche in merito alle tematiche sociali. Abbiamo cercato di creare un movimento, un’assemblea di gestione del Museo allargandola, dai due collettivi dell’inizio, Dada Boom e Superazione, a tutti i / e tutte le partecipanti all’iniziativa. Alla morte di Giacomo abbiamo poi deciso di intitolare il Museo stesso a Gïåk Vёrdün, come gli avevamo promesso, a un personaggio di Giacomo, un ‘mitico’ poeta scandinavo del quale leggeremo anche alcune poesie durante l’inaugurazione di oggi».
A questo punto sorge spontaneo domandarsi come abbia reagito in questi anni la popolazione viareggina, di cui una parte lamenta la presenza di tossicodipendenti e l’incuria in cui è lasciata la pineta. È ancora Giannetti a risponderci: «La città è divisa rispetto all’Asse di penetrazione e devo ammettere che la propaganda del cemento abbaglia molti. Noto, però, che nel corso degli anni non tanto la battaglia ‘contro’ l’Asse quanto la battaglia ‘pro’ – per un sì alla pineta, sì al bene comune, sì alla salute – sta ottenendo sempre più consensi…» Murat Önol [si inserisce nella conversazione, n.d.g.]: «…e va anche detto che questa è una pineta vissuta dai viareggini, ed è un passaggio tra la città e il mare. La questione della tossicodipendenza è una mistificazione. Negli ultimi anni, ad esempio, sono stati tolti i tavoli dalla pineta dove i cittadini venivano a fare i picnic estivi. Ovviamente le persone continuano a venire, però sono costrette a portare da casa tavolini e sedie. Dopodiché dire no alla cementificazione non significa nascondere i problemi di manutenzione del parco che andrebbero, al contrario, affrontati. Ma certamente la problematica della tossicodipendenza non si risolve costruendo una strada!» e chiude Giannetti: «Quello che abbiamo notato è che vivendo i luoghi, vivendoli in maniera positiva e creativa, lontani dal traffico e anche dal consumismo, si possono recuperare – e alcune problematiche, come il degrado, possono essere superate proprio dall’esserci, tutti insieme. Ciò che ci preoccupa è la volontà di ridurre i confini del parco, sono le carenze nella gestione del verde pubblico, i tagli che sono stati già programmati dalla presente amministrazione e che dovrebbero iniziare a fine agosto – mentre la città sarà ancora distratta dal periodo vacanziero – e, soprattutto, come vogliamo immaginare il nostro futuro».
Murat Önol torna alla parola immaginazione, quell’immaginazione al potere di Herbert Marcuse che animò il ʻ68 e che occorrerebbe rispolverare se si vuole uscire dal pantano nel quale ci stiamo dibattendo perché se non si sfrutta il momento attuale di crisi che potrebbe inceppare la macchina capitalistica, oggi, quando sarà possibile inventare un altro modo di vivere, non soggetto solamente (per tempi, modi e bisogni) alle esigenze dell’attuale sistema economico e geopolitico? «È una questione di desiderio e immaginazione. Bisogna, innanzi tutto, chiedersi cosa vogliamo fare di questo spazio e, nel caso si voglia mantenere a Parco, dobbiamo immaginare quali azioni potrebbero essere necessarie per il suo mantenimento. L’immaginazione serve per creare azioni anche performative superando la limitatezza dei mezzi a nostra disposizione. La povertà dei mezzi non deve essere di ostacolo alla creazione».
Non solo l’Asse di Penetrazione
Un altro problema sembrerebbe essere quello della ciclovia tirrenica, che si vorrebbe far passare proprio a ridosso delle dune (https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/ciclovia-tirrenica-a-viareggio-si-grazie-purche-passi-dal-viale-dei-tigli/9), compromettendo il delicato ecosistema della Riserva Naturale della Lecciona. Come spiega Giannetti: «Noi vogliamo assolutamente la ciclovia, oltre alla fruizione della città di Viareggio in bicicletta e non in auto, ma facendo passare la stessa sul viale dei Tigli – che è il percorso naturale già presente. A proposito, è nato il Coordinamento La Lecciona non si tocca e il prossimo 4 settembre anche noi, dell’assemblea di gestione del Museo Popolare, appoggeremo la manifestazione per la salvaguardia dell’oasi naturalistica». È Murat Önol a proseguire: «Il problema non è solamente la ciclovia ma tutto il cemento che si porta dietro. Se si costruiscono strade, poi bisogna corredarle con bar, locali e altre attività commerciali e finiremmo, ancora una volta, per occupare uno spazio naturale» e Giannetti chiude: «Si vuole distruggere l’ultima area verde dell’intera Versilia – che va detto è completamente urbanizzata da Viareggio fino a Marina di Carrara. Questo è un pesante attacco contro un’oasi naturale, un tentativo di colonizzare l’ultimo tratto di spiaggia ancora selvaggio, l’ennesima azione che comporta il consumo del suolo e dell’ambiente in virtù di un’economia che non porta mai a una redistribuzione della ricchezza equa tra i lavoratori. In parole povere, se i ricchi vogliono uno yacht da 60 metri e per averlo dobbiamo sacrificare la pineta, che è un bene collettivo, io dico che i ricchi possono accontentarsi degli yacht da 30 o 50 metri… Dovrebbe contare di più la comunità del singolo!».
Da Genova 2001 a Viareggio 2021: artivismo e glocale non sono binari morti
L’ultimo pensiero va a Giacomo Verde, che ebbe l’idea di questo Museo, di questa battaglia artivistica ed è Giannetti ad accennarvi: «Ho conosciuto Giacomo dopo il G8 di Genova e una piccola parte del suo lavoro artistico, innamorandomene da subito. Dopo alcuni anni l’ho ritrovato come insegnante all’Accademia di Belle Arti di Carrara dove, devo ammettere, non ero un granché come studente. In breve tempo ho deciso di tornare a Viareggio e dedicarmi all’artivismo senza sapere esattamente cosa fosse. Così sono nati, prima, l’Officina e, poi, il Collettivo Dada Boom. A un certo punto lo chiamai per mostrargli quanto avevo in mente e lui decise di entrare immediatamente nel collettivo. È stata una bellissima esperienza perché un professore che sistemavo e amavo molto si metteva al mio stesso livello: non c’erano più insegnanti né allievi, eravamo fratelli, compagni e insieme abbiamo fatto un bel tratto di strada anche con il Collettivo Superazione, al quale Giacomo apparteneva…» e qui interviene Murat Önol: «Noi ci siamo conosciuti tramite Barbara Fluvi, che fa parte di Superazione. A quel tempo volevamo creare un collettivo che lavorasse sulla performance e con Giacomo abbiamo organizzato alcuni festival sulla performance in Toscana. Dopo un po’ è iniziata anche la nostra collaborazione con Dada Boom in quanto la performance è un’espressione artistica che non riscuote grandi apprezzamenti e, spesso, avevamo difficoltà a ottenere i permessi per le nostre azioni artistiche. Giacomo era il nostro punto di collegamento ma soprattutto un artista che ci ha permesso di mettere in discussione tutto ciò che è accaduto e sta accadendo nel mondo dell’arte da vent’anni a questa parte, svelandoci i rapporti di forza e anche la progressiva mercificazione dell’arte stessa. Purtroppo, le idee che avevano portato avanti anche artisti importanti venti o trent’anni fa sono scomparse e l’economia è entrata pesantemente nel gioco, snaturandolo. Vorrei aggiungere che è stato Giacomo a insegnarci che anche con pochi mezzi si può creare – basta usare il cervello e si trovano soluzioni creative».
L’artivismo, questo connubio – mai forzato ma intrinseco all’azione artistica e alla sua ideazione – tra politica e arte, tra azione e rivoluzione, è approfondito da Giannetti: «Io non provengo dal mondo dell’arte bensì della militanza e delle contestazioni ed è stato Giacomo a farmi comprendere come il binomio arte e vita sia esso stesso un’azione politica. È difficile catalogare Giacomo perché ha operato in campi molto diversi, dalla videoarte al teatro, e però ha saputo esprimere una sua poetica artivistica anche quando utilizzava le tecnologie in maniera funzionale. Forse uno dei suoi obiettivi era arrivare a un’arte ecologica e noi cerchiamo tutt’oggi di sviluppare tale concetto, nel senso di un’arte vivente». Chiude Murat Önol: «Perché alla base e nel fine c’è sempre l’idea del laboratorio. Anche se abbiamo dei punti fermi a livello ideologico, la ricerca non si fermerà mai».
Per chi volesse approfondire il pensiero e l’azione artivistica di Giacomo Verde, consigliamo il primo numero della Rivista dell’Università degli Studi di Milano, Connessioni Remote:
https://riviste.unimi.it/index.php/connessioniremote/issue/view/1557/PDF%20Fascicolo%20completo
e il numero di 93%. Materiali per una politica non verbale del 17 giugno 2020:
https://novantatrepercento.it/category/17-giugno-2020/
Venerdì, 23 luglio 2021
In copertina: Una tra le opere esposte nel Museo Popolare, edizione 2021 (Foto di Luciano Uggè).