Chi rompe non paga
di Francesco Chiaro
Lo Stato greco continua a coprire le azioni violente della polizia nazionale, anche nei confronti dei giornalisti e nonostante le sentenze giudiziarie contro di esso
Giugno 2011. Piazza Syntagma, Atene. Dalle finestre del Parlamento Ellenico, che si affaccia su quel grande spazio aperto nel cuore di una città di afa e cemento, il grigiore della strada sparisce sotto i volti, i corpi e le mani di tutte le persone presenti all’ennesima manifestazione contro il Governo per la malamministrazione responsabile della crisi economia che infuria ormai da ben due anni e non accenna a placarsi (a febbraio 2011, la disoccupazione aveva raggiunto un clamoroso 40,4% per i giovani tra i 15 e i 24 anni e si iniziava a parlare per la prima volta della poi famigerata Troika).
Tra quei corpi – persone di ogni età, estrazione sociale e credo religioso – quel giorno, c’era anche lui, Manolis Kypreos, oggi ex corrispondente di guerra ed ex giornalista greco, ma all’epoca ancora attivo presso diverse testate nazionali. Doveva essere una normale giornata di lavoro, per Manolis, il quale, armato di cartellino stampa e taccuino, si faceva largo già da diverse ore tra i manifestanti, osservando e annotando tutto. Ma presto le cose sarebbero cambiate e non solo per lui. All’ennesima manifestazione di scontento nazionale, la Polizia greca, infatti, avrebbe risposto con un’ennesima repressione violenta, questa volta, però, aggiungendo al mix di gas lacrimogeni e manganellate, anche qualche granata stordente, proprio in direzione del giornalista. Dopo un trasferimento d’urgenza al pronto soccorso più vicino, Kypreos dovette sottoporsi a due interventi chirurgici per installare un impianto che serviva a restituire, seppure in parte, il senso dell’udito a una persona oramai completamente sorda.
Giugno 2021. Sempre Atene. È fresco di poche ore il ricorso in appello dello Stato greco alla sentenza di colpevolezza in primo grado del tribunale ellenico nei confronti della polizia per i fatti di quei giorni di dieci anni prima (sentenza del maggio 2020). Manolis Kypreos, da 9 anni impegnato in una lotta contro il governo per ottenere un risarcimento per i danni fisici e psicologici subiti quel giorno di proteste spentesi nel boato accecante di un lampo artificiale (danni che hanno sancito anche la fine della sua carriera professionale), commenta così, sul suo account Twitter, l’ennesimo tentativo di copertura da parte dello Stato di una realtà oramai conclamata di brutalità poliziesca sistemica: «Che si vergogni la @poliziagreca per quello che ha scritto nel suo ricorso in appello. E voi politici, @chrisochoidis [Ministro per la Protezione dei cittadini, n.d.g.] e @PrimoministroGR, che parlate di diritti umani e poi strumentalizzate la disabilità e vi nascondete dietro la crisi economica, dovreste vergognarvi ancora di più. Quanto più in basso potete ancora cadere? #Vergogna_ELAS [la Polizia di Stato greca, n.d.g.]».
Tra le argomentazioni del ricorso in appello, difatti, spunta, tra le altre più ʻcanoniche’, la pessima situazione economica in cui versa il Paese e il conseguente debito pubblico che pare essere assunto qui a scusante per non risarcire i danni al giornalista, ma anche, in modo forse più clamoroso, il fatto che il signor Kypreos abbia ormai recuperato gran parte del suo udito e possa quindi riprendere a esercitare la propria professione, nonché a godersi la propria vita sociale e personale. Urge ricordare che quel giorno di giugno di dieci anni fa, nonostante Manolis Kypreos avesse mostrato il proprio tesserino stampa, venne comunque aggredito dalle forze antisommossa che stavano reprimendo la manifestazione, prima di essere privato in un attimo dell’udito e del futuro più prossimo.
Adesso, aiutato anche dalla campagna internazionale lanciata da Amnesty International per il suo caso, l’ex-giornalista greco ha lanciato un’ulteriore campagna di raccolta fondi per poter sostenere le ingenti spese legali e continuare così la sua lotta per ottenere giustizia, quella stessa giustizia che altri professionisti dell’informazione del Paese hanno ottenuto, sempre a fatica, per le violenze poliziesche subite durante quel periodo di crisi economica che continua a estendere la propria ombra lunga sulla Grecia di oggi.
Venerdì, 9 luglio 2021
In copertina: La Giustizia deve essere cieca/L’Informazione deve essere muta? Scatto ripreso da un tweet di Amnesty International.