Intervista a Cecilia Bertoni, artista interdisciplinare
di Simona Maria Frigerio
photogallery a cura di Lucia Mazzilli
Cecilia Bertoni ha due anime. La prima, che indagheremo qui, sulle pagine virtuali di InTheNet, è quella creativa, di artista che intesse (e mai termine fu più adatto a descrivere il lavoro di un’artista) linguaggi e media diversi. La seconda è quella ideativa (su https://teatro.persinsala.it), che la vede alla direzione artistica dell’Associazione Culturale Dello Scompiglio dove, nello Spazio Performatico, si incontrano artisti delle più diverse discipline tesi a creare connubi di senso, a solo una decina di chilometri di distanza dalle impenetrabili Mura di Lucca. Città-baluardo di eventi spot e di una tradizione ormai isterilita, che non riesce a trovare la strada per un sano e vitale confronto con la contemporaneità attraverso il dialogo e la proposta di artisti ‘glocali’, ma continua a rimestare tra ricordi pucciniani e manifestazioni bulimiche che, forse, faranno felici i commercianti, ma non creano l’humus adatto a una vera crescita culturale.
Per sperimentare, quindi, qualcosa di nuovo, dal punto di vista creativo, occorre per forza spostarsi, immergendosi nella natura della Tenuta dello Scompiglio, dove Cecilia Bertoni e i suoi collaboratori non solamente sperimentano forme di ibridazione interdisciplinare ma ospitano anche azioni performative, installazioni, progetti residenziali e appuntamenti musicali, oltre ad attività laboratoriali e spettacoli per bambini e ragazzi.
L’ultimo lavoro performativo firmato da Cecilia Bertoni è stato On the corner – una performance itinerante in tre atti a cui abbiamo assistito nel 2020, durante una ripresa, e che, pur nascendo prima della pandemia, rimandava a un senso di costrizione che abbiamo effettivamente vissuto per mesi a causa dei successivi lockdown. All’artista chiediamo, quindi, a cosa si sia ispirata: «On the corner nasceva nell’ambito del bando Della morte e del morire e il lavoro era distinto in tre parti – la prima nella Casa del Bambù, la seconda nella Casa del Pastore, con un intermezzo tra le due. Nella seconda parte mi sono ispirata a un fatto personale, ossia all’avere un corpo che provoca molto dolore. Nel video ho voluto mostrare come il dolore restringa lo spazio e come la morte, alle volte, possa trasformarsi in una liberazione. Questa esperienza penso l’abbiano vissuta in molti e, a me, è accaduto con mia madre. Quando si è vicini alla morte l’individuo che sta per morire, da un lato, mantiene un côté pratico: cerca di sopravvivere sebbene lo spazio si riduca perché si riduce la possibilità per la persona di muoversi; ma dall’altro, il medesimo individuo si sta già preparando alla morte – comunque la si concepisca. Più questo lato dell’individuo, che potremmo definire etereo, si approssima alla morte e la persona si abitua all’idea, più la situazione diventa incomunicabile nei confronti di chi rimane: ecco perché (nella Casa del Bambù) abbiamo scelto l’immagine della porta di vetro che si chiude, mentre si apre quella sul retro – su un altrove. Tra queste due situazioni vi era un intermezzo costituito dal tavolo dove si giocava a bingo, che rimandava all’arbitrarietà – o meno – della morte, a questo gioco in cui chi vince muore ma, forse, era tutto già deciso…».
Bertoni in questi anni ha altresì indagato il tema della stanza chiusa. Se nelle prime quattro creazioni – ideate con Claire Guerrier – la sensazione (nel visitarle) era di entrare nella psiche di un individuo, scoprirne passioni e angosce attraverso una serie di oggetti che ne descrivevano la personalità, i gusti, gli interessi e persino le paure recondite o i sogni pindarici, in Diamanti Camera #5 (https://artegrafica.persinsala.it/diamanti-camera-5/12145), la prima installazione totalmente ideata da Bertoni, emerge un connotato ancora più intimo, dato che pare espressione anche filosofica di una personale visione della vita e della morte – quasi orientale – riconciliata con la ciclicità della natura e i suoi ritmi, dove (scrivevo allora): “Il corridoio bianco candido che ci conduce all’interno dell’installazione può rimandare sia alla morte, per la sua assolutezza e perché colore legato al lutto in molte parti del mondo… sia alla rinascita quale letterale venire alla luce – e il corridoio sarebbe un cordone ombelicale”. È ancora Bertoni a raccontare questo percorso: «Come artista non amo tanto spiegare le mie creazioni perché il visitatore potrebbe aver vissuto qualcosa di totalmente diverso dalle mie intenzioni – sensazioni che appartengono solamente a lui o a lei più che a me. In ogni caso, si entra in Camera #5 attraverso un tunnel che, per me, rappresenta la nascita in quanto non credo si possa parlare della morte senza collegarla alla vita. Tutto fa parte di un ciclo e poi, a seconda di ciò che uno crede o meno, lo stesso ciclo può continuare: chissà cosa c’è oltre? E forse da questo ‘oltre’ si ritorna. Indubbiamente, se c’è un argomento con il quale ho un buon rapporto è la morte. Certamente può essere un evento drammatico come uno muore però la morte in sé è qualcosa di naturale. Anche quando ho vissuto la morte di persone che conoscevo ho trovato, sì, che nella separazione ci fosse il dramma e la sofferenza in quelli che restavano, ma l’atto di morire in sé, la sua preparazione – soprattutto se la persona non ha paura di questo ‘passaggio’ – contiene una sua poesia. Per quanto riguarda le Camere in generale, le prime quattro sono state ideate con Claire Guerrier, con la quale avevo lavorato anche come performer, e la prima ad avere avuto l’idea di affrontare tale tematica è stata proprio lei. Da quel momento è nata in entrambe una sorta di passione. La motivazione non era filosofica o trascendentale ma ci piaceva l’idea di trasformare uno spazio partendo dalla constatazione che, anche nella nostra vita quotidiana, quando entriamo nella camera di qualcuno percepiamo varie caratteristiche della persona che la vive – sia dal punto di vista psicologico sia filosofico. Il mondo in una stanza, direi in breve. Inoltre più è intima la stanza che ci accoglie e più avremo un’immagine veritiera dell’individuo».
Ma lo Scompiglio è anche uno spazio dove sono ospitate artiste internazionali di grande spessore. Ricordiamo, ad esempio, la personale del 2017 di Teresa Margolles, Sobre la sangre (https://artegrafica.persinsala.it/cecilia-bertoni-e-claire-guerrier-camera-4-il-naufragio-teresa-margolles-sobre-la-sangre/10497), denuncia veemente della violenza di genere dove l’odore del sangue delle dieci donne trucidate a La Paz si sublima nei meravigliosi ricami (segno di resilienza e bellezza, nonostante tutto) di sette artigiane dell’etnia Aymara. Oppure pensiamo a Chiharu Shiota (https://artegrafica.persinsala.it/sisters-of-hera-dentrofuori-camera-3-a-long-day/9179), che ha rappresentato il Giappone alla LVI edizione della Biennale di Venezia e che, allo Scompiglio , ha ‘intessuto’ (come scrivevo, il termine ha qualcosa di intrinsecamente connesso con la creatività di Cecilia Bertoni e degli artisti ospiti), A long day, un’installazione site-specific nella quale rilevavo: “Le parole, i pensieri, le emozioni che ognuno di noi vive nella propria quotidianità si perdono come lacrime nella pioggia, eppure quel filo che trattiene e insieme permette il volo di ogni singolo foglio rimanda, al contrario, a una continuum, a una relazione ancora possibile, attraverso la trasmissione orale o scritta, il cunto, la fabula”. Com’è riuscita, Cecilia Bertoni, a creare un milieu artistico-culturale di questo livello in un borgo come Vorno? «Purtroppo non saprei come rispondere a questa domanda! Noi proponiamo artiste e artisti in cui crediamo e, ovviamente, speriamo che siano visti. Devo dire che accade spesso una cosa abbastanza strana: ci sono molte persone che ci scrivono per farci i complimenti, dicendoci che hanno sentito parlare benissimo di noi e delle nostre proposte. Ma quando gli chiediamo se siano mai venuti, la risposta è negativa! Lo Scompiglio è uno spazio con una capacità ridotta perché, altrimenti, se ne devasterebbe l’ambiente, soprattutto naturale – che ci circonda e che lo ospita. Anche lo Spazio espositivo e quello Performatico sono abbastanza ridotti ma credo che andrebbe rivalutata proprio questa dimensione più intima. Invece di favorire sempre i grandi eventi, i grandi spazi, i grandi numeri, puntare su tanti luoghi più intimi e con una programmazione e un’offerta particolari».
E adesso lasciamo l’animo creativo di Cecilia Bertoni per dedicarci ai prossimi progetti della Tenuta dello Scompiglio, ovviamente su https://teatro.persinsala.it.
Venerdì, 2 luglio 2021
In copertina: Cecilia Bertoni, foto di Claire Guerrier (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa della Tenuta dello Scompiglio).