Grande Soirée per le ʻpreziose’ di Lucca
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Mutuiamo il sottotitolo del pezzo da uno tra i capolavori di Molière, citato anche nel bel testo (dall’esattezza mai pedante ma puntuale) di Francesco Niccolini poiché molte sono le analogie tra l’epoca in cui gli attori erano scomunicati perché eretici e quella attuale, dove possono ‘andare a spasso’ o cambiare lavoro perché il loro mestiere non è contrario alle leggi di Dio bensì, banalmente, ‘inessenziale’ – come ci hanno insegnato i tempi della pandemia e le scelte dei Governi succedutisi. Del resto, cosa ci si sarebbe potuti aspettare da chi pensa che occorra riaprire i teatri perché “ci sono gli artisti, che ci fanno tanto divertire”?
Ecco, Molière – il commediografo par excellence – era tutto il contrario: certamente si rideva, ai suoi spettacoli, ma a denti stretti perché sapeva sbeffeggiare non solamente il potere ma anche la società parigina, compiaciuta e compiacente, che quel potere sosteneva. Una società che sarà messa al guinzaglio dallo stesso Re Sole – il quale volle Versailles proprio per controllare meglio l’aristocrazia e allontanarsi dai ricchi borghesi della capitale di cui diffidava. Se ne gioveranno i suoi successori (almeno fino alla ghigliottina).
A Lucca, quindi, si è visto un teatro all’italiana (ottocentesco) riaprire le porte alla bella società lucchese forse ignara che Molière, se fosse stato vivo, non le avrebbe risparmiato frizzi e lazzi e di essere lei stessa l’oggetto della sue più temibili tirate (insieme, ovviamente, ai ciarlatani per antonomasia, ossia i medici dei tempi di Molière). E visto anche come vanno i nostri – dall’incapacità di fare i conti con la morte di persone, peraltro, in gran parte vecchie e/o malate (immemori che in Africa l’età media sia tuttora 19,4 anni – ossia a 38 anni si è già ‘trapassati’) alla vaccinazione di diciottenni alle quali il Covid avrebbe causato probabilmente un’influenza, ma che col vaccino hanno rischiato una trombosi e il decesso – forse un pizzico di quello scetticismo dovremmo conservarlo anche noi.
In questo clima, quindi, di riverberi storico-politici, il testo di Niccolini potrebbe condirsi di una ferocia nera da École du mensonge (L’Avaro). In scena oggetti che rimandano all’esistenza girovaga, a metà strada fra il travestimento e il denudamento di sé che vive il teatrante. Alessandro Quarta non solamente al violino, che non fa da intermezzo musicale alla lettura drammatizzata di Alessio Boni, bensì l’accompagna ricreando le atmosfere dell’epoca e sottolineando altresì le montagne russe emotive del Molière di Niccolini. E infine Boni, che abbiamo più volte apprezzato al cinema e, soprattutto, ne La ragazza della nebbia dove la regia di Carrisi ne esalta le potenzialità ambigue, rendendolo degno avversario di Toni Servillo – con venature quasi diaboliche (à la Keyser Söze).
E proprio da qui partiamo. Da quell’eccellente lavoro in sottrazione che Boni/Carrisi hanno fatto per il personaggio del professor Martini e che, qui, è mancato totalmente. Troppo interpretato, si potrebbe dire, troppo caricato questo Molière fin dalle prime battute che, infatti, tornando nel finale altrettanto dirompenti, in realtà, perdono di mordente. Se si snocciola la parola ‘eretico’ o ‘scomunicato’ ad alta voce fin dall’incipit, la stessa parola perderà tutto il suo portato drammatico. Gli eretici a quei tempi si bruciavano, non era uno scherzo. Come oggi, le ragazze islamiche che si tolgono il velo rischiano, in alcuni Paesi, linciaggi e anni di carcerazione. Non è uno scherzo. Lavorare in sottrazione può servire a far emergere tutto quel nero col quale Molière dipingeva i contorni e l’animo dei suoi personaggi, perché il riso è un’arma diabolica in quanto, come diceva Eco attraverso Jorge da Burgos, dall’accettazione del riso: “potrebbe nascere la nuova e distruttiva aspirazione a distruggere la morte attraverso l’affrancamento dalla paura” – con conseguente perdita di potere delle religioni. Ma anche il potere costituito rischia col riso quando sagace demistificazione della realtà, quando satira perché: “Quando ride… il villano si sente padrone, perché ha capovolto i rapporti di signoria: ma questo libro [l’ipotetica Commedia aristotelica, n.d.g.] potrebbe insegnare ai dotti gli artifici arguti, e da quel momento illustri, con cui legittimare il capovolgimento”.
Forse, però, il problema è un altro. Ossia che Alessio Boni alza tanto (troppo) la voce durante l’intero spettacolo perché con Quarta il mix voce/musica funziona poco. Per creare le meravigliose armonie di Montanari/Ceccarelli – quel ‘teatro del suono’ così ben descritto da Enrico Pitozzi in Acusma – occorrono mesi se non anni di prove ed esperimenti perché è una questione complessa dato che occorre non solamente miscelare musica e voce ma rendere intelligibile ogni parola, rispettando toni diversi. Un lavoro di cesello che ci ha regalato negli anni capolavori come Fedeli d’Amore (https://teatro.persinsala.it/fedeli-damore/53752/) e Lus.
E infine una nota hitchcockiana. Vi è una questione di economia delle immagini nel cinema. Ma questo vale anche per il teatro. Se sullo schermo bisogna “scegliere la dimensione delle immagini in funzione degli scopi drammatici e dell’emozione. Non si tratta soltanto dell’intenzione di far vedere la scenografia [Il cinema secondo Hitchcock, F. Truffaut, NET, 2002, n.d.g.]”, anche a teatro occorre utilizzare gli oggetti in scena. Forse questo non è potuto avvenire perché lo spettacolo era ancora in forma di lettura drammatizzata, ma se così restasse bastano un leggio e una sedia. Less is more.
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro del Giglio
piazza del Giglio, 13/15 – Lucca
domenica 13 giugno 2021, ore 20.30
L’uomo che oscurò il re Sole – Vita di Molière
di Francesco Niccolini
con Alessio Boni (lettura drammatizzata) e Alessandro Quarta (musiche dal vivo)
prima nazionale
Venerdì, 25 giugno 2021
In copertina: da sinistra, Alessandro Quarta, Francesco Niccolini e Alessio Boni. Foto di Andrea Simi (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del Teatro del Giglio)