500 mila firme per rivendicare il diritto a una morte dignitosa
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
A meno di un mese dall’avvio della campagna referendaria per la legalizzazione dell’eutanasia, promossa dall’Associazione Luca Coscioni e sostenuta da un Comitato Promotore composto da Radicali Italiani, Partito Socialista Italiano, Eumans, Volt, Più Europa – che inizierà il 30 giugno e proseguirà fino al 30 settembre – cerchiamo di capire tra quali opposte tendenze si stiano dibattendo legislatori, giudici, medici e giuristi (torneremo sull’argomento con altri articoli incentrati su temi diversi nelle prossime settimane).
Iniziamo dalla Padova University Press che ha pubblicato, nel 2019, gli atti del Convegno Autodeterminazione e aiuto al suicidio, a cura di Gabriele Fornasari, Lorenzo Picotti e Sergio Vinciguerra – un documento molto accurato e approfondito che offre una panoramica quanto mai interessante sulle normative ma anche sulla visione della vita, della morte e del diritto all’autodeterminazione in vari Stati europei (e d’Oltremanica). Partiamo da alcuni saggi contenuti nella corposa raccolta per capire meglio cosa impedirebbe a molti Paesi di dare a ogni cittadino – di uno Stato sulla carta laico – la libertà di scegliere come disporre del proprio corpo e della propria vita, quando vi siano situazioni di dolore fisico e/o psicologico inaccettabili per la persona che le sta sopportando. E poi qualche appunto sulla situazione italiana a partire dal saggio di Massimo Donini, La necessità di diritti infelici. Il diritto di morire come limite all’intervento penale, e dalle richieste alla Camera della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici.
Dall’Austria al Canada
Mentre i Paesi Bassi sono stati i primi a legalizzare l’eutanasia diretta e il suicidio assistito, in Austria (vedasi Aiuto al suicidio. Autodeterminazione e diritti fondamentali in Austria di Margareth Helfer) parrebbe che si stia tuttora discutendo sulla “non superata concezione del suicidio come atto contra ius [ossia contro il diritto soggettivo, n.d.g.], non punibile soltanto perché scusato sul piano soggettivo”. Se la finis Austriae e la nostalgia per l’impero sono solamente un pallido ricordo, pare che l’attuale legislazione austriaca in materia di eutanasia non si discosti molto dai tempi in cui la vita di un fedele servitore degli Asburgo era al servizio dell’imperatore. Salvaguardare l’impero anche a scapito di se stessi, delle proprie inclinazioni o ambizioni, era il destino dei Trotta nel romanzo di Joseph Roth, La marcia di Radetzky. Ma può l’esistenza del cittadino della moderna nazione Mitteleuropea essere soggetta alle medesime norme sociali che si imponevano al suddito asburgico? Nel saggio, Helfer nota che: “La chiave di volta, che comporterebbe l’abbandono di tale arretrato fondamento giuridico dell’attuale fattispecie penale del § 78 StGB, da tempo è ravvisata in un riconoscimento del diritto del soggetto ad autodeterminarsi in relazione alla decisione di porre fine alla propria vita”. In pratica, l’Austria fonderebbe tuttora il proprio diritto – in materia di autodeterminazione rispetto alla buona morte – su una concezione della vita quale diritto inalienabile e di per sé con un valore tale che nessuno avrebbe la facoltà di privarsene, quasi non ne fosse il o la titolare; e tanto meno di essere aiutato/a a farlo, nemmeno in caso di grave sofferenza fisica o psicologica. Il suicidio, quindi, come un atto offensivo/lesivo che il soggetto commetterebbe contro se stesso senza alcun diritto di disporre della propria esistenza.
Passando dall’Europa al continente americano, qualcuno forse ricorderà una pellicola del 2003, premiata – nonostante la visione libertaria – con l’Oscar come miglior film straniero, firmata dal regista canadese Denys Arcand, Les Invasions barbares – dove un malato oncologico decide di porre fine alla propria esistenza con l’aiuto, e circondato da tutti coloro che lo amano. Il film affronta, quindi, la questione non solamente del diritto della persona di porre fine in modo dignitoso a un’esistenza peraltro felice (prima della malattia), ma che ad aiutarla – come gesto estremo di affetto – siano coloro che ne hanno fatto parte: ex moglie, figli, amanti e amici. In Aiuto al suicidio, autodeterminazione e diritti fondamentali: spunti di riflessione alla luce dell’esperienza canadese e inglese di Ilaria Marchi, proprio rispetto al Canada, l’autrice analizza la sentenza del 2015 della Corte Suprema Canadese in relazione alla causa Carter versus Canada, laddove “I Giudici… sono giunti ad affermare che il divieto assoluto di assistenza al suicidio, di cui alla sezione 241(b) del Codice penale, è da intendersi sproporzionato e irragionevole rispetto all’obiettivo di tutela del diritto alla vita, poiché accanto a soggetti vulnerabili e facilmente influenzabili da pressioni esterne o debolezze psicologiche, connesse al proprio stato di salute, ne esistono altri pienamente in grado di auto-determinarsi, al punto da poter esercitare in piena coscienza il proprio diritto a ottenere una morte dignitosa”. E ancora: “La Corte ha dunque concluso che il divieto penalmente presidiato si poneva in violazione della sezione 7 del Canadian Charter of Rights and Freedoms, sia in riferimento al diritto alla libertà – intesa come diritto ad assumere decisioni fondamentali senza intromissioni da parte dello Stato – sia al diritto alla sicurezza – inteso come potere di esercitare il pieno controllo sul proprio corpo, senza subire interferenze esterne (incluse quelle dello Stato)”. A differenza dell’Austria, è evidente come in Canada prevalga il diritto all’autodeterminazione del cittadino – riconosciuto come prioritario e prevalente – e che allo stesso si riconosca la capacità di prendere una decisione motivata sul fine vita e di non essere, semplicemente in quanto malato terminale o particolarmente sofferente, soggetto manipolabile.
La liberté francese e le libertà effettive tedesche
Era il 2003 quando Vincent Humbert scrisse al Presidente Chirac: “A voi che avete il diritto di dare la grazia, io domando il diritto di morire”. Il giovane vigile del fuoco volontario, a causa di un incidente automobilistico, era rimasto muto, cieco e tetraplegico. Dopo tre anni, era stata la madre ad assumersi la responsabilità di rispettare la volontà del figlio, iniettandogli una dose di barbiturici; mentre i medici avevano cercato nuovamente di ‘salvarlo’ ricoverandolo in terapia intensiva. Hubert moriva il 26 settembre 2003 e la madre veniva posta in stato di fermo – ma il giudice istruttore pronunciò il non luogo a procedere. Nel saggio di Raphaële Parizot, Aiuto al suicidio: quale approccio in Francia?, apprendiamo che sebbene l’eutanasia non sia legale Oltralpe, la legge del 2 febbraio 2016 detta loi Leonetti Claeys, stabilisce “il diritto di avere una fine di vita degna e accompagnata col migliore acquietamento possibile della sofferenza… e prevede due casi di accompagnamento alla morte per evitare una ‘ostinazione irragionevole’: l’arresto dei trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza quando sono inutili, sproporzionati o quando hanno come unico effetto il mantenimento artificiale della vita…; la sedazione profonda continua nell’imminenza della morte provocando (non la morte ma) una alterazione della coscienza fino alla morte per evitare ogni sofferenza”. Ora, aldilà che sarebbe opinabile che un coma farmacologico sia per molti tra di noi meglio della morte tout-court, nel saggio si constata che la prassi francese – sull’assistenza al suicidio – pare quasi improntata al laisser aller. In Francia, innanzi tutto, è punibile solo la provocazione al suicidio e non l’aiuto; secondariamente, se è vero che “chi somministra una sostanza mortale o nociva si rende colpevole del crimine di avvelenamento” e chi “lascia morire senza fare nulla si rende colpevole di non assistenza a una persona in pericolo”, sarebbe altrettanto vero che: “i giudici sono spesso molto comprensivi, anzi quasi premurosi, grazie ai meccanismi procedurali che non esistono o non così in Italia. In effetti, spesso il processo è evitato grazie al principio di opportunità nell’attivare l’azione penale o a dei non luogo a procedere qualche volta da parte del giudice istruttore con una motivazione giuridica poco convincente: assenza di intenzione di dare la morte (?), costrizione (?). Quando il processo si tiene, le condanne sono spesso simboliche, ridotte al minimo previsto dalla legge: due anni con sospensione per i crimini per i quali la pena prevista è l’ergastolo; un anno con sospensione per gli altri crimini”.
A questo punto, facciamo chiarezza sulla differenza tra eutanasia e suicidio assistito, prima di esaminare cosa accada in Germania. L’eutanasia non necessita della partecipazione attiva del soggetto che ne fa richiesta, mentre nel suicidio assistito il malato assume da sé il farmaco letale; l’eutanasia, inoltre, richiede un’azione diretta del medico per somministrare il farmaco, mentre nel suicidio assistito deve solo limitarsi alla preparazione del farmaco – assunto poi dal paziente in maniera indipendente. La situazione tedesca è analizzata dal saggio di Konstanze Jarvers, La fattispecie tedesca di favoreggiamento del suicidio, dove si puntualizza un assioma che dovrebbe essere ormai palese: “dal diritto alla vita non si può desumere un obbligo di vivere”. Come in Francia, il suicidio o il tentato suicidio non sono reati e nemmeno l’aiuto al suicido è punibile. Vi era però una fattispecie di reato fin qui non contemplata, dato che dal “2015 [era] stato inserito nel codice penale tedesco il § 217 StGB che incrimina[va] il favoreggiamento commerciale del suicidio. Il reato [era] punito con la pena detentiva fino a tre anni o con pena pecuniaria. La legge [era] stata promulgata in risposta all’aumento del numero di associazioni favorevoli all’eutanasia”. “L’assistenza al suicidio rimane[va] perciò impunita solo se – in un caso singolo – [fosse] concessa a una persona decisa a suicidarsi a seguito di un’attenta verifica e con stretto rispetto della decisione presa autonomamente. Ciò vale[va] per amici e parenti, nonché per i medici e altro personale sanitario”. Abbiamo utilizzato il passato perché contro questa norma sono stati presentati diversi ricorsi da parte sia delle associazioni sia dei medici e, nel 2020, la Corte Costituzionale tedesca ha decretato come incostituzionale la legge del 2015 che vietava il suicidio assistito ‘organizzato’ da parte di medici o associazioni – aprendo la strada al diritto all’eutanasia.
Spunti per la discussione in Italia
In attesa di vedere se la società civile nel nostro Paese firmerà per il referendum sull’eutanasia, alcuni interessanti argomenti sono stati sollevati dallo scritto di Massimo Donini e dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici.
Il primo, nella relazione presentata al Convegno internazionale dei comparatisti tedeschi, punta il dito, già in premessa, su una realtà spesso sottaciuta, ossia che è legittima “la posizione… delle persone… che non accettano più di proseguire nei tormenti, e dunque il diritto fondamentale dei (medesimi) malati che… chiedono di morire come liberazione dal male. Rispettare questa richiesta può essere valutato come espressione del principio di benevolenza, e persino dell’amore del prossimo, e non di un individualismo indifferente o di un abbandono programmato da parte di una società materialistica orientata all’efficienza economica o all’edonismo collettivo. Questo tipo di richieste non avrebbe mai potuto essere giustificato sul terreno dei diritti del malato prima dello sviluppo di una medicina che oggi è in grado di prolungare la vita in modo estremamente artificiale o insensato: perché questi diritti fondamentali non c’erano o non erano ancora stati scoperti”. Ecco, quindi, che entra in campo la constatazione che non sempre la medicina allunga la vita in maniera dignitosa, bensì semplicemente in maniera tecnologica; o, in altre parole, si può confondere il salvare la vita con l’assicurare la sopravvivenza meccanica di un corpo.
E veniamo alle molte questioni poste dalla FNOMCeO alle Commissioni Riunite Giustizia e Affari Sociali della Camera, sulle proposte di legge Cecconi, Rostan, Sarli e Alessandro Pagano in materia di rifiuto dei trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia. Va notato come tra le richieste della Federazione vi sia quella di affidare “a un team clinico e medico legale” l’attuazione della “decisione suicidaria del paziente”, mentre si riafferma il diritto per il medico all’obiezione di coscienza – valido, ad esempio, anche nel caso dell’interruzione volontaria di gravidanza e che, sebbene indubbiamente lecito a livello teorico, nella prassi ha comportato che molte strutture pubbliche operino con ingiustificata lentezza o non operino affatto, costringendo le donne a peregrinazioni non solamente in città ma persino in regioni diverse dalla propria per vedersi garantite il diritto all’applicazione della Legge 194/78.
Questi i primi spunti, nelle prossime settimane ne forniremo di ulteriori perché la consapevolezza nasce dalla conoscenza.
Per chi volesse approfondire:
Autodeterminazione e aiuto al suicidio
Atti del Convegno svoltosi presso l’Università degli Studi di Verona il 5 e 6 aprile 2019, promosso dall’Università degli Studi di Trento, dall’Università degli Studi di Verona, dalla rivista Diritto penale XXI secolo e dal Jean Monnet European Centre of Excellence di Trento
a cura di Gabriele Fornasari, Lorenzo Picotti e Sergio Vinciguerra
http://www.padovauniversitypress.it/system/files/attachments_field/9788869381621.pdf
La necessità di diritti infelici. Il diritto di morire come limite all’intervento penale
di Massimo Donini
Il contributo costituisce il testo, con revisioni e annotazioni, della relazione svolta dall’Autore a Bayreuth, al Convegno internazionale dei comparatisti tedeschi (35. Tagung für Rechtsvergleichung), sul tema Religion, Werte und Recht, nei giorni 10-12 settembre 2015, nell’ambito di una sessione dedicata a Sterbehilfe und Hilfe zum Suizid (eutanasia e aiuto al suicidio)
https://www.penalecontemporaneo.it/upload/DONINI_2017b.pdf
Per la posizione della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO)
https://portale.fnomceo.it/eutanasia-la-fnomceo-nuovamente-audita-dalla-camera/
Venerdì, 11 giugno 2021
In copertina: Foto di Public Co. da Pixabay.