Arlecchino e Balanzone risvegliano una Lucca ancora assopita
di Simona Maria Frigerio
Riproponiamo – con una serie di aggiornamenti – l’intervista a Marco Brinzi e a Caterina Simonelli (fatta il 6 luglio 2020) perché ci pare ancora attualissima e i due bravi attori toscani (per il secondo anno consecutivo) hanno deciso di ʻri-animare’ le piazze di Lucca con i frizzi e i lazzi della Commedia dell’Arte – rivisitata in maniera originale dallo stesso Brinzi. Marco ha infatti scritto un canovaccio dal quale gli interpreti, come da tradizione, si divincolano per costruire un rapporto diretto e giocoso col pubblico presente, coinvolgendo – ma facendolo anche riflettere. Un modo anche per recuperare le loro radici attorali, provenendo entrambi dalla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, quel Piccolo di strehleriana memoria che riportò in auge la figura di Arlecchino grazie alle regie di Giorgio Strehler e alle interpretazioni, prima, di Marcello Moretti e, poi, di Ferruccio Soleri.
L’anno scorso li avevamo incontrati in un bar vicino al Teatro del Giglio per farci raccontare qualcosa di più di un’iniziativa che, per questa seconda edizione, proseguirà fino a domenica 13 giugno con due repliche giornaliere. È Marco Brinzi nella veste di ideatore, drammaturgo oltreché interprete, a spiegare come il progetto sia nato proprio durante i lunghi mesi di clausura (del 2020), causata dal Covid-19: «Ape Teatrale voleva essere un’occasione di ritorno al lavoro, per me ma non solamente, e di buon auspicio per l’economia in generale. Non a caso per il titolo mi sono ispirato sia al mezzo, l’Ape Piaggio, che fu un volano economico del Secondo Dopoguerra; sia alla raccolta di drammi, commedie, tragedie e farse omonima; e sia all’insetto, l’ape operaia, industriosa ma anche votata al lavoro collettivo e a forme di socialità» che, ovviamente, in periodo di coronavirus sembrano termini semi-terroristici. La sua collega e complice di molte avventure teatrali, Caterina Simonelli, aggiunge: «Il lavoro dell’ape è silenzioso come il nostro, di artisti, che per gran parte del tempo restiamo chiusi in noi stessi, a pensare, e poi in teatro, a provare» e aggiunge, ricollegandosi al difficile momento pandemico: «Se qualcosa di buono deve venirne fuori, almeno per me, dovrà essere proprio la valorizzazione di questa parte del nostro lavoro. Ossia, spero di poter lavorare meno ma meglio, avendo finalmente il tempo e lo spazio necessari per crescere, come artista, invece di essere stritolata dalle attuali dinamiche di produzione, che mi impongono di fare corsi, laboratori, produzioni sempre nuove, repliche senza soluzione di continuità. Il teatro deve essere riconosciuto come un bene di prima necessità, e non accessorio, dalla politica. E gli artisti devono poter svolgere questo antico mestiere in forme e con tempi umani. Devo potermi permettere di dire no» e chiude con una battuta (forse): «Altrimenti c’è il piano B: apro un’azienda agricola e cambio lavoro e prospettive».
Tornando al teatro come necessità dell’artista ma anche della società civile è ancora Marco che racconta le proprie sensazioni di attore, ma soprattutto di persona particolarmente sensibile: «Avvertivo e avverto la paura dell’altro da sé in molte, troppe persone. Anche per questo voglio tornare tra la gente, portare il teatro oltre lo spazio che si considera deputato. In Ape Teatrale ho cercato di miscelare la Commedia dell’Arte con il varietà, il teatro di strada con quello dell’assurdo, le maschere di Arlecchino e Balanzone della nostra tradizione con un testo che si ispira, però, all’attualità che stiamo vivendo. Ho immaginato due attori che non riescono a sbarcare il lunario e che si devono reinventare venditori, che s’infilano le maschere per attrarre i possibili clienti e che alla fine si scoprono per ciò che sono nel profondo: artisti. La maschera della Commedia dell’Arte dovrebbe essere un potente mezzo per creare un cortocircuito e far riflettere. La maschera dei commedianti non celava bensì svelava il personaggio che, appena la indossava, era riconoscibile a tutti. Al contrario di quella mascherina che ci sta allontanando…» e aggiunge, cambiando argomento: «Il teatro, anche con pochissimi mezzi, dispone di una grandissima capacità di evocare, è una forma rituale antica» che non si può smettere di officiare o alla quale possiamo sottrarci di partecipare. Il rito laico per eccellenza, l’universo/mondo che Shakespeare sapeva ricreare su assi spoglie con un paio di oggetti di scena che si trasformavano, grazie alla ricchezza della parola e alla magia del teatro, in isole sperdute e campi di battaglia, figure mitiche e tiranni perturbanti».
Simonelli riprende la parola, passando a un piano più politico: «Il teatro deve essere difeso dai cittadini, come bene primario, che crea cultura ma anche un indotto economico. Per sensibilizzare le persone occorre coinvolgere le scuole, gli esercenti, le maestranze ma anche gli attori. Il teatro non è solo il foyer o la platea con le poltroncine rosse. L’edificio è solo una componente. E ciò che sta accadendo e che ci spinge a uscire dai teatri può servire a riallacciare quel collegamento tra spettatore e attore che, forse, negli ultimi anni è andato perduto. Solo se lo spettatore ne sentirà la necessità, vorrà difenderlo. Il teatro è relazione, tra due individui, in carne e ossa» con buona pace del teatro online. Ma sulla difficoltà di riprendere il lavoro in questa situazione è ancora Brinzi che interviene: «Io non smetterò di recitare. Per me, è una necessità. Ma bisogna creare degli strumenti per tutelare tutti i lavoratori del settore, non solamente gli impiegati ma anche i tecnici e ovviamente noi artisti che, nella maggior parte dei casi, non siamo assunti da alcuna struttura. Ciò che accade porterà allo smascheramento del sistema teatrale, dove la vera creatività si rintraccia nelle Compagnie piccole o medie ma tante, troppe realtà, come ad esempio Collinarea, un piccolo Festival in quel di Lari, rischiano di chiudere per sempre o faticano a continuare la loro attività – perché la politica per troppo tempo ha creduto che il teatro sia ’solo divertimento’, e che ciò che contano sono i grandi numeri».
Ma sarà davvero finita per il teatro dei grandi numeri, per il teatro dei nomi televisivi con cachet da botteghino pagati con i finanziamenti pubblici, dei nomi altisonanti che rifanno se stessi da cinquant’anni a questa parte, ammorbando l’animo alle platee quando non assopiscono dagli schermi di Rai5? Forse è tempo (come quando Giorgio Strehler fondò il Piccolo – di nome e di fatto, ma soprattutto concettualmente dopo le parate e la roboante retorica fascista) di relazione, di piccoli numeri, di scambio vero tra esseri umani, di confronto, di comunicazione reciproca, di quell’energia frizzante che risveglia le menti. «Vi è urgenza di quotidiano», chiude Brinzi prima di tornare alle prove: «di non essere invisibili. Dobbiamo aprirci, noi artisti, assumerci l’onere del valore culturale e sociale del fare teatro. Basta con le vecchie logiche. Dobbiamo, tutti insieme, farci ascoltare dalle istituzioni e dagli spettatori» perché il teatro è necessario quanto l’aria. Perché se si brucia un libro, si spegne un riflettore, e se si manda ad arare un campo un intellettuale o un artista, si commette un crimine contro l’umanità – la parte migliore del nostro essere al mondo».
Ape Teatrale
un progetto ideato da Marco Brinzi
con Marco Brinzi e Caterina Simonelli
realizzato in collaborazione con la Compagnia If Prana e il Comune di Lucca
Calendario delle performance:
venerdì 11 giugno 2021
ore 17.30 piazza San Martino – Lucca
ore 21.00 piazza della Libertà – Nozzano Libertà
sabato 12 giugno 2021
ore 17.30 Baluardo San Salvatore – Lucca
ore 19.00 piazza San Francesco – Lucca
domenica 13 giugno 2021
ore 17.30 piazza San Frediano – Lucca
ore 19.00 piazza San Michele – Lucca
Venerdì, 11 giugno 2021
In copertina: l’Ape Teatrale. Foto di Simona M. Frigerio.