Un altro modo di affrontare il Covid è possibile
di Simona Maria Frigerio
Da un anno ci chiediamo se l’unica strada praticabile, per arginare gli effetti della pandemia sulla Sanità pubblica, sia quella adottata dall’Italia. E soprattutto se il settore della cultura – dai teatri alle biblioteche – ma anche palestre e piscine, oltre alla vita associativa e alle scuole (minacciate nuovamente di chiusure), debbano per forza subire il lockdown mentre le aziende proseguono nella produzione – nonostante i dati del primo bimestre del Pil e del settore automotive dimostrino che economia e vendite sono crollate e si potrebbe optare per la produzione di arte e pensiero critico invece che di prodotti.
Abbiamo quindi contattato Daniele Rizzo, Presidente dell’Associazione Culturale Persinsala, che pubblica il magazine omonimo – articolato in tre sezioni (arte, cinema e teatro) – per farci spiegare in diretta cosa stia accadendo in Catalogna, vista anche la situazione pandemica spagnola non molto dissimile da quella del nostro Paese. Daniele, insegnante di filosofia e storia a Roma, è attualmente in congedo perché sta svolgendo un dottorato di ricerca presso l’Universitat de Barcelona in cotutela con l’Universitat Ramon Llull sull’estetica del teatro contemporaneo, dal titolo La necessità storica di una riflessione estetica sul teatro del nuovo millennio, e ha quindi il polso della situazione su ciò che sta accadendo nella Comunità Autonoma.
Quali procedure si devono seguire per lasciare l’Italia e, a Barcellona, è obbligatoria la quarantena?
Daniele Rizzo: «Le procedure sulla carta sono semplici, ragionevoli e funzionali. Si può entrare in territorio spagnolo senza obbligo di quarantena, ma occorre essersi sottoposti con esito negativo a un tampone molecolare PCR entro le 72 ore antecedenti l’ingresso nel Paese. Si deve altresì compilare un Formulario di salute pubblica che va consegnato alle autorità locali. I test rapidi antigenici non sono ammessi e il certificato deve essere tradotto in castigliano o in inglese (anche dalla persona che lo presenta, se è in grado di farlo). Da questo punto di vista, la situazione è analoga a tanti altri paesi UE. Inoltre, fino al 9 maggio 2021, è in vigore uno stato d’allarme proclamato dal Governo Centrale, che dà la possibilità alle singole Comunità Autonome, che in Spagna godono di competenze esclusive molto ampie, di adottare misure ulteriormente restrittive in ambito di mobilità in entrata e uscita dalle Regioni o da specifici Comuni o quartieri. In alcune parti del Paese, in particolare nella Comunità di Madrid e della Catalogna, sono in vigore lockdown localizzati e ulteriori restrizioni della mobilità nelle ore notturne».
Lei sta concludendo il suo dottorato. Come funziona l’università? Si tengono corsi o esami in presenza o è tutto espletato con la didattica a distanza?
D. R.: «Anche in campo universitario, in Spagna l’autonomia ha ambiti e competenze molto ampie, quindi non è detto che ogni università si comporti allo stesso modo. Il mio dottorato è in cotutela con la Universitat de Barcelona e l’Universitat Ramon Llull. In questi due istituti la situazione è di progressiva apertura. Si può andare in biblioteca, alcune lezioni del primo anno sono in modalità blended, ma la presenza dei corsi online è ancora massiccia, anche perché molti studenti non si trovano sul posto. Le università di Barcellona che frequento hanno una platea decisamente internazionale, ma in realtà l’insegnamento digitale è molto utilizzato anche da studenti spagnoli e della stessa Barcellona. La fiducia che si possa tornare in presenza in sicurezza non è ancora molto alta e questo vale anche per gli insegnanti, non solo per gli studenti. Gli esami sono in presenza».
Com’è la situazione epidemiologica a Barcellona e quali misure restrittive sono applicate?
D. R.: «Non si può entrare in Catalogna senza adeguata motivazione (ovvero, studio, lavoro, ricongiungimento familiare, eccetera). Mascherine e distanziamento sono, ovviamente, obbligatori anche all’aperto. C’è limitazione agli assembramenti a un massimo di 6 persone, così come al consumo di bevande e alimenti all’aperto. Nel caso non si potesse mantenere un distanziamento di 2 metri, fumare all’aperto è vietato. Il coprifuoco va dalle 22 alle 6 ed è in vigore il confinamento comarcarl (Barcelona, L’Hospitalet de Llobregat, Santa Coloma de Gramenet, Badalona e Sant Adrià de Besòs) per l’intera settimana. Centri commerciali, negozi e piccoli esercizi lavorano dalle 6.00 alle 21.00 e sono aperti dal lunedì al venerdì con limitazione al 30% della capienza nelle sale interne e nessuna in quelle esterne ventilate. Bar e ristoranti lavorano in due fasce orarie – dalle 7.30 alle 10.30 e dalle 13.00 alle 16.30 – ma oltre, e nel fine settimana, possono lavorare con l’asporto. Per quanto riguarda l’attività sportiva, le palestre sono aperte con una riduzione al 30% della capienza, mentre le piscine al 50%. Parchi e stabilimenti per il divertimento sono chiusi, così come discoteche, sale da ballo, sale giochi, casinò e sale bingo. Congressi, convegni e fiere sono sospesi e il lavoro da casa è consigliato. Le biblioteche, al contrario, sono aperte dal lunedì al sabato. Le cerimonie – religiose e civili – funzionano al 30%».
La vita culturale, ossia teatri, cinema e musei sono aperti o chiusi? E nel caso siano aperti, con quali modalità?
D. R.: «Le attività culturali godono di maggiore considerazione, essendo considerate un bene primario: cinema, teatri, auditorium, musei, archivi, sale espositive e sale da concerto funzionano al 50% della capienza che può essere ampliata fino a un massimo di 1.000 persone. Si entra solo con prenotazione e la chiusura è fissata alle 22.00. Nei luoghi in cui sono entrato, non mi è stata misurata la temperatura, ma era presente il disinfettante delle mani. Nella prenotazione è spesso richiesta anche la dichiarazione di non positività».
Come le sembra il morale a Barcellona? I giovani, in particolare, escono anche per attività sportive o si stanno registrando alti tassi di disagio psichico e un aumento dei tentativi di suicidio come in Italia?
D. R.: «A questa domanda non riesco a rispondere: generalizzare è una facile, ma fuorviante tentazione, e si corre il rischio di assolutizzare la percezione di singole categorie. Posso dire che le spiagge sono ben frequentate da chi prende il sole, molto da chi gioca a beach volley e fa surf – quindi, in particolare, da una fascia che va dai teenager ai millenial. Per strada c’è un discreto movimento e i bar, quando aperti, sono ‘pieni’. Nelle ultime settimane, in seguito al controverso risultato nelle elezioni locali (il parlamento di Catalogna è spaccato in tre parti, con una leggera prevalenza delle forze indipendentiste, che però non sono affatto omogenee) e all’arresto del rapper Pablo Hasel per apologia di terrorismo e ingiurie alla Corona, ci sono state diverse grosse e incontrollate manifestazioni in cui lo ‘spirito catalano’ sembra essere immune dalla ricezione di qualsiasi misura di sicurezza. La reazione della polizia ai cassonetti ribaltati e bruciati, alle vetrine spaccate, agli assembramenti e a tutto il resto è stata massiccia e contestata, ma la vicenda è tutt’altro che risolta».
I mezzi pubblici sono affollati?
D. R.: «Il trasporto pubblico permette la capienza al 100% ma senza affollamenti. In realtà, almeno a Barcellona, in tanti preferiscono spostarsi con mezzi alternativi e la mobilità sostenibile (pensiamo al bike sharing o ai monopattini elettrici) funziona molto bene».
A parte l’università, le scuole primarie e secondarie sono aperte o funzionano con la dad?
D. R.: «La frequenza è stata mantenuta al 100% nell’istruzione infantile, primaria e secondaria obbligatoria. Dal bachillerato, ossia dai 16 anni in avanti, così come nei corsi professionali per adulti e nelle scuole di lingua, ci sono riduzioni della presenza».
Come va la campagna vaccinale?
D. R.: «Come in Italia: le riduzioni delle forniture stanno creando gli stessi problemi. Anche in Spagna si procede a ‘scaglioni’ organizzati in base all’età, alla condizione sanitaria, all’attività professionale».
A Barcellona si percepisce uno stato d’animo più rilassato o vi è il medesimo senso di oppressione che si respira in Italia da metà ottobre?
D. R.: «La mia è una condizione da privilegiato. Essendo impegnato nella ricerca di dottorato sono, infatti, in congedo dall’insegnamento e, quindi, non ho subito psicologicamente le criticità del sistema scolastico. Le riduzioni della mobilità, le restrizioni sociali e anche il distanziamento dai familiari, così come la nullificazione delle attività culturali in Italia e la situazione di estrema difficoltà di tanti amici e tante amiche, non mi hanno di certo lasciato indifferente, ma non posso non riconoscere di essere stato solo ‘sfiorato’ a livello personale e professionale da questa situazione catastrofica. In Spagna – con la significativa eccezione dell’apertura di cinema, teatri, eccetera – non cambio di molto le mie abitudini. Certo, del fatto di non essere potuto andare a teatro per lungo tempo la mia ricerca ha risentito, e ho dovuto concentrarmi sulla parte teorica, ma conto di avere tempo e modo per recuperare».
I mezzi di informazione spagnoli sono tutti concentrati sul Covid-19 o si ricomincia a informare anche su altre tematiche?
D. R.: «Anche in questo caso, credo che la situazione sia analoga a quella italiana. Si parla principalmente di Covid-19. A margine trovano spazio polemiche politiche contingenti (per la Catalogna strumentalizzare la questione indipendentista è un’ossessione), e qualche evento di cronaca. La catastrofe dell’informazione, così come quella della scuola o del teatro (parlo in particolare dell’Italia), non è certo iniziata con la pandemia. Preoccupa che l’unica prospettiva – proposta anche da chi sta subendo pesantemente questa condizione – sembra essere quella di tornare a come si stava prima, ma è pur vero che non si può pretendere che chi è stato parte in causa del proprio male curi se stesso».
ricevuto il 5 marzo 2021 – pubblicato venerdì, 23 aprile 2001
In copertina: Foto di Pexels da Pixabay.