Prima restituzione del monologo ideato da Stefano Geraci per e con Silvia Pasello
di Luciano Uggè e Simona Maria Frigerio
Il piccolo Teatro di Buti, diretto da Dario Marconcini, prosegue nella sua linea di offrire ospitalità agli artisti che avrebbe presentato in Stagione perché possano comunque provare i loro spettacoli in questa impasse, che ormai si protrae da oltre un anno e per la quale non si vede ancora una soluzione che si dimostri davvero efficace. Mentre l’Europa arranca tra ritardi, burocrazie farraginose, chiusure politiche laddove si dovrebbe pensare solo alla salute dei cittadini e continui errori, il teatro italiano per gran parte nicchia, incamerando i fondi del Fus senza garantire la sopravvivenza di artisti, compagnie e tecnici – magari in vista di futuri cachet per stranieri iper-quotati à la Malkovich (che proporrà le terzine dantesche tradotte in inglese, a noi italiani) invece di garantire la categoria, oggi. Strana questa Italia così sovranista quando si parli di vaccini made in US o EU e migrazioni e così esterofila se si deve prediligere lo spettacolo straniero/evento una tantum a un serio investimento nella rete e nell’humus creativo del Belpaese.
Il Teatro di Buti (come altri, soprattutto medi e piccoli) rema controcorrente rispetto a troppi ‘grandi’ e, ancora una volta, ci chiama per assistere a una prova a porte chiuse di un monologo ancora in progress che parte da quel Lear che diresse Roberto Bacci al Teatro Era di Pontedera nel 2016. Allora a interpretare il protagonista fu chiamata Silvia Pasello e la riduzione era firmata da Bacci e Stefano Geraci (che ritroviamo, come autore/ideatore in questo monologo insieme a Pasello).
Anche Caterina Simonelli (allora interprete di Goneril), nel 2018 ha rivisitato quell’esperienza teatrale e il testo shakespeariano in Real Lear, un potente dramma in forma monologante dove Simonelli interpreta se stessa, riscrivendo la tragedia e traslandola nel vissuto della propria famiglia, laddove lo zio è il figlio ribelle e sensibile, ripudiato, e il nonno è quel Lear che non comprende e allontana ma ne soffre – perché, forse, la tragedia si attua sempre per troppo amore e, senza, non sarebbe possibile.
Qui ci troviamo di fronte a un lavoro di riscrittura similare a quello di Simonelli ma calibrato sulla vecchiaia e che riprende larghi stralci del recitato di Pasello nella riduzione succitata del Lear. Il focus è il vecchio/la vecchiaia della tragedia originale e il secondo polo Pasello (o un suo alter ego) che cerca di comprendere, oggi, la figura del proprio padre/padrone. Il dialogo tra le due parti – tragedia shakespeariana e vissuto reale – risulta però astratto e, semanticamente, funziona solo fino a un certo punto perché Lear non cerca di capire Cordelia e, anzi, tutte le battute scelte sono concentrate sul suo egocentrismo esasperato e persino il lamento per la morte della figlia pone al centro della scena – disegnata coi contorni di un mondo insensibile – se stesso e il proprio dolore; mentre, dall’altra parte, Pasello (o il suo alter ego) non (ri)comprende il padre né il padre si rivela mai se non per via indiretta, rendendo impossibile sia il dialogo tra i due personaggi della ‘realtà’ sia tra questi e quelli della tragedia. Il solipsismo è forse la chiave del testo ma l’impressione più forte è che non ci si sia posti il problema del dialogo tra i personaggi all’interno del medesimo universo/tempo né tra quelli del testo e quelli in carne e ossa, racchiusi nel ricordo. Forse è un sintomo di questi tempi, che recludono ognuno in se stesso e nel proprio guscio emotivo e fisico.
Venerdì, 9 aprile 2021
In copertina: Foto di Martin Ludlam da Pixabay.