Prendendo spunto dal film di César Díaz, ripercorriamo il genocidio Maya
di Luciano Uggè e Simona M. Frigerio
(traduzioni di Simona M. Frigerio)
Non pensiate che stiamo per narrarvi storie di conquistador e missionari! Proprio in questi giorni, il Festival Cinema Africano, Asia, America Latina di Milano, ha assegnato il premio del pubblico al film di César Díaz (già vincitore della Caméra d’Or per l’opera prima a Cannes nel 2019), Nuestras madres. Recensendo il film per www.persinsala.it (a cui vi rimandiamo), abbiamo pensato di raccontarvi non fatti di cinquecento anni fa bensì cosa c’era dietro l’operazione PBSuccess, voluta dal Presidente Eisenhower, sostenuta attivamente dalla Cia e foraggiata dalle élite economiche e finanziarie che decisero non solamente di rovesciare un Governo democraticamente eletto (ma con velleità troppo socialisteggianti per il vicino, ingombrante ‘sceriffo delle libertà a stelle e strisce’) ma anche di attuare un autentico genocidio per azzerare la popolazione Maya, residente in Guatemala.
Partiamo dai documenti ufficiali conservati nel National Security Archive (The George Washington University, https://nsarchive2.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB4/index.html), che raccontano soprattutto i prodromi che portarono al colpo di Stato. Quella Operazione PBSuccess che Kate Doyle e Peter Kornbluh – i quali hanno curato la pubblicazione di tali documenti – pensano abbia avuto: “conseguenze letali. Dopo una piccola insurrezione sviluppatasi sulla scia del colpo di Stato, i leader militari guatemaltechi svilupparono e raffinarono, con l’assistenza statunitense, una massiccia campagna contro-insurrezionale che lascò dietro di sé decine di migliaia di persone massacrate, mutilate o scomparse”.
PBSuccess fu la prima operazione segreta statunitense in America Latina dopo il Secondo conflitto mondiale e diede il via a una serie di interferenze, dirette o indirette, con l’appoggio o meno della Cia e l’avallo delle amministrazioni statunitensi, che pare non abbia mai avuto fine – se si riveleranno fondate le accuse del Presidente boliviano, Luis Arce, che, per impossessarsi delle miniere di litio del Paese, dietro al colpo di Stato del 2019, ci fossero Elon Musk e la Tesla (della serie che non sempre ecologisti, vegetariani e filantropi agiscono davvero per il bene dell’umanità).
Ma torniamo a Washington e alle 1.400 pagine desecretate nel 1997 (delle oltre 100.000 stimate). Le stesse, come riassumono Doyle e Kornbluh, descrivono come in clima di Guerra Fredda (la stessa che Biden sta nuovamente rinfocolando, insieme all’Unione Europea, in questi giorni), prima il Presidente Truman e, poi, Eisenhower non avessero gradito l’elezione di Jacobo Árbenz Guzmán a Presidente del Guatemala, nel 1951, perché lo stesso voleva “continuare il processo delle riforme socio-economiche alle quali la Cia fa riferimento con sdegno in un suo memoràndum, qualificandolo come ‘un programma di progresso intensamente nazionalistico tinto da un permaloso complesso d’inferiorità anti-stranieri da Repubblica delle Banane’”.
Il primo tentativo della Cia – si legge sempre nella presentazione dei curatori – “di rovesciare il Presidente guatemalteco” si basò sulla collaborazione tra la stessa e il “dittatore nicaraguense Anastacio [sic! ] Somoza [García] al fine di supportare un generale scontento, di nome Carlos Castillo Armas, e l’operazione con nome in codice PBFortune – autorizzata dal Presidente Truman nel 1952”.
A seguire e per mesi la Cia produsse memoràndum dai titoli quanto mai esemplificativi del contenuto (non sempre desecretato), quali: “Personale comunista guatemalteco da eliminare durante le Operazioni Militari” – intendendo con ‘eliminare’, l’omicidio oppure la reclusione o, ancora, l’esilio. Una lista “A” di coloro che dovevano essere assassinati conteneva 58 nomi – che sono stati espunti dalla Cia dai documenti resi pubblici. Ciliegina sulla torta del ‘faro della democrazia’, PBSuccess fu “autorizzata dal Presidente Eisenhower nell’agosto del 1953” e poteva contare su “un budget di 2,7 milioni di dollari per ‘la guerra psicologica e l’azione politica’ e ‘la sovversione’, tra i vari elementi di una piccola guerra paramilitare”. Il secondo tentativo funzionò (anche se dal rapporto di Nicholas Cullather, che ha lavorato a contratto un anno per la Cia, fu parecchio approssimativo nell’esecuzione) e “dopo che la Cia mise al potere Castillo Armas, centinaia di guatemaltechi finirono nelle retate e furono assassinati. Tra il 1954 e il 1990, i gruppi per i diritti umani stimano che le operazioni di repressione dei regimi militari succedutisi abbiano causato la morte di oltre 100 mila civili”.
Dai documenti della Cia ai processiNel 1994, col patrocinio delle Nazioni Unite, si avvia un processo di pacificazione grazie anche all’istituzione di una Commissione per il Chiarimento Storico (CEH), che avrebbe dovuto ricostruire quanto accaduto durante le tre decadi di guerra contro i civili guatemaltechi, promuovendo “la riconciliazione sulla base della verità storica” – similare alla Truth and Reconciliation Commission (TRC) sudafricana, presieduta dal vescovo anglicano Desmond Tutu.
In cinque anni di indagini e, principalmente, escussione dei testimoni diretti, la CEH ha appurato che la maggioranza delle stragi (626 episodi) fu operata a carico della popolazione Maya ed è da imputare a Fernando Romeo Lucas García (presidente dal 1978 al 1982) e José Efraín Ríos Montt (presidente dal 1982 all’83). Nel 2013, quest’ultimo è stato condannato a 80 anni di carcere – ma, come Pinochet (che, per motivi di salute, riuscì a scansare qualsiasi condanna anche se accusato di crimini contro l’umanità) – non ha scontato nemmeno un giorno di carcere. La Corte Costituzionale guatemalteca ha revocato la sentenza che riconosceva Montt responsabile della morte di almeno 1.771 indigeni di etnia Maya Ixil. Ma del resto, il Guatemala che protegge l’élite criminale che ha retto il Paese per decadi, è lo stesso che nel 2019 ha proposto la Legge per punire anche l’aborto spontaneo con pene dai 2 ai 4 anni di carcere per le donne.
Accanto ai militari, a commettere i crimini contro l’umanità – genocidio, stupri etnici, sparizioni, mutilazioni, omicidi di massa – hanno operato anche le Pattuglie di Autodifesa Civile ma, secondo alcuni studi portati avanti dall’Università di Yale (Usa), “ogni 100 massacri compiuti nei primi anni Ottanta, 87 sono da attribuire ai militari che agivano in base a un preciso disegno”. Secondo la CEH la strategia governativa mirava a fare terra bruciata attraverso campagne militari che perseguivano l’annientamento di intere comunità – citiamo i loro nomi: “Campaña Victoria 1982, Operativo Sofía del 15 luglio ‘82, Operación Ixil, Civilian Affairs del Plan Firmeza 1983”.
I processi, nonostante il decesso di Montt, continuano. Non solamente nei confronti delle gerarchie militari ma altresì contro tre dei giudici costituzionali che hanno di fatto permesso a Rios Montt di restare impunito.
Film, inchieste e tesiNonostante la guerra contro i civili guatemaltechi si sia ufficialmente conclusa nel 1996, ancora nel 2013 Barbara Trentavizzi, antropologa italiana residente in Guatemala, scriveva in un articolo per https://cetri-tires.org: “Lo scorso 17 marzo è scomparso il Presidente del Parlamento del popolo Xinca Roberto Morales, ed è stato assassinato Exaltación Marcos, che si trovava in compagnia di Morales. Entrambi erano dirigenti indigeni impegnati nella denuncia dei tentativi delle multinazionali minerarie di infiltrarsi nei territori guatemaltechi”. Nel medesimo pezzo, Trentavizzi intervistava Domingo Hernádez Ixcoy, dirigente indigeno, che denunciava: “Stiamo vivendo una escalation di violenza che ci fa ricordare l’epoca del conflitto armato, quando i dirigenti venivano assassinati perché difendevano e pretendevano i loro diritti. Ora siamo perseguitati perché non siamo d’accordo sulla svendita dei beni naturali alle imprese nazionali e straniere. Quelli che difendono la vita, l’identità e il futuro del Paese vengono assassinati, perseguitati, sequestrati”. E più oltre: “La politica neoliberista è un progetto di morte e divisione, che sta propiziando la criminalizzazione dei movimenti sociali”.
Del resto, i terreni maggiormente fertili, in Guatemala (come in molti Paesi latinoamericani, caraibici o africani), sono destinati alle piantagioni (nello specifico, banane e caffè) controllate da compagnie straniere; mentre mais e canna da zucchero sono state incentivate a livello industriale in seguito alla richiesta di materie prime per i biocarburanti. Il controllo delle monocolture è stato analizzato anche nella tesi di laurea di Lisandro Lhomy che valuta il ruolo della United Fruit Company, impresa bananiera multinazionale statunitense, operante in America Centrale fin dai primi del Novecento, nel colpo di stato guatemalteco del 1954 (documento open access: http://dspace.unive.it/handle/10579/14692).
E a livello cinematografico, arriviamo a César Díaz – regista, sceneggiatore e documentarista guatemalteco, naturalizzato belga – che dedica il suo primo lungometraggio di ‘finzione’, Nuestras madres, alla storia del proprio Paese d’origine, alla ricostruzione – attraverso le testimonianze delle superstiti (non a caso tutte donne, come scopriremo) – di quei trentasei anni in cui governo, militari ed élite economica operarono un sistematico tentativo di genocidio nei confronti della comunità Maya, nel più assordante silenzio dei media e della comunità internazionale e con l’appoggio degli Stati Uniti.
La stampa, l’università, la cinematografia: tre mezzi per ricostruire la memoria, perché non vi è futuro senza piena consapevolezza del passato.
Venerdì, 2 aprile 2021
In copertina: Contadina guatemalteca lava i panni. Foto di Dezalb da Pixabay.