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Non l’amore al tempo del colera ma la stampa al tempo del Covid
di Simona Maria Frigerio
Umberto Eco docet. In questi tempi oscuri – la citazione letteraria è mia pecca quanto del protagonista del libro che mi è capitato sotto mano, Numero Zero (e perché mai si dovrebbe leggere solo l’ultimo bestseller quando un buon vino si preferisce invecchiato a dovere?), romanzo del 2015 del saggista, semiologo, scrittore e intellettuale piemontese, pubblicato poco prima della sua morte – fa bene riscoprire un fine pensatore che, attraverso l’uso della lingua, demistifica il mondo.
In Numero Zero, Eco condensa – con uno stile minimalista statunitense da anni 80, che mai si era rivelato nei precedenti romanzi – uno tra i periodi più tumultuosi della storia italiana recente. Il 1992, ossia quei 12 mesi che videro le pagine dei quotidiani riempirsi di notizie talmente gravi e inquietanti che un Paese civile si sarebbe fermato per cercare di capire dove aveva sbagliato – ma l’Italia è dalle Idi di Marzo che non vuole scendere dalla giostra e ammettere di aver ormai perso la propria innocenza. Da Tangentopoli agli omicidi di Falcone e Borsellino, dal documentario della BBC che rivelava la presenza di Gladio in Italia e il possibile coinvolgimento dei servizi segreti italiani e della Cia nelle cosiddette stragi di Stato a un deficit/PIL al 118% (ormai si potrebbe parlare di tempi felici) che costrinse il nostro Paese a svalutare la lira e a uscire dal Sistema Monetario Europeo, perché ormai prossimi alla bancarotta.
Rileggere di quel breve torno di tempo immerso in un’atmosfera sospesa tra verisimile, reale e credibile, narrato con il ritmo dell’hard boiled da un protagonista disilluso e perdente come un detective à la Bogart, è un piacere raro perché ci permette di coniugare il gusto per la buona letteratura con quello di un saggio, a un tempo sottile e sarcastico, sull’informazione. La vera protagonista infatti “è la stampa, bellezza” (di nuovo Bogart, guarda caso), che avrebbe dovuto raccontare fatti e misfatti e che, al contrario, in quegli anni apprese come mistificare, infangare, omologare, insinuare, annacquare e obnubilare la verità.
Europeisti o euroscettici: il fattore news making
Iniziamo dall’incipit di questo manuale del cattivo giornalismo, quando Simei afferma: “Non sono le notizie che fanno il giornale, ma il giornale che fa le notizie”. Come ha specificato in una recente intervista Monia Azzalini, analista dei media (https://www.theblackcoffee.eu/le-donne-non-solo-vittime/), è basilare curare il news making se si vuole cambiare il modo di vedere e intendere il ruolo della donna nella società. Finché le donne saranno sottorappresentate o relegate a vittime, non si arriverà mai a una vera parità di genere. Se questo vale in un campo, varrà anche in tutti gli altri. Se di Africa, Asia o Sudamerica non si scrive o parla mai, la percezione che il mondo – inteso come civiltà – inizi e finisca con l’Europa e gli Stati Uniti ci porterà a scrivere che il vaccino Sputnik V è meno sicuro del Pfizer e, a riprova, si accuserà i russi di non volerlo utilizzare, o a demandare all’Ema quanto può fare, per l’Italia, l’Aifa – senza tenere conto che anche i cinesi preferiscono vendere il loro vaccino invece di inocularlo alla propria popolazione, che l’AstraZeneca è stato sospeso in alcune regioni tedesche e svedesi, che il Pfizer è un vaccino improponibile per miliardi di persone che non hanno strutture dove conservarlo a – 80°C, o che il vaccino russo è già stato approvato in 45 Paesi (e non saranno tutti ‘terzo mondo’!). Ma la stampa, invece di immischiarsi in diatribe pseudopolitiche sull’euroscetticismo o di riportare, ad esempio, che il Presidente di Regione Giani afferma che abbiamo un’organizzazione paragonabile a una Ferrari ma che stiamo marciando come avessimo una Cinquecento, dovrebbe fare un semplice computo: se la Toscana prosegue a vaccinare 4 mila persone al giorno, ci metterà poco meno di 3 anni per coprire l’intera popolazione.
News making significa, innanzi tutto, aprirsi al mondo per ricavare il maggior numero di informazioni possibili da confrontare e restituire senza pregiudizi al lettore e non credere di schierarsi pro o contro l’Europa quando si sta discutendo di efficacia ed efficienza di uno o più vaccini, e di far ripartire un Paese.
Il razzismo è un’invenzione giornalistica?
Sempre il buon Simei del romanzo di Eco raccomanda: “Immaginate una pagina in cui si dicesse… pensionato di Mestre uccide la moglie, edicolante di Bologna commette suicidio, muratore genovese firma un assegno a vuoto, che cosa gliene importa al lettore dove sono nati questi tizi? Mentre se stiamo parlando di un operaio calabrese… allora si crea preoccupazione intorno alla malavita meridionale e questo fa notizia”.
Guardiamo agli sbarchi in Italia. Sebbene nel 2020 le persone siano state portate a pensare che le nostre coste fossero prese d’assalto, mentre i presidenti di Regione ‘tuonavano’ e alcuni partiti corroborati dalla stampa ‘rinfocolavano gli animi’, nessuno o quasi confrontava i dati. Nel 2020 gli sbarchi sono stati 34 mila a fronte dei 23 mila del 2018 ma dei 181 mila del 2016, ad esempio; mentre le richieste d’asilo sono passate da 43 mila, nel 2019, a 28 mila nel 2020 e, nei primi 6 mesi dello scorso anno, i nuovi permessi di soggiorno ad extracomunitari sono stati meno della metà del primo semestre del 2019. Dov’era, quindi, l’orda barbarica? Nelle penne dei giornalisti, nelle fantasie dei politici o nella realtà dei fatti? O, forse, costretta su navi quarantena come capi di bestiame?
La guerra al terrore o il terrore come guerra mediatica?
Come si cambia la percezione delle popolazioni distorcendo i fatti? Eco, semiologo, ci insegna la potenza della lingua (che è ben superiore a quella della spada). È sempre Simei a illuminarci: innanzi tutto, prendendo posizione indirettamente. Avete notato come i giornalisti non ribattano mai, nemmeno a palesi ‘fesserie’ degli intervistati? Per ignoranza o perché “il problema è cosa e come virgolettare”? “Messe le virgolette, quelle affermazioni diventano fatti” e, siccome il giornalista non dovrebbe usare l’interlocutore per esprimere la propria opinione, ecco la pervicace contrapposizione che, però, è solo alla parvenza fare informazione, in quanto “l’astuzia sta nel virgolettare prima un’opinione banale, poi un’altra opinione, più ragionata, che assomiglia all’opinione del giornalista” (o meglio, del suo editore). Con buona pace della verità dei fatti.
Ecco perché la diga del Vajont fu solo una tragica disgrazia, Mattei ebbe un incidente, Cesare cadde sui pugnali dei congiurati, e così via. Fino ai giorni nostri in cui pochi chiedono al Premier Draghi se sia etico pensare di stendere un PNRR (con gli investimenti che ne conseguiranno) in base alle valutazioni di McKinsey (una multinazionale di consulenza privata), e non in base a una visione politica e strategica che prenda in considerazione tutte le parti sociali; mentre i più sembrano voler giustificare a tutti i costi una scelta tecnicistica e anti-politica che, simile alle task force precedenti, è stata tra le cause della caduta del Conte bis (e già avevamo espresso dubbi sul silenzio del Premier in fatto di Recovery Plan: https://www.theblackcoffee.eu/il-vaccino-draghi-non-pare-funzionare/).
Dalla scuola al teatro, il nuovo Dpcm che piace alla grande finanza
Ma non spetta al giornalista porre dubbi o fare domande, quelle stesse che restano sulla lingua dello spettatore che spegne la tivù o non compra più il giornale perché conosce già le ‘opinioni’ dell’editore. Se “il governo annuncia lagrime e sangue, la strada è tutta in salita, il Quirinale è pronto alla guerra… E il politico non dice o afferma con energia, ma tuona” (come sopra) ecco che possiamo far accettare, come insegna non Eco ma J. G. Ballard, qualsiasi cosa ai nostri concittadini, perché di fronte a uno stillicidio di minacce sproporzionate e un uso terroristico del linguaggio, la cruda realtà apparirà un sogno. Dopo aver inculcato l’idea – dimostratasi subito falsa – che il Covid si potesse contrarre anche respirando all’aria aperta, chi chiederà lumi sul perché indossare la mascherina per fare una passeggiata da soli o vietare il trekking?
Eppure le domande, dopo il primo Dpcm dell’era Draghi (e quando si tornerà a legiferare attraverso canali democratici?), potrebbero essere molte. Come mai il giornalismo italiano tace e non si chiede perché ci si contagi a cena, e non a pranzo, al ristorante? Oppure perché chiudere le scuole se bisogna proteggere gli ultrasettantenni? – al massimo, chiudiamo l’università della terza età! O come si possano riaprire i teatri se gli spettatori devono essere a casa entro le 22.00, le Compagnie non possono essere assunte con così breve anticipo e, comunque, non si sa da chi dovrebbero essere retribuite se, dopo due giorni, la rappresentazione salta perché la regione cambia colore.
In Spagna, la cultura è aperta: scelta politica chiara. La stampa italiana, invece di rincorrere i voli pindarici dei Ministri adducendo che è colpa dei teatranti se non si riapre, dovrebbe accettare una verità dimostrata dai fatti: qui, la cultura è chiusa per scelta politica. Così come lo resterà la scuola, se si confermano le teorizzazioni del nuovo Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, che la didattica a distanza sarà utilizzata anche dopo la fine della pandemia. Perché si è dimostrata un valido contributo all’arricchimento psicologico, sociale e didattico degli studenti? Perché facilita i meno abbienti, quelli che hanno problemi di apprendimento e i genitori al lavoro? O per mero calcolo economico? Scuole e cultura chiuse significano un enorme risparmio per lo Stato. Quello Stato che dovrà far fronte a un crescente indebitamento che non sta, comunque, salvando l’economia reale e i cui interessi dovrebbero essere ripagati da un Pil in crescita. Ma tutto ciò – sebbene addotto dal Premier Draghi e da molti finanzieri – è possibile? Il Pil reale, in Italia, è stato dello 0,93% nel 2015, 1,1% nel 2016, 1,6% nel 2017, 0,9% nel 2018, 0,3% nel 2019 (Fonte AMECO). Questo cosa significa? Che nei prossimi anni non è prevedibile che ci saranno entrate così clamorose a livello di produzione e vendita (all’estero ma anche in Italia) da ripagare i debiti, e i tagli a scuola e cultura saranno inevitabili. Ecco, quindi, che si passa da una Ministra dell’istruzione convertita alla riapertura delle scuole a uno riconvertito (dopo le esternazioni dell’estate scorsa) alla Dad ab aeterno.
Infangare rende bene
Fin da Mani Pulite, si è capito che demonizzare l’oppositore politico e delegittimare il magistrato erano le soluzioni più rapide per buttare fumo negli occhi delle masse. Di fronte alla mazzetta, un Paese di ladri ed evasori nicchia, gli basta poco per cedere all’illusione che delinquere sia la norma e gli onesti siano i ‘fessi’. Non a caso “La soluzione più prudente è buttarla sul sentimentale, andare a intervistare i parenti… è così che fanno le televisioni, quando vanno a suonare alla porta della madre a cui hanno messo il figlio decenne nell’acido: signora, cosa ha provato alla morte del suo bambino?”. Il godimento per la sfortuna altrui, di cui scrive Eco, è poi sostituito dal dubbio. Falcone, ad esempio, non era un ‘professionista’ dell’antimafia?, scrivevano anche illustri intellettuali come Sciascia che calcavano in negativo sulla parola professionista, quasi che ci guadagnasse economicamente e in prestigio a esserlo (salvo poi saltare in aria con la moglie forse perché troppo professionale).
Ma come spiega sempre il Simei del libro: “Badate bene che oggi per controbattere un’accusa non è necessario provare il contrario, basta delegittimare l’accusatore” – e come si fa? Nel ‘92 “si stranifica[va] quello che fa[ceva] tutti i giorni” il magistrato troppo professionale, si sottolineava il colore dei suoi calzini o il fatto che mangiasse cinese con le bacchette e non si accontentasse di “pastina o spaghetti”. Oggi si va giù più pesanti. Si usano termini decisamente volgari contro la politica che non ci sta a svendere le proprie ragioni per una poltrona, o s’insinua che un’altra era ‘brava a letto’ (a tanto si è arrivati con Nilde Iotti). Si coniano termini che si vorrebbero spregiativi, come no-vax per chi solleva un dubbio sulla vaccinazione di massa, o euroscettico se si vuole acquistare lo Sputnik V, mentre gli ex voltagabbana diventano il partito (autolegittimatosi istituzionalmente) dei responsabili.
Ma la disinformazione si fa anche sotterrando le notizie sotto una montagna di fesserie (pratica notata in primis da Noam Chomsky). Così si pensa che il lettore non si ricordi l’affaire del piano pandemico italiano o che i 5 verbali desecretati del Comitato Tecnico Scientifico dimostrino come, nemmeno durante il primo lockdown, si fosse consigliato al Governo Conte bis di chiudere, ad esempio, i musei (ma noi, che alla memoria del lettore teniamo, riproponiamo i dati e i fatti di allora: https://www.theblackcoffee.eu/tag/verbali-del-comitato-tecnico-scientifico/). E se allora i musei erano sicuri; oggi, grazie anche alle prenotazioni, alle entrate contingentate, alla misurazione della temperatura e a quant’altro, cosa sono?
Le triadi non sono fantapolitica
E chiudiamo con la chicca del Paglia e Fieno, un locale dove mangia, a volte, un altro personaggio del romanzo di Eco, di nome Maia, che spiega come detto locale, molto ampio e con parecchio personale, resti aperto sebbene non ci vada mai nessuno. La risposta dell’arguta Maia (alter ego dello stesso Eco anche per acume linguistico) è che sia in mano alle triadi, ossia un locale dove, attraverso scontrini falsi, si ricicla denaro guadagnato illecitamente. E a Milano – ma non solo – quante volte ci si è domandati come faccia un tal negozio o locale per l’apericena a rimanere aperto con un giro d’affari che, a occhio attento, pare pari a 0.
Ma domani, grazie allo scaricabarile governativo, cosa accadrà alle centinaia di migliaia di attività commerciali al dettaglio, o impiegate nei servizi alla persona, nello sport, nella ristorazione o nell’ospitalità? Chi avrà avuto i fondi per continuare a pagare gli affitti? Forse quelli che avevano del nero da girare in cassa – e così lo Stato conferma nella mente del singolo che, in un Paese dove ognuno si salva da solo, evadere il fisco è procurarsi almeno una zattera. Oppure quelli che, in banca, hanno avuto accesso a prestiti agevolati (garantiti però con la propria abitazione o altre proprietà) e, comunque, 20 o 30 mila euro quante mensilità possono coprire? I lavoratori a serata, così comuni nei ristoranti e nei locali notturni, dove saranno finiti? Cinesi e investitori stranieri, usurai e mafie, avranno sicuramente cominciato a infiltrarsi nelle imprese e, se dopo il primo lockdown, ci fosse stato un reale cambio di rotta forse la situazione sarebbe tornata agli anni 90, quando un Paglia e Fieno si notava. Ma dopo mesi e mesi in cui le categorie denunciano che i ristori coprono forse il 7% del fatturato del 2020, nessun giornalista si pone il dubbio di avviare un’inchiesta seria invece di blaterare di ristori e sostegno al Conte bis perché così i bonus sarebbero fioccati prima – come manna dal Cielo? I giornalisti non dovrebbero essere organi di partito, bensì d’informazione.
E chissà cosa avrebbe scritto oggi Umberto Eco di Julian Assange. Forse come su Gladio e il golpe Borghese avrebbe ricostruito una trama talmente assurda di connivenze, falsità e violenze da farci credere che stesse facendo fantapolitica per poi dimostrarci che, al contrario, stay behind e stragi di Stato sono state la nostra realtà, così come i collateral murder (https://youtu.be/5rXPrfnU3G0) sono la realtà che il faro della democrazia, gli Stati Uniti, non possono ammettere al punto da perseguitare da anni una tra le poche voci libere del giornalismo mondiale, Julian Assange.
Perché i lettori non ci leggono più?: perché ci sono i blog?, la concorrenza della tivù?, i gadget non sono abbastanza appealing? Perché, a differenza di Assange, noi non cerchiamo più le notizie, noi le fabbrichiamo.
Venerdì, 5 marzo 2021
In copertina: Foto di PDPics da Pixabay.