Basta #MeToo, occorre tornare allo stato di diritto
di Simona Maria Frigerio
Qualcuno si ricorda lo ‘scandalo’ dell’omicidio Calabresi? Nel 1988, dopo 16 anni di indagini infruttuose, si iniziò un iter processuale a carico di Ovidio Bompressi (come esecutore dell’omicidio dell’ex vice responsabile dell’ufficio politico della questura milanese) e di due dirigenti di Lotta Continua, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani – quali mandanti.
Dopo oltre tre lustri, i processi (ce ne risultano ben sette) furono imbastiti non su prove fattuali ma sull’unica testimonianza di Leonardo Marino – un passato operaio ma anche di rapinatore, ex militante di LC e, secondo sua stessa ammissione, autista di Bompressi per il delitto. Si condannarono tre uomini senza nemmeno tener conto delle testimonianze di Luciano Gnappi, che il giorno in cui fu commesso il delitto aveva riconosciuto l’omicida in una foto mostrata dalla polizia (e non era, ovviamente, di Bompressi) e del vigile urbano Roberto Torre che, la mattina del delitto – il 17 maggio 1972 – vide Bompressi nel bar Eden di Massa verso mezzogiorno e mezzo – impossibile con le strade e i mezzi di allora per il presunto assassino raggiungere in poco più di due ore la Toscana dalla Stazione Centrale di Milano, dove Marino lo avrebbe lasciato alle 10 circa. Ferdinando Imposimato, magistrato e Presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, denunciò la: “violazione dei principi del giusto processo nel caso Sofri” dato che la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Venezia (uno tra i tanti processi succedutisi) era fondata esclusivamente “sulla chiamata in correo di Marino, quando la Cassazione ha affermato che questa sola non basta”.
Oltre all’umanità, è la verità, forse, quella che fu seppellita sotto le ragioni della Realpolitik.
Marilyn Manson cantante
Dai processi indiziari, adesso siamo scesi ancora più in basso nella scala dell’anti-garantismo, mostrando una fede cieca verso quelli mediatici.
Marilyn Manson ci è simpatico? Tanto quanto Maradona? Fa uso di droghe pesanti? Piace all’establishment? Tratta con fair play i suoi colleghi? Ci usciresti a cena? Ti piacciono le sue tutine attillate? È troppo magro? Troppo bianco? Troppo cadaverico? Troppo diretto? Scusate: ma chi se ne frega?
Sono altre le domande che dovremmo porci.
Quando Michael Moore lo intervista in Bowling for Columbine, perché ha qualcosa da dire contro la nostra società della paura (https://www.youtube.com/watch?v=oeQ4HWhPEdA) dice qualcosa che capiamo e compartecipiamo?
Quando 204 milioni di persone vedono il video The beautiful people (https://www.youtube.com/watch?v=Ypkv0HeUvTc), che recita: “Capitalism has made it this way / Old-fashioned fascism will take it away” (il Capitalismo lo ha reso così / il fascismo fuori moda se lo porterà via, t.d.g.) dà fastidio ai poteri forti? Ci scopre dei nervi perché sappiamo che sta parlando anche di noi quando canta: “If you live with apes, man, it’s hard to be clean” (se vivi con le scimmie, uomo, è difficile restare pulito, t.d.g.)?.
E in The dope show (https://www.youtube.com/watch?v=5R682M3ZEyk&list=FLUgrTHsuP4o6V38OZLxlRDg) quando lancia una pietra proprio contro lo showbiz:
“We’re all stars now in the dope show / They love you when you’re on all the covers
When you’re not, then they love another” (Siamo tutti star di uno show drogato / Ti amano finché sei sulle copertine / Quando non lo sei, amano un altro, t.d.g.) non ti domandi se tutta la tua frenesia per i ‘15 minuti di celebrità’ non sia solamente quello che loro vogliono da te e non quello che tu vuoi per te stesso?
Gli artisti vanno ammirati sul palco, scesi dalle assi e spenti i riflettori sono come noi. Ma poco importa. Tutti fallibili e umani, “inutile pretendere la luna quando abbiamo già le stelle” (parafrasando la mitica Bette Davis in Now, Voyager pessimamente tradotto in Perdutamente tua).
La caccia alle streghe
Erano anni che Manson era attaccato in ogni modo possibile e non ci interessa nemmeno entrare nelle ultime accuse, quelle di Evan Rachel Wood di essere stata abusata ancora ‘adolescente’ (anche se nelle sue biografie ufficiali avrebbe iniziato la relazione con Manson nel 2007, ossia a vent’anni, e dopo un’altra conclusasi con l’attore Jamie Bell). Ciò che ci interessa capire è se dopo oltre dieci anni sia lecito dare credito a chiunque affermi di avere subito un abuso. Se sia lecito fidarsi di denunce sui media o sui social, invece che presso le forze dell’ordine. Senza prove a dimostrazione dei fatti se non la propria parola. Senza mai considerare se chi accusa è parte di un do-ut-des e, come l’atleta che usa il doping vada, per questo, squalificato dalla competizione.
Aldilà della difficoltà di mostrare delle prove – per l’accusa – o di avere, al contrario, contro-prove o testimonianze a discarico – per la difesa – è la narrazione mediatica che giudica e condanna, quando si tratti di casi eclatanti – sia di cronaca nera sia riferentisi al #MeToo, dove gli accusati sono spesso messi alla gogna ancora prima che si svolga un eventuale processo e solamente per il fatto di essere famosi. Ma da dove nasce tutta questa campagna mediatica innescata da un movimento nel quale si sono viste, purtroppo, anche cosiddette vittime accusate a loro volta di molestie od omofobia (come nel caso di Jimmy Bennett v/ Asia Argento o di Andi Dier v/ Rose McGowan)?
Come spiega il collega Francesco Francio Mazza in un articolo del 2018: https://www.linkiesta.it/2018/02/ecco-perche-il-metoo-ha-fatto-a-pezzi-il-garantismo-e-lo-stato-di-diri/ (al quale vi rimandiamo), il “Title IX sulla base del sistema giuridico della ‘preponderanza dell’evidenza’ da parte delle università americane ha innescato un circolo vizioso che minaccia la libertà di espressione”. Sebbene l’approvazione, nel 1972, di tale legge federale negli Stati Uniti nascesse da un’affermazione delle pari opportunità in ambito sportivo accademico, e sia diventata poi un modo per porre un freno alle molestie e alle violenze nei campus statunitensi, bisogna ammettere che le università hanno cominciato ad applicarla in maniera ‘draconiana’ nel momento in cui l’ex Presidente Obama ha subordinato l’elargizione dei fondi federali all’utilizzo della stessa in maniera sanzionatoria.
Rispetto, però, al succitato articolo di Mazza va detto che, nell’agosto 2020, ci sono stati dei cambiamenti nel Title IX che, oggi, stabiliscono che le “scuole possano decidere lo standard della prova, tra preponderanza dell’evidenza e prove chiare e convincenti” (che è un livello medio di onere della prova). Sotto l’amministrazione Trump, quindi, si è ricominciato a mettere i paletti allo stato di diritto – aldilà delle enunciazioni misogine dell’ex Presidente.
Come emerge da un interessante documento scritto dalla professoressa Erin Collins (https://core.ac.uk/download/pdf/159569984.pdf), l’utilizzo recente del Title IX – che, da normativa che dava pari opportunità alle donne e alle diverse minoranze etniche, religiose, sessuali di accedere a posizioni e finanziamenti, è diventato uno strumento di espulsione dagli atenei, anche senza reali prove, di un presunto molestatore o violentatore, sempre maschio – non è utile, in primis, alle donne. Questo perché gli atenei, per garantirsi i fondi, possono utilizzare anche solo l’approccio sanzionatorio senza promuovere politiche inclusive e di prevenzione effettive; secondo, fanno scadere i principi garantisti che dovrebbero discendere dalla presunzione di innocenza fino a prova contraria; e infine, promuovere la presunzione disempowering (che toglie potere alle donne) di un agente sempre maschio e di una vittima sempre femmina è alla base di un approccio alle relazioni tra generi che crea un perpetuo circolo vizioso.
Stato di diritto e sessuofobia
Purtroppo, quando si perdono di vista i principi fondanti come la presunzione di innocenza fino a prova contraria o il fatto che le dichiarazioni di una vittima o di un testimone devono essere supportate da prove o da altre testimonianze credibili, è la società nel suo insieme a rischiare libertà civili conquistate con secoli di lotte.
Le femministe che non comprendono come l’affermazione di genere passi anche dallo smettere di vedere se stesse come ‘eterne vittime d’un sopruso’ (Francesco Guccini docet), e i maschi come ‘cattivi’ per antonomasia o immaturi come Peter Pan, perpetuano pratiche e politiche che ci depotenziano riconsegnandoci a meccanismi anche psicologici di subalternità. Voler, ad esempio, difendere una donna che vent’anni fa ha avuto un rapporto orale per una promozione immeritata in azienda e oggi si dice molestata, mentre siede sulla poltrona dell’AD, è un atteggiamento sessista.
Proprio il dipingerci come vittime bisognose di aiuto e di protezione, ci pone in una condizione di perenne dipendenza. Tanto da avallare politiche in cui lo Stato interviene prepotentemente nelle scelte e nelle vite dei propri cittadini, come in Danimarca, dove l’App iConsent dovrebbe garantire il consenso a un rapporto sessuale per 24 ore. Quella che può apparire come una grande vittoria delle donne che, in alcuni Stati, persino nel momento del coito possono cambiare idea e muovere un’accusa di violenza carnale se il partner non si ferma immediatamente, è in realtà l’ennesima conferma che le donne sono e resteranno un soggetto ‘debole’ – come un minore o una persona incapace di intendere e di volere.
Il potere delle donne, in questo contesto socio-culturale dove si viene meno allo stato di diritto, appare sempre di più un miraggio.
Venerdì, 12 febbraio 2021
In copertina: La copertina di Mechanical Animals, Marilyn Manson, 1998.