Speculare a Pisa metafisica, al Lucca Center arrivano i surrealisti
di Simona Maria Frigerio
Forse a causa dell’oppressione da lockdown, forse per pura coincidenza, mentre Palazzo Blu sulle rive dell’Arno ospita Giorgio De Chirico e la pittura onirico-simbolica dei metafisici, sulle sponde del Serchio si respira l’afflato ludico della liberazione dell’inconscio proprio del Surrealismo – quasi che, non potendo viaggiare fisicamente, la proposta del mondo dell’arte sia di farlo almeno con la mente, adesso che musei e gallerie hanno riaperto.
Iniziamo, quindi, questo nostro viaggio nella bellezza, dal secondo piano del Lucca Center dove si trova la Sala dedicata al catalano Joan Miró e a una serie di litografie a colori del ‘74, nelle quali l’artista gioca con gli elementi iconografici che lo hanno reso famoso, e con la vivacità dei colori primari che la sua fantasia giustappone per tradurre, su carta o tela, quel suo universo costituito da forme/simboli in interrelazione reciproca e con l’inconscio dell’osservatore – in mostra, da Miró Sculpteur Sweden a Miró Sculpteur Japan fino a Miró Sculpteur Italie.
Nella stessa Sala, più angoscianti nella loro costruzione ossimorica di una Vivante Mortalité (1973), le incisioni su carta Japon Nacré di Sebastián Antonio Matta – architetto e pittore cileno che ha vissuto e lavorato anche in Italia. Chiara nelle sue figure l’influenza di Picasso e forse persino di Iacovitti, mentre paiono originali gli spazi, ai confini tra conscio e inconscio, reale e onirico, in cui si muovono le stesse. Nella Sala accanto si cambia in parte registro con la serie – sempre di incisioni su carta – Les OH! Tomobiles del 1972, a metà strada tra la graffiante cattiveria della serie animata statunitense del 1968, Wacky Races, di Hanna e Barbera, e gli eccessi macabri e scabrosi del successivo Crash di David Cronenberg (altro maestro di visioni allucinate del possibile anche se improbabile), film del ‘96 ispirato all’omonimo romanzo di James G. Ballard del ‘73 – quasi coevo alle opere di Matta. E, viene da aggiungere, che ci sarebbe da chiedersi se questi corpi che si dirigono a suon di gran cassa verso l’abisso di una società votata all’autodistruzione non siano stati ammirati da Chuck Palahniuk prima della stesura di Rant.
Un ultimo particolare non trascurabile in Miró e Matta è la loro opposizione ai regimi che presero il potere nel corso del Novecento – di Franco in Spagna e di Pinochet in Chile – e la scelta, per entrambi, della Francia come patria d’elezione: per Miró fino all’invasione nazista e per Matta definitivamente dato che divenne cittadino francese.
Sempre al secondo piano opere minori di due artisti forse meno noti in Italia, il francese André Masson e il polacco Hans Bellmer (nato quando la Polonia era ancora parte della Prussia), esponenti di quell’arte considerata ‘degenerata’ dal Regime Nazista perché indagava le pulsioni erotiche che il nazismo avrebbe traslato in pulsioni di morte sperimentandole sulla carne delle sue vittime. Le fragili bambole violate di Bellmer, come le donne-grotta (o madre-terra) di Masson – in cui si perde l’uomo nella sua esplorazione erotico-fetale – non potevano che essere inaccettabili per il regime che si ispirava a manichei e aridi ideali di bellezza e perfezione ariana, con venature patriarcali e misogine.
Scendendo al primo piano troviamo alcune puntesecche a colori di Salvador Dalí, degli anni 70, ispirate alle opere di William Shakespeare. L’attività come illustratore ha interessato a più riprese il Maestro di Figueres (dove si trova la sua casa-museo, vero paradiso di giochi per adulti), che fu incaricato di porre la propria fantasia al servizio di opere letterarie capitali – quali la Divina Commedia, le Metamorfosi di Ovidio, il Decamerone di Boccaccio e Don Chisciotte della Mancia di Cervantes. Nella saletta accanto anche quattro piccole opere di René Magritte. Come sempre nell’artista belga è l’ironia la matrice principale di una restituzione onirica del mondo dove ritornano forme e temi, quali gli omini con bombetta, le metamorfosi e gli ossimori. Tra gli accostamenti inusitati, in mostra, La folie Almayer (acquaforte, 1968/69); mentre il gusto sottilmente sornione ci irride da Le prêtre marié – dove due mele (acquaforte e acquatinta a colori, 1968), con mascherina, restituiscono immediatamente gli archetipi del peccato originale e degli amanti (si confronti con il posteriore Gli amanti di Armando Testa che, in quelle due olive coricate tra lenzuola di spaghetti, sembra citare il Maestro surrealista e i suoi accostamenti tanto inusuali quanto densi di senso).
Giorgio di Chirico è anch’egli ospite della mostra lucchese con le sue piazze immobili in un tempo sospeso; i suoi eroi greci abbandonati sulle rive di un mondo che non riconoscono più come proprio; il suo amore per i cavalli, i manichini e le marine. L’artista, ‘padre’ della metafisica, privato però della brillantezza dei suoi colori a olio o a tempera, perde in parte quella forza straniante che lo ha reso celebre. Quasi che la nettezza materica coloristica sia in grado di rendere le fantasie oniriche di de Chirico ancor più ansiosamente evanescenti, fino a consegnarle al nostro immaginario con la forza di una finestra aperta sull’inconscio.
Nella Sala principale, al primo piano, ritroviamo Avida Dollars – come fu soprannominato l’artista catalano da André Breton nel ‘39 e, poi, da molti esponenti del movimento surrealista. La litografia su carta di Dalí, Le grand masturbateur (1960), è esemplificativa del suo gusto per l’uso di anamorfismo ed erotismo – che si dispiegano in un tipico paesaggio insieme lunare e desertico, vicino all’immaginaria località di Vermilion Sands, creata da J. G. Ballard (che torna spesso alla mente, osservando queste opere quasi che le sue parole scaturissero dalla medesima psiche). Originale anche per i colori freddi che contraddistinguono molte opere tardive, Der Wilde Tristan (litografia a colori, 1981), dove gli amanti rimandano anche ai manichini di de Chirico e soprattutto ai vari Ettore e Andromaca. E chiudiamo con gli spazi onirici Aukso Vilna (Le Toison d’or, litografia, 1973) e Place de la Concorde (acquaforte e puntasecca acquerellata a mano, 1975), entrambi autentici paesaggi della mente.
La mostra continua:
Lu.C.C.A. Lucca Center of Contemporary Art
via della Fratta, 36 – Lucca (LU)
La realtà svelata.
Il surrealismo e la metafisica del sogno
a cura di Silvia Guastalla e Maurizio Vanni
fino a domenica 6 giugno 2021
orari: (a seguito dei Dpcm causa Covid-19) dal lunedì al venerdì, dalle ore 14.00 alle 20.00. Necessaria la prenotazione via email info@luccamuseum.com o telefonica 0583 492180 (durante gli orari di apertura)
Venerdì, 12 febbraio 2021
In copertina: Una sala della mostra (foto gentilmente fornita dall’ufficio stampa del Lu.C.C.A. Center)