Dai vaccini all’economia: tutto quello che gli altri non raccontano
di Simona Maria Frigerio
Siamo stati tra i primi e, in Italia, forse tra i pochissimi, a scrivere che il nostro Paese, di fronte alla pandemia, stava facendo peggio di qualsiasi altro al mondo e che i nostri dati circa la mortalità del virus erano inaccettabili, mentre la stampa compiacente corteggiava il Governo avallando affermazioni tanto pindariche quanto insensate (https://www.theblackcoffee.eu/le-ultime-parole-famose/). Oggi che è chiaro a tutti, grazie allo studio della Johns Hopkins University, che abbiamo il tasso di mortalità ogni 100 mila abitanti più alto al mondo, escludendo Città/Stato o Paesi piccoli come il Belgio (perché, anche se le proiezioni Istat di luglio davano il numero reale dei contagiati sei volte superiore a quello registrato dai tamponi, altrettanto si potrà supporre per gli altri Paesi), stiamo finalmente rimettendo in rotta la barca-Italia?
A fine dicembre faceva specie rilevare, ad esempio, che in India su oltre 10.260.000 casi (a fronte di una popolazione di un miliardo e 300 milioni di persone, ossia lo 0,7%), i deceduti erano soltanto 148.000 (l’1,5%). E se anche moltiplicassimo il dato per sei (o come suppone l’Oms, per dieci) il rapporto tra i due termini non cambierebbe. In Italia su 2.083.000 casi (su 60 milioni di abitanti, ossia il 3,4% della popolazione), i morti erano oltre 73.600 (il 3,5%). E non si pensi che il dato in India sia suscettibile di grandi variazioni dato che i guariti al 30 dicembre erano ormai oltre 9.860.000. Nonostante l’azzeramento della vita pubblica e l’affossamento dell’economia del Paese, l’Italia e la sua sanità si sono dimostrate altamente inefficaci.
Nel blu dipinto di blu
A inizio 2020 l’Italia affrontava la crisi della pandemia, invece che con un piano pandemico efficiente e aggiornato, con un metodo da cerusico – ossia sbattendo la porta in faccia al virus che, nell’epoca dei voli intercontinentali, si traduceva in chiudendo i voli diretti con la Cina. Il virus rientrava dalla finestra (ossia attraverso gli scali); anzi, ci si rendeva conto che forse era qui fin dall’estate del 2019 – e forse lo abbiamo perfino esportato noi…
Abbiamo imparato? Non sembrerebbe se a dicembre il Ministro degli Esteri Di Maio sospendeva i voli con la Gran Bretagna a causa della presunta scoperta di una variante del Covid-19. Dopodiché si apprendeva che in Italia già ad agosto era stata rilevata una variante simile in quel di Brescia, come da dichiarazioni di Arnaldo Caruso – presidente della Società italiana di virologia. E in ogni caso, la cosiddetta variante inglese è ormai diffusa in tutta Italia (vedasi gli articoli de L’Avvenire e Il Corriere della Sera).
Il virus preso in discoteca infetta più a lungo?
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità il Covid-19 si sviluppa tra i 2 e i 5 giorni dal momento del contagio. Per fare un esempio concreto, se mi contagio il 20 agosto avrò i primi sintomi (nel caso li abbia) tra il 22 e il 25 dello stesso mese. Il Governo però tuona (a ottobre) contro i vacanzieri, soprattutto giovani o discotecari, che avrebbero importato il virus al rientro dalle vacanze agostane (nonostante i tamponi a porti, aeroporti e frontiere?). Ora, il 31 agosto l’incremento giornaliero dei positivi era di 996, il 15 settembre (a causa dei succitati vacanzieri) 1.229 – numeri gestibili, quindi, e i cui contatti sarebbero stati facilmente tracciabili.
A conferma della mancanza di preoccupazione delle autorità, a questo punto riapre tutto. Il Governo e i Sindacati non pensano minimamente di sedersi al tavolo delle trattative (dove i secondi sgomitano per arrivare) così da discutere di orari differenziati per gli uffici della Pubblica Amministrazione, le scuole superiori e l’Università. Sarebbe bastato aprirli alle 9.30 invece che alle 8.00 per evitare assembramenti sui mezzi pubblici, senza nemmeno bisogno di cercare di potenziare questi ultimi nelle ore di maggior affollamento. Ma questo Governo così pronto a tuonare contro le discoteche (che è bene ricordarlo avevano già chiuso a metà agosto) aumenta addirittura la capienza consentita sui mezzi all’80%, come se il virus non fosse più un problema – contando a buon conto sulla cattiva memoria degli italiani e soprattutto dei mass media.
I risultati non si fanno attendere. Al 30 settembre i positivi giornalieri salgono a 1.851, il 15 ottobre sono 8.804, il 30 dello stesso mese 26.831, complice l’effetto freddo su un virus influenzale – a distanza di due mesi dal rientro dalle vacanze e a due e mezzo dal divieto di gozzovigliare ballando. Probabilmente solo un analfabeta a questo punto non capirebbe quali scelte politiche hanno causato la seconda ondata. Cosa servirebbe fare per far ripartire l’economia in sicurezza a gennaio? Invece di vessare gli studenti delle superiori con la didattica a distanza per il 50% degli alunni, e i lavoratori con l’ex telelavoro – oggi denominato smart working per aumentarne l’appeal – semplicemente posticipare l’apertura di uffici pubblici, università e scuole superiori e, nel contempo, allungare gli orari dei servizi (pubblici o privati che siano) e delle attività commerciali.
In tutta questa retorica dell’#Iorestoacasa è venuto in mente ai sindacati di chiedersi come stiano i lavoratori smart? Per otto ore al giorno su tavoli e sedie da cucina, utilizzando computer spesso portatili e il proprio cellulare, in spazi decisamente non adatti, mentre consumano la propria elettricità, il riscaldamento di casa e, a volte, anche il proprio collegamento in rete. Certo tutto ciò farà risparmiare gli imprenditori – consentendo un possibile azzeramento dei diritti anche nelle aziende di medio-grandi dimensioni – e spesso fornendo un servizio, nel caso dell’amministrazione pubblica, inadeguato alle necessità dei cittadini (costretti a ricorrere a conoscenze burocratiche e a mezzi informatici difficilmente alla portata di tutti).
L’eroe è sempre eroe per sbaglio, il suo sogno sarebbe di essere un onesto vigliacco (Umberto Eco)
Medici e infermieri hanno avuto vita grama nel 2020, mandati a gestire un’epidemia virale senza gli adeguati mezzi di protezione individuale ma addirittura con sacchetti della spazzatura per camice, trasformandosi quindi essi stessi, involontariamente, in mezzi di diffusione del Covid-19 tra pazienti ricoverati con altre patologie; impossibilitati a fare ricerca a causa del divieto di fare autopsie; richiamati al proprio presunto dovere anche se ormai in pensione e potenzialmente, per età, proprio nella categoria a rischio (età media dei morti in Italia dagli 80 agli 85 anni a seconda del sesso); oppure abbindolati a prestare servizio senza congruo compenso – ma solamente con vitto, alloggio e una diaria – quasi fossero come noi, comuni mortali, che, prima di accedere a un posto di lavoro con regolare assunzione, trascorriamo ameni anni a fare stage, tirocini, laboratori o collaborazioni sempre su base volontaristica.
Eroi, quindi, di un sistema sanitario pubblico al collasso, buoni per la narrazione bellica corrente. Poi arriva il vaccino e molti tra medici, infermieri e operatori delle Rsa esprimono scetticismo (gli ultimi dei quali avrebbero fruito di tamponi veloci ogni 72 ore in uno Stato serio, così da evitare la seconda ondata di contagi a cui abbiamo assistito tra i pazienti ricoverati nelle Case di riposo). D’un tratto gli eroi – termine di comodo usato dal potere per nascondere le proprie manchevolezze, tra le quali i mancati investimenti in terapie intensive in quasi tutte le regioni italiane, tranne Veneto, Friuli Venezia Giulia e Val d’Aosta – si ritrovano spodestati come atleti pizzicati per doping. “Dalle stelle alle stalle”, recitava Valentino Rossi in uno spot dopo l’affaire con il fisco.
Nessuno a chiedersi come si sia potuto sviluppare un vaccino sicuro ed efficace in un decimo del tempo che normalmente occorrerebbe o perché le case farmaceutiche (Report insegna) vorrebbero scaricare il rischio vaccinale – con conseguenti risarcimenti – sugli Stati che adotteranno la vaccinazione di massa. La politica della vaccinazione di massa sarebbe tesa a vaccinare i sani per proteggere i malati? Non è così se i malati e gli ultraottantenni (ossia le categorie a rischio) sono i primi a essere vaccinati.
Nessuno sa quanto dura l’effetto della vaccinazione. E a quali categorie può creare problemi seri di salute – al momento sembrerebbe agli allergici, ma le persone finora testate sono troppo poche per avere una risposta certa. Di certo sappiamo che il 30 dicembre i positivi in Italia erano 564.395, i ricoverati con sintomi 23.566, il 4,1% (di cui in terapia intensiva 2.528, lo 0,4%), mentre quelli a casa 538.301 (il 95,3%).
Perché vaccinare chi sviluppa i sintomi di una normale influenza – o anche meno? Perché vaccinare milioni di italiani che hanno già contratto il Covid-19 (dato che svilupperebbero anticorpi)? Perché tanti dubbi in merito ai vaccini sviluppati in Russia e nessuno quando a lanciare il proprio prodotto è un’azienda statunitense – consociata con una tedesca – sebbene il suo uso e conservazione appaiano potenzialmente più complicati?
Abbi dubbi diceva qualcuno in tempi non sospetti.
L’affaire vaccini: qualche ‘conto della serva’
Del ‘buon padre di famiglia’ non ne possiamo più – come dimostrano i recenti sondaggi sul gradimento degli italiani rispetto al Premier Conti. Ma entriamo ancor più nel merito e facciamo alcune considerazioni a margine dei famosi 220 milioni di vaccini opzionati dall’Italia. Grazie a Report è apparso anche nel nostro Paese il tweet dellaMinistra del bilancio del Belgio, Eva De Bleeker, che ha svelato “il valore economico dei contratti firmati da Bruxelles con le case farmaceutiche”. Accordo che non si sa perché sia stato tenuto segreto quando a pagarlo dovranno essere le tasche dei cittadini europei con le loro tasse: le spese pubbliche dovrebbero essere oggetto di discussione altrettanto pubblica – a nostro avviso.Dal tweet apprendiamo che una dose di vaccino può costare da 1,78 Euro (AZ) a 18 Euro (Moderna), passando per i 12 Euro del BioNTech/Pfizer. Dai conti fatti dai colleghi della Rai, l’Italia spenderà per le dosi opzionate 1.534.148.483,32 Euro (come riportato su https://www.rai.it/programmi/report/news/2020/12/LItalia-potrebbe-spendere-per-i-vaccini-anti-Covid-15-miliardi-di-euro-lintera-Europa-oltre-11-miliardi-f9239737-3226-49e1-bd16-24b9390c85c3.html) e “queste cifre potrebbero cambiare qualora alcuni dei vaccini non superassero il vaglio dell’Ema, l’agenzia regolatoria europea. In quel caso però parte di queste risorse resterebbero nelle casse delle case farmaceutiche. Gli accordi firmati con le aziende prevedono infatti che l’Ue prende in carico parte del rischio di mancata approvazione dei farmaci. Quanto [sic] è ancora un segreto. Così come segrete restano le clausole che potrebbero esonerare le case farmaceutiche dalla responsabilità civile per eventuali eventi avversi dei vaccini”.
A questo punto sorgono spontanee altre domande. Nessuno si chiede come mai vaccinare l’intera popolazione quando meno del 5% della stessa ha sintomi tali da richiedere il ricovero (mentre il 95% va dall’assenza totale di sintomi a una normale influenza) e, di questo 5%, si sa quali sono le categorie a rischio (ossia la terza età e/o le persone con patologie preesistenti)? Dato che qualsiasi spesa dello Stato dovrebbe essere motivata da un calcolo costi/ benefici non si capisce se qualcuno abbia fatto degli studi statistici in merito alla vaccinazione di massa e all’alternativa della vaccinazione per categorie di persone a rischio e operatori che trattano con gli stessi. Ci si chiede altresì perché opzionare oggi, su una popolazione di 60 milioni quale la nostra, 220 milioni di vaccini di tipo diverso – con conseguenti problemi di gestione degli eventuali richiami da qui a 6/12 o 24 mesi a seconda della durata prevista dell’effetto vaccinale (del resto del tutto ipotetica visti i tempi brevi di sviluppo dei farmaci). Ma ci si chiede anche a cosa serva opzionare oggi dosi di vaccini che, nel giro di pochi mesi, potrebbero essere superati da altri magari più sicuri, più efficaci, con coperture più estese nel tempo, meno costosi o con minori effetti collaterali (compreso il tanto ‘strombazzato’ vaccino italiano).
Viene quasi il dubbio che tutta questa frettolosa rincorsa ad accaparrarsi milioni di dosi sia indotta da altri motivazioni.
Mai più lockdown
Se i Verbali del Comitato Tecnico Scientifico desecretati (https://www.theblackcoffee.eu/tag/verbali-del-comitato-tecnico-scientifico/) già raccontavano che il lockdown non era necessario, e se per mesi i governi europei e non solamente quello italiano, hanno ripetuto (a ragione) che non ci si poteva permettere un secondo lockdown, sembra si sia fatto di tutto per ricadere nelle stesse dinamiche.
I numeri Istat a proposito della nostra economia reale sono impietosi. Leggiamoli insieme (https://www.istat.it/it/files//2020/12/REPORT-COVID-IMPRESE-DICEMBRE.pdf). Tra giugno e ottobre (quindi, prima del secondo lockdown) 7 imprese su 10 registravano un calo del fatturato, un terzo segnalava rischi di sostenibilità delle proprie attività e un altro terzo aveva chiesto “il sostegno pubblico per liquidità e credito”. Mentre oltre il 40% aveva fatto ricorso alla Cassa integrazione o a strumenti similari (e ricordiamo che questa cassa integrazione è stata sostenuta in gran parte dalla fiscalità generale). Sempre a proposito della Cig, si legge che, a fine novembre “l’adozione di specifiche misure di gestione del personale […] riguarda oltre tre quarti delle imprese italiane con almeno 3 addetti (circa 754 mila unità, che impiegano 11,1 dei 12,8 milioni di addetti complessivi dell’universo di riferimento)”.
Le imprese “con un profilo di rischio molto elevato” secondo l’Istat sono il 15%, pari a 1.200.000 addetti di cui 900 mila nei servizi (i lavoratori di cui non sembrano essersi preoccupati né il Governo né i Sindacati quasi fossero di serie B). Ma si vede la fine? Sembrerebbe di no se 6 imprese su 10 prevedono perdite di fatturato tra dicembre e febbraio (e nel 40% dei casi tra il 10 e il 50%). I settori più colpiti si confermano i “servizi di alloggio, ristorazione, agenzie di viaggio e tour operator, attività sportive, di intrattenimento e divertimento, attività creative e artistiche” – ossia tutto ciò che fa della vita non solamente un ingranaggio di produzione e consumo.
Quasi la totalità delle imprese con 3 addetti o più ha dovuto sostenere costi non preventivati per adeguare i processi produttivi alle misure di prevenzione del contagio. Nel 23,6% dei casi (pari al 32,9% dell’occupazione) il costo è “stato percepito come rilevante o molto rilevante”. Mentre per palestre e piscine, cinema e teatri, gallerie d’arte e musei, ristoranti e bar, oltre a estetisti, negozi non alimentari e per tutta una serie di altre attività tale sforzo economico è stato vano – meglio avrebbero fatto ad abbassare le serrande e a risparmiare i propri risparmi.
Per l’Istat circa 73 mila imprese sono chiuse (al momento della stesura del Report) e di queste 17 mila prevedono di non riaprire (ossia l’1,7% delle imprese e lo 0,9% degli occupati). Nel commercio sono state chiuse oltre 390 mila imprese non alimentari, dell’ingrosso e dei servizi (secondo uno studio di Confcommercio) non compensate dall’apertura di 85.000 nuove imprese. Se il 15 gennaio tutta una serie di attività continuerà a restare chiusa questi dati peggioreranno ulteriormente ed è inutile nascondercelo.
Sebbene lo Stato abbia pensato di scaricare i propri fallimenti sul privato cittadino – che fallirà in proprio o si ritroverà licenziato – in realtà il boomerang tornerà a chi lo ha lanciato perché un minor gettito Irpef, Iva e Irpeg comporterà minori entrate e una effettiva difficoltà per lo Stato di ripagare il debito pubblico lievitato, nel frattempo, di quasi 200 miliardi di euro in un solo anno, o di versare quanto dovuto per stipendi della pubblica amministrazione e pensioni – senza citare i recuperi Irpef, dovuti anche alla pioggia di agevolazioni e bonus, che si prevede (secondo i commercialisti di Elexia) superino i 23 miliardi (se vi sembrano pochi pensate che l’intera manovra economica per il 2021 sarà pari a 40 miliardi).
Nei musei e dopo le 22.00 il virus impazza
Tra le tante, troppe vessazioni cavillose che questo Governo ha regalato agli italiani, a parte l’arcobaleno cangiante degli ultimi mesi, vanno annoverati il coprifuoco (con i fallimenti di attività ludico-ricreative, culturali e della ristorazione, oltre all’evidente stress psicologico prolungato per milioni di persone rinchiuse in casa); la chiusura di musei, teatri e cinema (nonostante l’evidente mancanza di contagi in tali spazi, laddove è proprio la casa il luogo più ‘pericoloso’); e l’azzeramento di una sana attività fisica che lascerà pesanti strascichi sul fisico e la psiche di milioni di italiani (come stanno denunciando medici e psichiatri).
Ma soprattutto, con la seconda ondata del virus, ancora una volta sono state proprio le attività che danno un senso alle nostre esistenze – e non solamente quelle in cui forniamo tempo e intelligenza per far funzionare il sistema capitalistico/consumistico – a essere state considerate perniciosamente superflue o velleitarie (guarda caso insieme al diritto allo studio), le prime a essere proibite e che non si sa quando potranno riprendere. Su questo punto un’Europa – e non solamente un’Italia – pragmaticamente scettica dovrebbe porsi delle domande; così come gli artisti dovrebbero chiedersi perché siano diventati superflui – non si può sempre scaricare la colpa sull’ignoranza altrui. Forse recuperare un atteggiamento di partecipazione nei confronti delle dinamiche sociali ed economiche in atto riporterebbe l’artista a fianco degli altri lavoratori e questi ultimi si renderebbero conto che, come citava un manifesto di Marina Abramović, “siamo tutti nella stessa barca”. Certo è che se il teatro, in primis ma non solo, dipende economicamente dallo Stato sarà difficile che, anche a breve, scenda in piazza con i milioni di lavoratori che perderanno il posto nei prossimi mesi in tutta Europa.
Per ‘salvare’ il Natale si è chiuso tutto già a ottobre, e non solamente non si è salvato il bambinello ma lo si è gettato via insieme all’acqua sporca.
Venerdì, 8 gennaio 2021
In copertina: Gli sprechi del Governo Conte. Foto di Simona M. Frigerio (vietata la riproduzione).