…e poi dicono che gli italiani vanno ‘raddrizzati’!
di Simona Maria Frigerio
In questi tempi scioperati, non sapendo cos’altro fare, si finisce persino per naufragare sui Soliti Ignoti Rai. E così, prima dell’ennesimo Montalbano riciclato, abdico al vuoto mentale per qualche minuto – ma poi comincio a innervosirmi.
In questi mesi ci hanno martellati (non solamente i politici e i giornalisti ma anche conoscenti e amici) col fatto che gli italiani sono indisciplinati, che bisogna imporre regole rigide (e, aggiungerei, vessatorie) perché è impossibile avere fiducia nel senso di responsabilità delle persone e, via via, le regole sono diventate sempre più castranti, fino a imporre l’uso della mascherina sempre e ovunque – il che è assolutamente inutile ma corrisponde quasi (metaforicamente) ad aver messo a tutti la museruola (compresi teatro, cinema, musei e cultura in senso generale), salvo che a categorie indispensabili alla nuova società quali i conduttori di giochi a quiz demenziali, che proseguono imperterriti nella loro attività.
E così guardo questo Soliti Ignoti (che copia il titolo di un film culto del Novecento firmato da Mario Monicelli) e osservo con particolare attenzione i concorrenti. Questi uomini e donne che si prestano non solamente a stare in piede, immobili, rigidi come statue, inespressivi per parecchi minuti consecutivi ma che, se devono fare qualcosa, lo fanno seguendo ritmi mortalmente lenti – che sono una sciommiottatura (da ‘dobbiamo tirarla per le lunghe’) dei tempi della suspense, ovviamente conditi con tanto di musica che vorrebbe rimandare a qualche thriller kitsch all’italiana.
Guardo questi maschi italiani che, per regalarsi i cosiddetti 15 minuti di celebrità (à la Warhol), si sono parati con l’abito della domenica – come se si fosse ancora negli anni d’oro della tivù in bianco e nero – mentre le donne si sono imbellettate come bambole di porcellana e che, tutti impettiti, sembrano in fila per la visita della naja o per l’appello della scuola da bacchettata sulle dita. Paiono avere introiettato i comandi ed essersi arresi a chi, per mesi, gli ha fatto il lavaggio del cervello con ammonizioni da scolaretti che stiano schiamazzando un po’ troppo nel cortile di scuola: “Non è un libera tutti!”.
Tiremm innanz (Amatore Sciesa permettendo)
In Napule ‘70. Chille de la balanza, l’interessante libro di Matteo Brighenti che racconta, attraverso lo spettacolo omonimo, la vita artistica e le lotte politiche di Caudio Ascoli e della sua Compagnia, si legge un paragone quanto mai azzeccato tra le imposizioni del lockdown (ormai dei due periodi di confinamento) e la vita dei ‘matti’ in manicomio. Su sollecitazione di Brighenti, Ascoli spiega: “Gli internati, come si chiamavano, venivano contati di continuo. La conta mi rimanda al mondo di oggi, in cui siamo succubi del conteggio dei positivi, dei contagiati, dei morti per Covid-19. Il passaggio dalla persona al numero è esattamente il processo nell’istituzione totale: la vita diventano i numeri. Il manicomio è il luogo dove non serve parlare, le persone o hanno un’afasia o parlano in un vaniloquio. Le loro parole sono private di senso, mentre sono piene di sensi, perché sotto ci sono i corpi. Il rapporto corpo-parola mai come in un manicomio è molto denso, molto forte e invece viene sottaciuto, al pari della cura di sé. Durante il nostro confinamento a casa abbiamo ritenuto fondamentale il cibo e le medicine, la sopravvivenza quantitativa. Quella qualitativa, la cultura, la cura del corpo, non è stata ritenuta essenziale ed è stata proibita. Pensa che la rivoluzione basagliana fa entrare i parrucchieri, poi s’insegnerà a leggere e a scrivere. Il nesso con il manicomio che fu è fortissimo oggi: pure noi siamo stati internati”.
Leggendo le parole di Ascoli ho ripensato alla sigarettina, alla ‘cicca’ che il matto elemosinava, a quelle immagini di esseri abbruttiti, sdentati, scapigliati, sporchi e sgualciti che ci mostravano i documentari degli anni 60 e 70 – a volte, persino con le migliori intenzioni, per farci ‘compatire’ i poveri alienati, così da porci su un piedistallo di salute mentale e fisica accompagnata, ovviamente, da una altrettanto sana morale. Perché in manicomio ci si finiva anche se si era ‘isteriche’, lesbiche o omosessuali, se si era subito un trauma in guerra, se magari si rimaneva incinte o come esito dell’abbandono – dopo anni di brefotrofio (dove, come spiega il vocabolario, si allevavano i neonati ‘illegittimi’).
Siamo tornati a quell’Italietta ipocrita e conformista? Che erigeva muri per separare chi era conforme e chi alienato? A quegli anni in cui se una donna si arrabbiava, il marito poteva chiamare il Paolo Pini, a Milano, e farla portare via con la camicia di forza perché era ‘uscita pazza’? E siamo davvero solamente numeri come nei lager o nei gulag? Siamo solo pance da riempire con cibo-spazzatura e una pletora di programmi di cucina (che ci ammorbano in tutte le salse da anni); o da tenere ‘buoni’ con il nuovo ansiolitico da pubblicità televisiva o un sempreverde antidepressivo (che ha sostituito il meno ‘civile’ elettroshock)?
“Love is not a victory march” cantava Leonard Cohen e, forse, con persino maggiore pathos, Jeff Buckley. Eppure in tempi di Covid-19 invece di sorreggerci reciprocamente si è gridato all’untore, si è additato chi aveva un dubbio o una visione altra come negazionista, si è rincorso un folle mondo totalizzante dove la verità è unica e chi non la condivide va allontanato – alienato. Ieri come oggi.
Per non dimenticare:
Sui bambini rinchiusi in manicomio:
https://video.repubblica.it/webseries/pazza-liberta-40-anni-di-legge-basaglia/3-torino-il-manicomio-dei-bambini-dal-buio-alla-luce-storie-di-rinascita/305529/306158
Teatro Nucleo in L’attore in manicomio (1977/78):
https://www.youtube.com/watch?v=0mLQAcCb5Bg
Danio Manfredini in Al presente: https://www.youtube.com/watch?v=uLQfBWm59eY
Daniele Giuliani in Memorie dal Reparto N° 6:
https://www.youtube.com/watch?v=uFGa9OTzTXo
Matti da slegare, docu-film di Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Sandro Petraglia, Stefano Rulli (1975).
Krajany di Christian Fogarolli, mostra presso la Tenuta dello Scompiglio di Vorno (2018): http://www.artalks.net/morte-morire/
Venerdì, 18 dicembre 2020
In copertina: Foto di Peter H. da Pixabay.