L’arroganza del potere
di Simona Maria Frigerio
La frase del titolo non è stata pronunciata da John Gotti o da Nucky Thompson (l’eccellente Steve Buscemi) di Boardwalk Empire, bensì dal protagonista del serial Chicago P.D. – come sentiamo ripetere a ogni pubblicità su Top Crime – ossia dal capo dell’Unità Intelligence del Dipartimento di Polizia di Chicago.
Qual è il problema?
A maggio tutto il mondo e, in primis l’Europa dei diritti (a parole, visto anche il recente ricatto di Polonia e Ungheria al Consiglio Europeo), è inorridito di fronte all’omicidio di George Perry Floyd, la cui morte è seguita alla brutalità con la quale fu effettuato l’arresto da parte dell’agente di polizia Derek Chauvin. Dopo l’ubriacatura per Obama, gli States si sono risvegliati razzisti e violenti quanto ai tempi dei Los Angeles Riots (1992) conseguenti l’assoluzione dei quattro agenti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles che avevano pestato brutalmente Rodney King (afroamericano come Floyd) durante un arresto. In entrambi i casi (e andrebbe sottolineato che nei trent’anni trascorsi un Presidente afroamericano non ha minimamente influito sulla violenza delle forze dell’ordine, soprattutto nei confronti delle minoranze) i fatti furono ripresi da telecamere e, sebbene nel caso di King, i poliziotti non siano stati giudicati colpevoli, almeno l’opinione pubblica è venuta a conoscenza dei fatti – e la consapevolezza è basilare in ogni sistema democratico perché può determinare le nostre scelte di voto o la richiesta di nuove leggi.
Eppure, nonostante tutto ciò, Top Crime non solamente trasmette un telefilm come Chicago P.D. ma lo pubblicizza usando una frase che giustifica il fatto che un Capo della polizia possa mentire per i ‘suoi uomini’. Mentire a chi? All’opinione pubblica in caso si verifichi l’uccisione di un sospettato durante un arresto? Davanti a un giudice in caso di un arrestato torturato per avere informazioni?
La Francia della ‘sicurezza globale’
In queste ultime settimane la Francia assediata dal lockdown è tornata, nonostante tutto, in piazza. E lo ha fatto per esercitare un basilare diritto della democrazia, ossia manifestare contro una legge che si ritiene ingiusta. In effetti è attualmente al vaglio la Loi Sécurité Globale (anche se parrebbe che, grazie alle proteste, l’articolo 24 dovrebbe essere riscritto sebbene non stralciato), che pretenderebbe di imporre, in Francia, norme a dir poco liberticide. L’articolo di cui sopra, in particolare, vieterebbe ai civili e ai giornalisti di mostrare il volto di un agente delle forze di polizia che commetta atti violenti o criminali sia sui social sia sui media. La scusante per tale proibizione sarebbe che le pubblicazione minerebbe “l’integrità fisica e psicologica” dell’agente stesso (quella del manifestante va da sé che non conta). La pena per chi contravvenisse (anche fosse un giornalista nell’esercizio della professione) sarebbe un anno di reclusione o una pena pecuniaria fino a 45 mila Euro.
Contro questo abominio del diritto o questo futuro Stato di polizia che potrebbe accogliere, a breve, le proteste dei francesi – che si ritroveranno in una crisi economica molto simile a quella italiana per dimensioni e gravità – sono scesi in piazza non centri sociali o frange oltranziste (come i poteri forti amerebbero si raccontasse) bensì i sindacati dei giornalisti e diverse Ong che si occupano dei diritti umani – tra le quali, anche Amnesty International.
La legge conterrebbe anche altri articoli preoccupanti, dato che si vorrebbe rendere legittima la “sorveglianza di massa”. Sembrerebbe, quasi, che le App per il Covid-19 siano solamente il grimaldello per spalancare un portone, mentre le pratiche dell’intelligence statunitense denunciate da Edward Snowden (https://www.theblackcoffee.eu/cosa-rimane-delle-rivelazioni-di-edward-snowden/) potrebbero diventare la realtà per milioni di francesi. Ciliegina sulla torta, il New National Policing Scheme, costringerebbe i rappresentanti della stampa a disperdersi, durante le manifestazioni, se ordinato dalle forze dell’ordine. Addio, quindi, al diritto/dovere di cronaca e informazione.
Occorre, a questo punto, riportare i primi tre principi della Carta dei doveri del giornalista, sottoscritta in Italia l’8 luglio del ‘93 – solo per ricordare ai cittadini (e ai colleghi) cosa dovrebbe significare fare il giornalista:
“Il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile”.
“Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza e il controllo degli atti pubblici”.
“La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla a interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del Governo o di altri organismi dello Stato”.
Se in Italia non si è riusciti a incriminare molti poliziotti per i fatti della Diaz e della Caserma di Bolzaneto (dopo il G8 di Genova del 2001, https://www.theblackcoffee.eu/noi-credevamo-seconda-parte/) fu proprio perché gli stessi non erano stati chiaramente identificati. Le riprese video, oggi effettuabili con uno smartphone anche da semplici cittadini, possono quindi fare la differenza tra la determinazione delle responsabilità e l’impunità ma, soprattutto, possono essere un valido deterrente per la violenza stessa. Non capirlo denota solamente come il potere si stia sempre di più barricando in un clima di terrore indotto e autoconservazione autoritaria.
Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge?
In Israele sembrerebbe di no. Se per decenni sono stati gli arabi israeliani a rendersene conto o i palestinesi tout court, adesso sono gli ebrei israeliani, travolti dalla crisi economica causata dalla pandemia, a scendere in piazza contro il Primo Ministro Benjamin Netanyahu (che, tra l’altro, afferma di avere, con il neoeletto Presidente Usa Joe Biden: “una relazione personale lunga e calda per quasi 40 anni”).
Ma di cosa sarebbe accusato il Premier, oltre che di una pessima gestione dell’epidemia che ha aggravato la crisi economica?
Come scrive https://sicurezzainternazionale.luiss.it (e riportiamo per intero per dovere d’informazione): “Sono tre i casi che vedono imputato Netanyahu. Il primo è noto come ‘Caso 1000’, dove il Premier è accusato di abuso d’ufficio, in quanto avrebbe ricevuto, tra il 2007 ed il 2016, regali del valore di circa 240 mila dollari [secondo Agi.it, 260 mila Euro, n.d.g.] in cambio di agevolazioni fiscali per gli imprenditori mittenti dei regali, miliardari oltreoceano. Il ‘Caso 2000’ vede Netanyahu impegnato in presunte negoziazioni con Arnon ‘Noni’ Mozes, il proprietario di uno dei maggiori quotidiani israeliani, Yedioth Ahronoth, volte a ottenere maggiore copertura mediatica in cambio di una circolazione limitata del quotidiano gratuito rivale, Israel Hayom. […] Infine, il caso considerato più rilevante è il ‘Caso 4000’, riguardante la relazione tra Netanyahu e l’azienda di telecomunicazioni Bezeq”. A tal proposito Euronews.com chiarisce: “Stando agli inquirenti Netanyahu avrebbe concesso una serie di favori normativi del valore di circa 1,8 miliardi di shekel (circa 450 milioni di Euro) a Bezeq, la principale azienda israeliana nel settore delle telecomunicazioni. In cambio il Premier e sua moglie avrebbero ricevuto un trattamento di riguardo nelle notizie pubblicate da Walla, uno dei siti d’informazione della compagnia, controllata a quei tempi da Shaul Elovitch. Un ‘do ut des’ per cui sono indagati anche Elovitch e sua moglie”.Ora, aldilà che il Premier vada considerato (come qualunque altro cittadino) innocente fino a sentenza passata in giudicato, sorge spontanea la richiesta dei manifestanti perché lo stesso si faccia da parte, affronti le proprie responsabilità in Tribunale e, poi, nel caso di assoluzione, riprenda la vita politica. Se anche non vi è una legge scritta in tal senso, andrebbe infatti notato che è la prima volta nella storia d’Israele che un Capo di Governo in carica finisce in aula (con le accuse di corruzione, frode e abuso di potere). Ehud Olmert, infatti, ebbe almeno il buon gusto di dimettersi prima del processo che lo coinvolse e che finì con una condanna.
L’arroganza del potere, però, si vede anche in queste scelte politiche che, invece di privilegiare la coesione della cittadinanza (in un momento oggettivamente complesso e difficile come questo) e facilitare una giustizia rapida ed efficace, vi si oppone come se contasse più l’uomo di ciò che egli rappresenta, quando al contrario – soprattutto in politica – è la funzione che si ricopre che va protetta da qualsiasi ombra che possa inficiarne il valore.
Venerdì, 18 dicembre 2020
In copertina: Foto di Christian Dorn da Pixabay.