Mascherina e Niqab, cinema e teatro: dove sta la differenza?
di Simona Maria Frigerio
Anni fa uno tra i maggiori poeti, Pablo Neruda, scrisse una poesia intitolata Tu risa (Il tuo sorriso), di cui riportiamo le righe finali: “niégame el pan, el aire, / la luz, la primavera, / pero tu risa nunca / porque me moriría” (“negami il pane, l’aria, / la luce, la primavera, / ma il tuo sorriso mai / perché ne morirei”, t.d.g.).
Il sorriso, come il gesto, la postura, la distanza che poniamo dall’interlocutore, il tono della voce, il contatto visivo (o la sua assenza), sono tutti mezzi attraverso i quali l’essere umano si esprime. Dato che, se è vero, che ognuno di noi pensa di comunicare a parole, è altrettanto vero che la comunicazione non verbale pesa molto più di quanto si creda ed è facile rendersene conto anche nella vita quotidiana: quanti litigi nascono per telefono, o attacchi personali inconsulti si celano nei social? In parte perché il telefono come il social maschera, dà un’illusione di protezione quando si voglia ferire qualcuno. Diminuisce la nostra percezione dell’aggressione che stiamo compiendo. Ma in parte ciò è dovuto al fatto che anche quando litighiamo a voce, a volte, il nostro corpo mitiga il dettato, così come quando vogliamo celare fini altri è il nostro sguardo a rivelarci.
Non occorre studiarsi L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali di Charles Darwin per sapere che i muscoli facciali si stirano nello stesso modo in tutto il mondo per esprimere felicità, indipendentemente dalla cultura di appartenenza; perché basterà guardare un bambino, ancora nella culla, che afferra un sonaglio e le dita dei genitori per scoprire la gioia che prova attraverso il suo sorriso. Ovviamente, a seconda della cultura di appartenenza, negli anni, impareremo che, ad esempio, non è sempre ben educato ridere a bocca aperta mostrando i denti; oppure che gli orientali, spesso, ridono a causa dell’imbarazzo dovuto a una propria mancanza e non perché godano nel prendere per i fondelli il turista malcapitato. Ma di base ciò che ci trasmette fiducia nell’altro sono uno sguardo aperto, una postura non rigida bensì accogliente, un bel sorriso e un tono caldo e rassicurante.
Perché il Niqab non ci appartiene
Sul sito di Amnesty, in questi giorni, è apparso un articolo (al quale rimandiamo: https://www.amnesty.it/una-mascherina-contro-il-covid-19-e-davvero-cosi-diversa-da-un-niqab/) di Marco Perolini, ricercatore regionale sull’Europa per la succitata organizzazione non governativa. La base del suo ragionamento è che per motivi di sicurezza si è vietato l’uso della mascherina (o di altre coperture per il volto) in molti Paesi, durante le manifestazioni anti-governative, così come del niqab (il velo che parte delle donne islamiche porta per celare i capelli e il viso tranne gli occhi). E che quest’ultimo sia stato anche vietato, sempre pretestuosamente, da molti Stati in quanto “manifestazione di disuguaglianza di genere”. Il ricercatore (un maschio) aggiunge che le suddette affermazioni derivano dal fatto che: “Il modo in cui interpretiamo determinate usanze o comportamenti è spesso un costrutto sociale e culturale. Pregiudizio, stereotipi e ‘rendere altro’ spesso contribuiscono alla percezione di determinate pratiche”, concludendo con la domanda: “Una mascherina utilizzata per combattere il virus è davvero così diversa da un Niqab?”.
La risposta, come donna, è sì. Ma non solo, la mascherina stessa – impedendo quello scambio non verbale di cui si è scritto più sopra – è strumento, orpello, mezzo che non ci appartiene a livello sociale e culturale, in quanto impedisce di vedere l’espressione facciale dell’altro da sé, camuffa in parte il tono della voce, rende difficoltoso il guardarsi apertamente negli occhi (specialmente se si indossano occhiali, che si appannano continuamente a causa di questa), e perfino respirare.
Vero è che ogni cultura ha il diritto di esprimersi come meglio crede, ma siamo sicuri che il diritto alla religione venga per forza prima di ogni altro? E perché mai la cultura occidentale, per quanto limitata, ma laicizzata grazie a secoli di lotte e al pensiero di filosofi, politici e ideologi – dagli Illuministi a Carl Marx – deve per forza piegarsi ad accettare, sul proprio suolo, visioni del mondo che non le appartengono?
Il Niqab è espressione di differenza di genere: altrimenti lo porterebbero anche gli uomini. Non fingiamo di non saperlo o di voler giustificare qualsiasi cosa sulla base di un rispetto che, a volte, rasenta il ridicolo. Se accettiamo il velo allora perché non accettare anche l’infibulazione (pratica in parte religiosa e in parte di tradizione culturale)? E perché continuiamo a permettere la circoncisione, quando praticata su minori? Una società ha tutti i diritti di stabilire i propri metri di giudizio, fallibili e modificabili nel tempo (dato che si basano sulla relatività della storia e non su dogmi religiosi che, in quanto tali, si professano come verità assolute – fatto salvo rendersi conto che ogni dio ha i suoi e non coincidono quasi mai con quelli degli altri).
Se l’Islam (ma ogni religione se lasciata libera di operare indisturbata si trasformerebbe in una teocrazia dispotica, come dimostra la storia) fosse così democratico e le donne così libere di scegliere perché tante giovani da qualche anno, in Iran, inscenano una protesta silenziosa, togliendosi il velo in pubblico? E perché le stesse sono arrestate e detenute per tale atto? Fa specie che Amnesty International non si renda conto della palese contraddizione.
Cinema chiusi a causa mascherina
Mentre in Francia “le linee guida per la riapertura dei cinema… non prevedono l’obbligo della mascherina durante la visione del film, consentono chiaramente la vendita di prodotti dalle aree ristoro e definiscono chiaramente che lo spazio libero fra gli spettatori in sala, salvo le deroghe per i familiari, deve essere garantito con una sola poltrona libera”, come al solito le task force italiane esprimono giudizi inattuabili che rendono impossibile lo svolgersi di molte attività, soprattutto se destinate alla fruizione culturale e alla socialità.
Nonostante l’OMS continui a ribadire che la mascherina non serve ai sani per non contagiarsi, e abbia messo un punto fermo sul fatto (anche precedentemente non provato e dubbioso) che gli asintomatici non contagiano nessuno (fatto comprovato dai 10 milioni di tamponi effettuati a Wuhan e dai 300 casi asintomatici trovati, nessuno dei quali aveva contagiato parenti, amici o colleghi), il Governo italiano invece di pensare alla ripresa e alla normalizzazione si accanisce contro le stesse e il ritorno alla normalità. Nemmeno gli emeriti primari che ormai non considerano più il Covid-19 un problema sanitario hanno voce di fronte a veterinari virologi (che si credeva fossero medici virologi) o a rappresentanti dell’Oms sconfessati dall’Organizzazione, o a quella sequela di esperti che non ne ha azzeccata una ma ha terrorizzato per mesi la popolazione su ogni mezzo di comunicazione, dall’online ai social, passando per la televisione e la carta stampata.
E così, l’Associazione Nazionale degli Esercenti cinematografici (l’Anec) ha detto un secco no alla riapertura delle Sale il prossimo 15 giugno, affermando: “Il permanere dell’obbligo dell’uso della mascherina anche dopo aver preso posto in sala rimane incomprensibile”. E ancora una volta, il teatro è rimasto silenzioso. Forse perché troppo ricattabile, ci viene da pensare malignamente. O forse perché davvero spera che un concerto con 200 invitati illustri e il Ministro Franceschini in prima fila possa restituire al pubblico vero, quello pagante, la voglia e la sicurezza di sedersi in una platea. Ma l’Anec, questa volta, ha vinto la battaglia per tutti: gli spettatori si godranno film e spettacoli dal vivo senza la mascherina, liberando la mente – almeno per un’ora o due – dal coronavirus.
Peccato che, sebbene il numero massimo di spettatori sia diventato – per intero – di 200 (prima era quello complessivo di personale, artisti, orchestra e spettatori), questo non risolva il problema dell’opera, della classica o di quegli spettacoli con Compagnie di prosa e danza che, al di sotto di capienze dai 500 spettatori in su, non possono nemmeno sollevare il sipario (si pensi, ad esempio, alla Scala di Milano con i suoi 2.000 posti e oltre).
Antonio Rezza senza mascherina
A dimostrazione del fatto che il teatro più vitale è quello che sta fuori dagli ex Stabili, ci pensa Antonio Rezza su Krapp’s Last Post a lanciare alcuni sassi nello stagnante panorama politico-culturale, circondato da un mare di silenzio e vuota retorica.
Il primo j’accuse è contro lo Stato che “diventa drammaturgo e impone le distanze sul palco: lo Stato non deve permettersi, io non faccio la Legge di bilancio perché non la so fare”; e con ironia e sagacia aggiunge più oltre: “I set cinematografici nel Lazio possono riaprire: se due attori hanno una scena romantica si baciano e possono farlo. L’attore di teatro è il lebbroso? Ha più bacilli di quello del cinema? Sarebbe una scoperta rivoluzionaria per la medicina!”.
Anche noi avevamo espresso dubbi, in un altro articolo (http://www.theblackcoffee.eu/il-teatro-ultimo-capitolo/), se una pletora di monologhi e dialoghi – o reading – avesse un senso in sé, a livello artistico, e fosse un valido richiamo per il pubblico. Così come sul fatto che la mascherina non avrebbe impedito ai sani di contagiarsi, bensì agli spettatori di lasciarsi andare al gioco del teatro.
E ci eravamo chiesti se questo Governo, ai tempi dell’Aids, avrebbe distrutto qualsiasi possibilità di lavoro non solamente per prostitute e attori porno, tossicodipendenti e omosessuali, ma per qualsiasi professionista potesse avvicinarsi a, o avvicinare tra loro, sconosciuti – dall’albergatore al gestore di discoteche, dal cantante anticonvenzionale all’esercente cinematografico (http://www.theblackcoffee.eu/conte-ai-tempi-dellaids/). E Rezza, quasi fosse sintonizzato sulla stessa onda, afferma nella medesima intervista: “Perché uno deve essere trattato come un criminale solo perché abbraccia una persona in mezzo alla strada? Perché bisogna ridursi in questa maniera? Hanno fatto una multa a due ragazzi che si sono abbracciati per strada. Parliamo della sessualità allora: non ci è riuscito nemmeno l’Aids, e invece ora? I rapporti occasionali, ad esempio, in questo momento sono proibiti. Se incontro una persona e mi piace non posso starci perché se lo faccio divento un criminale. Cerchiamo di vedere tutti gli aspetti di questa situazione, perché sembra che la sessualità sia vincolata ora solo alle quattro mura domestiche: manco fossimo nel Medioevo!”.
E chiude con una provocazione che è anche un invito a tutti i suoi colleghi: “L’artista deve fare un’obiezione di coscienza e non fare spettacoli fino a quando non verrà ripristinata l’esatta normalità di affluenza. Noi siamo pronti a non andare in scena”.
Il teatro avrà la stessa forza del cinema?
12 giugno 2020
In copertina: Foto di Hjrivas da Pixabay.