Pillole di coronavirus:
Per San Lucido
di Simona Maria Frigerio
Lui mi tiene la mano sul capo e io sollevo gli occhi verso la porta. Loro non entreranno, finché non sarà morto, loro non entreranno. Guardo coi miei occhi da bambina la maniglia che rimane immobile e sento al di là dello sguardo il ronzio delle voci in attesa. La mia mente stenta ad afferrare la memoria che lentamente mi abbandona. Mi sforzo di concentrarmi ma non riesco a mantenerla chiara. Un senso di pesantezza mi opprime e la sua mano sembra appiattirmi a terra. Ma non morirà. Finché la sua mano riposerà sul mio capo, io lo tratterrò. Per un’ora ancora, un giorno, un attimo solamente…
*°*°*
Il suo primo viaggio fu quello per Milano. Dal sud, da un paese che è uno scalo ferroviario. Vi sarebbe tornato per sposarsi, gli aveva promesso il padre. Doveva trovare lavoro per potersi sposare. Ci vuole una moglie quando si è soli. Non era bene per lui stare solo. Così gli aveva detto il padre, ma lui non gli aveva creduto. Poi, un giorno, lo aveva visto uscire di casa col suo abito della domenica per recarsi dal suo vecchio amico che gli doveva un favore. Erano anni che lo sentiva parlare del suo compagno di gioventù, che aveva sposato bene e si era sistemato, poi aveva sistemato i fratelli in America e, adesso, andava in giro col panama bianco tra le terre della moglie come fossero le sue. Lui avrebbe ricordato e gli avrebbe regalato una moglie. Il figlio non doveva preoccuparsi, non sarebbe rimasto solo a lungo. Quando il padre tornò quella sera, teneva in mano un cesto di frutta e del pane fresco e gli disse che il sabato successivo ci sarebbe stata una festa e che si sarebbe dovuto rasare e andare dal barbiere e comperare un vestito nuovo perché avrebbe conosciuto sua moglie.
La donna sedeva in disparte sui suoi larghi fianchi. Il padre aveva visto quei fianchi e aveva annuito: molti figli sarebbero nati, molti avrebbero portato il suo nome. Il figlio l’aveva guardata con aria infastidita. Flora, la sorella, era giovane e leggera mentre ballavano il valzer, sembrava una piuma tra le sue braccia e il suo volto trasparente s’illuminava ogniqualvolta la sfiorava col petto. Ma era troppo giovane, avevano deciso il padre e il suo amico, che gli regalava la sua primogenita con spallucce noncuranti, ma non avrebbe mai acconsentito a lasciare andare Flora. Maria era una donna forte, si alzava tutte le mattine prima dell’alba e si recava al forno a cuocere il pane con la nonna: era lei che sapeva fare di conto e trattava coi fittavoli. Sarebbe stata una buona moglie, una lavoratrice. Certo, il negozio ne avrebbe risentito ma il vecchio Giovanni non ci pensava, sotto il suo panama bianco il sole gli faceva ombra e sorrideva sicuro. La madre sedeva in disparte e guardava il marito inebetita. La musica le dava il mal di capo, voleva rifugiarsi nell’ombra accogliente della sua camera da letto, sdraiarsi e smettere di pensare. Lì sarebbe stata molto meglio. Il sentimento che la costringeva a rimanere seduta era un misto di angoscia e dispetto. Maria sarebbe andata sposa a un operaio e questo matrimonio era il frutto di un debito che suo marito aveva contratto con quell’uomo dall’aria torva e dalla reputazione sconcia, che viveva con l’amante, e i figli avuti da lei e dalla moglie. La moglie che si era sparata alla testa. Lei non capiva quella donna, ma la rispettava, da moglie. Lei non si sarebbe mai uccisa per Giovanni. Lui andava tutti gli anni in America, a trovare i fratelli, saliva sul transatlantico col panama bianco e la chitarra sottobraccio, e tornava l’anno dopo e trovava un nuovo figlio. Lui poteva andare con tutte quelle donne delle quali lei non sapeva nulla e nulla voleva sapere, che a volte immaginava con sarcasmo e indifferenza. Lui la tradiva con la contadina che aiutava a tenere le pecore e portava la farina al negozio. Lui poteva perfino credersi il padrone, ma quella casa era sua, sua la terra, suo il negozio, suo il pane che lui mangiava e lui sarebbe sempre tornato da lei. No, lei non si sarebbe mai sparata per lui, ma neanche sua figlia avrebbe dovuto farlo. La madre scosse il capo per cancellare quel pensiero e si ritirò in camera da letto.
Col passare dei mesi Maria, ogni tanto, si scopriva a pensare a quell’uomo che avrebbe sposato, ma non capiva esattamente cosa significasse. Faceva spallucce e tornava al lavoro. Il forno, il negozio, i campi, il bestiame, le restava poco tempo per fantasticare. Il suo futuro marito era bello: solo questo poteva dire. Si appoggiò allo stipite della porta e guardò aldilà del vicolo un uomo che stava sfogliando il giornale. Per un attimo provò il desiderio di sapere che cosa scrivevano su quel giornale: forse parlavano del nord… Fece spallucce e tornò in negozio: non era importante saper leggere, importante era saper fare di conto e non farsi imbrogliare dai contadini.
*°*°*
Tina riposava tra le sue braccia e sembrava addormentata. Il prete l’aveva unta e non le rimaneva che posarla delicatamente nella sua bara bianca, foderata di merletti. Quell’abitino da battesimo l’avrebbe vestita di fronte a Dio e lei le lisciava la ciocca di capelli, che le spuntava dalla cuffia, col dito inumidito di saliva. Lui la guardava infastidito, voleva che quella storia finisse velocemente. Non c’era nient’altro da fare, né da dire. Maria però si ostinava a tenere la sua bambina tra le braccia e lo guardava con odio: lui aveva permesso che sua sorella facesse prendere freddo alla bambina, lui aveva permesso a sua sorella di ucciderla, lui…
Quando finalmente il Duce concesse loro un alloggio popolare, Maria poté lasciare la casa della cognata e avere uno spazio tutto per sé. La sua gioia era immensa mentre guardava il balconcino che avrebbe riempito di fiori, la stufa che avrebbe riscaldato la camera dei figli, il bagno e il lavandino con l’acqua corrente, e il posto per la cucina a gas. Per qualche tempo Maria fu felice. Si divertì ad arredare con poco quelle stanze e a fare sogni per il suo futuro. Avrebbe potuto aprire un negozio, fantasticava, magari lavorare per qualche bottegaio della zona, per un po’, e poi mettersi in proprio. La sua famiglia l’avrebbe aiutata, ne era sicura. Adesso che era in quella casa le sembrava che tutto sarebbe stato possibile: era di nuovo libera e si sentiva leggera come il raggio di sole che filtrava nella stanza.
Il treno scendeva verso sud lentamente. Lassù aveva lasciato gli altri suoi figli, in quella casa, sotto i bombardamenti. Ma Sandra aveva molto più bisogno di lei di chiunque altro. La sua bambina non mangiava. I medici le avevano detto che doveva portarla via, doveva condurla in un posto caldo, tranquillo, dove le avrebbero dato carne e uova fresche, e pane bianco, e frutta in abbondanza. Flora le aveva scritto una bella lettera: le aveva proposto di portare la bambina da loro. I loro genitori ne sarebbero stati felici e anche lei avrebbe aiutato a prendersi cura della bambina. Maria sorrideva livida pensando a Flora. Flora voleva quella bambina perché era di lui, non perché fosse sua nipote. Maria sapeva che avrebbe fatto di tutto perché la bimba l’amasse tanto da dimenticarsi che non era lei sua madre. L’avrebbe coccolata e viziata, coi soldi della terra e del negozio, che erano anche suoi, ma nessuno sembrava ricordarselo. Nessuno, ora che lei era sposata, sembrava considerarla ancora un membro della famiglia. La sua famiglia ormai era quella del nord: quei figli avuti senza amore, quell’uomo che le impediva persino di respirare e che la costringeva in quella casa. Mentre lui andava a ballare con donne libere; mentre lui andava a lavorare e se ne stava in giro per giornate e notti intere; mentre lui si beveva il salario e lei si impegnava i gioielli di famiglia, della sua famiglia, per tenere buoni i bottegai; mentre lui inveiva contro il suo nome e la canzonava, vedendole le mani gonfie e crepate. Ma Flora, lei lo sapeva, languiva le pigre giornate estive pensando a quell’uomo. Un’invidia inconfessabile e rancorosa le mordeva le labbra di vergine per forza. Maria sorrideva tra sé: quella era l’unica rivincita che poteva permettersi: lei, un marito, ce l’aveva.
Flora entrò in chiesa, si fece velocemente il segno della croce e baciò il crocefisso, si genuflesse e, appoggiandosi all’acquasantiera, attese che una mano pia la risollevasse. Ma la mano pia non arrivò. Non sarebbe mai arrivata. Flora socchiuse un occhio e pregò ancora un istante, prima di sospirare e procedere lentamente verso il banco di famiglia.
D’estate Sandra rimaneva sdraiata, nell’afa del mezzogiorno, accanto al nonno, all’ombra delle persiane della stanza imbiancata di fresco. La terra bruciava sotto il sole e le bombe; ma lei era al sicuro: con il capo sulla spalla di nonno Giovanni non temeva nulla, solo il sonno l’avrebbe rapita, per un attimo, nel silenzio ronzante d’agosto.
*°*°*
Si guardò le mani vuote e si passò le dita tra i capelli. Avrebbe dormito da solo. Ancora per questa notte, e per sempre diceva Maria. Lei si era messa il figlio nel letto e lo aveva cacciato via. Non potevano permettersi altri figli, diceva lei. Non ne voleva, pensava lui. Spesso la notte barcollava, ubriaco, per le strade, in sella alla sua bicicletta. Non doveva andare in nessun luogo in particolare ma si sentiva felice e leggero. Sentirsi leggero, pensava, era quasi sentirsi felice. Quella notte rise al marciapiede che si avvicinava al suo naso, rise persino quando dovette rimettere insieme sellino e telaio. Rise sollevato fischiando nell’aria fresca di un’alba di tarda primavera. La guerra è finita, pensò. Ma cosa questo significasse per lui, non lo capiva.
Sandra era tornata. Rimaneva in piedi, diritta sulla sue gambe paffutelle e, piangendo, ripeteva che non voleva più tornare a scuola. Scuoteva violentemente la testa e le lacrime le colavano copiosamente sul colletto di pizzo che le aveva ricamato Maria. Lui le prese la mano e cercò di farla spiegare. Ma non voleva rispondergli. Sembrava non voler più parlare. Sgranava gli occhi feroce e serrava le labbra. Lui non capiva. Poi, d’improvviso, Sandra non si trattenne oltre e lo afferrò d’impeto e nell’orecchio, nel silenzio di un sussurro dolce che gli rammentava casa: «Non mi vogliono, papà, non vogliono i terroni come me!».
La guerra era finita, ripetevano per le strade. Maria si guardava intorno e non vedeva la differenza. Non c’era da mangiare. Si faceva la coda per avere una razione di patate e pane nero. Il latte era un lusso, qualche volta riuscivi a convincere un contadino a darti un paio d’uova, ma era difficile, molto. Maria entrò nel banco dei pegni e l’uomo la squadrò da dietro la scrivania. I suoi occhi sorridevano mentre faceva la domanda di rito: «Sei qui per consegnare o per ritirare, Maria, oggi?». Maria fece spallucce e si sfilò l’anello che lo zio d’America le aveva regalato per il fidanzamento. Se lo zio fosse vissuto forse non sarebbe stata qui. Leccò la pietra lucente e sospirando la porse all’uomo. «Entro fine mese, come sempre, ricordati Maria!». Maria prese i pochi soldi per far tacere la fornaia e accennò di sì col capo: ricordava e sarebbe tornata, appena suo marito avesse preso il salario, sarebbe tornata, come sempre…
Sandra faceva del suo meglio per stringere le vocali e trasformare quel suo cantilenare dolce e accomodante nella monotonia solitaria e sguaiata del nord. Col tempo era diventata conciliante e fingeva di non prendersela mai. A volte sua madre la trovava singhiozzante in camera da letto, con la testa nascosta sotto il cuscino, ma preferiva non parlarle, fare spallucce e fingere che tutto andasse bene e che le sarebbe passata. Sandra ingoiava a fatica fagioli e vocali, ma il suo orgoglio s’inalberava quando la madre, con aria rassegnata, vedendo quelle gambe assottigliarsi, le dava una pacca e la costringeva a passare dalla vicina per chiedere un biglietto del tram. Più di ogni altra cosa al mondo, in quel momento, avrebbe voluto gambe forti per camminare, molto più di quanto desiderasse parlare come gli altri o mangiare il pane bianco della figlia della vicina. La vicina… Quando lei glielo raccontò, lui, il padre, fece finta di non capire: in fondo, era tornato pure lui da Sondalo. Maria, al contrario, capì e bene. Rimase immobile, con le braccia stese lungo i fianchi e il respiro che le moriva in gola. Ma Sandra se ne accorse ugualmente: la vicina aveva scambiato il bicchiere. Lei doveva bere solo con il suo. Nell’attimo in cui la figlia aveva sfiorato con le proprie il solco delle labbra di Sandra, Sandra si chiese perché l’avessero rimandata a casa. Cosa significava guarita?
*°*°*
Era stato un padre mancato, un marito mancato. Ma adesso lui, il nonno, era seduto sulla sedia e le teneva le caviglie tra le mani per non farla cadere dal tavolo, sul quale si sdraiava per guardare la televisione. La sua mano, pian piano, l’abbandonava e lei lo vedeva addormentarsi e la sua dentiera scivolare, il capo pendere ciondoloni e il gomito cedere a scatti, mentre lei si divertiva, con la sottile crudeltà infantile, a svegliarlo, urlandogli nelle orecchie fino a sentirlo mentire, dicendo che non stava dormendo e aveva visto tutto… e allora lei rideva. A volte, gli sedeva sulle ginocchia, quando gli altri cercavano di penetrare nel loro mondo e lei si sentiva troppo sola e in pericolo, e se lo stringeva forte accanto e non voleva più lasciarlo andare. Altre volte ancora camminavano l’uno al fianco dell’altra: lei gli teneva la mano, gonfia di orgoglio nel vedere che tutti, in quartiere, conoscevano il nonno e lo rispettavano e lo salutavano. E lei era la nipote, il suo amore, che lui portava in giro, sempre con sé. C’erano i giorni in cui per dispetto gli arruffava i capelli lisciati di brillantina, e quelli in cui lo torturava con le sue domande da bambina furba. La mattina, quando le imboccava il pane inzuppato di latte, si divertiva a chiedergli di ripetere per l’ennesima volta la medesima fiaba e, di tanto in tanto, le prendeva la voglia di coglierlo in fallo mentre sbagliava qualche nome o scambiava un principe per l’altro… Le giornate di sole l’accompagnava in giro in bicicletta e il giovedì era il turno del mercato, dei pomodori per la passata e dell’anguria, in estate, e dei limoni dal vecchio cieco in tutte le stagioni. Quasi sempre la mattina non aveva voglia di alzarsi per andare all’asilo e quando lui cercava di svegliarla gli rispondeva che si sarebbe alzata l’indomani, si rigirava sotto le coperte e quando lui la rimproverava di averglielo già detto il giorno prima, asseriva con la sicumera dei suoi cinque anni che domani era domani e non sarebbe mai diventato oggi!
*°*°*
Quella porta si aprì, alla fine.
Io oggi cammino per le strade di Milano, una Milano meno fuligginosa di quella che vedesti tu settant’anni fa – e mi fa una strana impressione dire settanta. Nell’Adriatico le bombe cadono, nonno, e io mi sento colpevole in questa fresca mattina d’aprile: limpido cielo foriero di morte e, nell’istante in cui il tiglio riempie le mie narici col suo odore intenso, mi rendo conto che non ti conosco, non ti ho mai conosciuto: come può una bambina conoscere un uomo?
Aprile 2020
A Remo e Desdemona (racconto dedicato al lockdown in Calabria ad aprile 2020, tratto da Quadri d’Interno)
In copertina: Foto di Valter Cirillo da Pixabay.